Acqua

La classe non è acqua: giornalismo scientifico ed ecologia verbale

6 Settembre 2017

Esattamente cosa spinge una persona a dare un allarme sensazionale o sensazionalistico?

Me lo chiedo ogni giorno, ormai, e stamane non fa eccezione dopo avere letto la prima notizia della prima pagina di Repubblica.it, che riporta i risultati di uno studio sulla presenza di micro-plastiche nell’acqua.

Ora, non voglio mettere in discussione l’interesse della domanda di ricerca, nè i risultati che emergono dai campioni, però a me fa un po’ specie che tutto il mondo (la notizia l’ha data il Guardian, The Independent e svariati altri media) stia dando un grande risalto a una ricerca che, se non ho capito male, è l’esito di un esperimento condotto da una brillante studentessa di master della School of Public Health della University of Minnesota.

E che ancora una volta mostra tutti i limiti dell’approssimazione nella divulgazione.

Innanzitutto partiamo da una considerazione: quello presentato è un promettente progetto pilota in cui, da un’analisi di 159 campioni in tutto il mondo, emerge che, IN MEDIA, nell’80% dei campioni di acqua da rubinetto raccolti ci sono tracce (non quantificate in quanto a pericolosità del livello trovato) di micro-plastiche.
159 campioni, un numero onesto per una tesi di master che vuole cominciare a indagare una questione, ma con un protocollo che non prevede la rappresentatività statistica.
Ripeto, nulla da eccepire sulla curiosità e brillantezza della studentessa, ma la ricerca è pubblicata non su una rivista scientifica, ma sul sito di OrbMedia, che sarebbe un’organizzazione non profit che, recita il sito, fa ‘world class journalism‘.
Cercando, per curiosità, i dati, su 159 osservazioni 18 arrivano dall’Europa.
Come detto, sul totale dei campioni l’83% presenta tracce di microplastica.
Per quelli europei, la media è del 72%, che deriva da un range che va dal 48% all’81%.
La ricercatrice stessa dice: “Tuttavia, il numero relativamente piccolo di osservazioni da ognuna delle località oggetto della ricerca rende i confronti tra regioni soltanto l’inizio di un’analisi esplorativa. All’interno del nostro esperimento, 28 campioni, o il 19 per cento del totale, non presentano fibre di platica. Il 38 per cento dei nostri campioni contiene o nessuna o una fibra di plastica, all’interno del margine di errore statistico per un  campione che potrebbe non avere plastica. Poiché questa è la prima indagine globale sull’acqua da rubinetto a essere realizzata, i risultati di questo studio servono come primo sguardo sulle conseguenze che la plastica e il suo utilizzo producono, più che come un’esaustiva valutazione dell’inquinamento globale da plastica”.

Viene dunque da chiedersi: non avete tempo di leggere il report? Non ne avete voglia? Vi secca presentare un’informazione in modo non particolarmente catchy ma più onesto da un punto di vista intellettuale?

Forte di tutti questi consigli, Repubblica.it apre con questa notizia sull’home page con il sobrio titolo: “La plastica, il nemico invisibile, è nell’80 per cento dell’acqua“.

I dati e l’informazione sono il nuovo petrolio, ma un sacco di gente sembra scavare sempre più a fondo nel pozzo della superficialità.

Urge forse che si cominci a parlare di sostenibilità ed ecologia anche nell’uso delle parole, per estrarne finalmente un senso.

Comunque mi raccomando: acqua in bocca!

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