Scienze
“Gilet gialli? La Francia inascoltata”. Intervista a J.-M. Salmon
Intervista a Jean-Marc Salmon, sociologo
Di fronte a una mobilitazione come quella che sta attraversando la Francia, la questione centrale non è tanto dividersi tra tifosi e censori dei gilet gialli, quanto piuttosto cercare di interpretare le ragioni che stanno alla base di questa improvvisa vampata di rabbia sociale per anticiparne gli sviluppi. Un aspetto imprescindibile anche per provare a capire se le imitazioni nostrane sorte in queste ore e a cui l’informazione italiana sta dando tanto spazio abbiano effettivamente la possibilità di attecchire anche da noi. Per comprendere in particolare di quali contraddizioni profonde della società francese si siano fatti in qualche modo portavoce i gilet gialli e che cosa rappresentino socialmente abbiamo intervistato Jean-Marc Salmon, sociologo e autore di 29 jours de révolution (2016), volume dedicato all’insurrezione che portò all’abbattimento del regime di Ben Alì in Tunisia. Insomma uno studioso attento ai movimenti di massa di questi ultimi anni.
Come descriveresti il movimento dei gilets jaunes?
I gilets jaunes sono un movimento auto-organizzato a livello locale mediante i social media, Facebook in particolare. Il movimento ha avuto il proprio catalizzatore nell’aumento dei prezzi del carburante, un provvedimento giustificato attraverso motivazioni di carattere ecologico. D’altra parte anche chi partecipa alla mobilitazione afferma di essere sensibile al tema dell’ambiente. In realtà però questa è una mobilitazione contro le disuguaglianze sociali e che esprime sfiducia verso i politici. Una mobilitazione contro il carovita e per un recupero del potere d’acquisto, capace di mettere insieme diverse forme di malcontento: per i pensionati la ragione scatenante è l’aumento delle trattenute, per i lavoratori le retribuzioni ai minimi. Ma è anche un movimento che diffida dei politici e che critica le manovre del Governo, perché la gran parte delle tasse sulla benzina non verrà spesa per la transizione ecologica, a cui andrà soltanto il 19%. I sindacati invece, a parte alcuni rarissimi casi, appaiono distanti.
In quali aree la mobilitazione appare più forte?
Il movimento evidenzia delle disuguaglianze nella distribuzione sul territorio, che è una delle forme in cui si manifestano le disuguaglianze sociali. Secondo l’esperto di demografia Hervé Le Bras è più forte dentro la ‘diagonale del vuoto’ che attraversa la Fancia partendo dalle Ardenne, nel nord est, e scende verso sud ovest, attraversando il Massiccio Centrale. Sono aree rurali, dove però sono rimaste ancora alcune piccole fabbriche, e risentono in modo più aspro degli effetti della contrazione dei servizi pubblici: chiusura dei reparti di maternità, degli uffici postali e delle linee ferroviarie minori.
Cosa pensi della natura sociale di questo movimento? Evocano la categoria del ‘popolo’ – ‘il popolo che si risveglia’, come hanno detto durante una conferenza stampa in video i gilets jaunes di Saint-Nazare – un ritornello molto in voga di questi tempi. Visto da qui sembra avere tutte le caratteristiche di un movimento della classe media, in grado però anche di influenzare settori non sindacalizzati di classe operaia…
E’ un movimento con toni da 1789. ‘Popolo’ è una parola chiave per loro. A volte viene associata a La Marsigliese e alla bandiera tricolore. Ma ‘popolo’ spesso è sinonimo di ‘fasce sociali popolari’: sono ‘popolo’ tutti coloro che non vengono ascoltati dalla Francia dei piani alti, un odierno ‘terzo stato’.
Le prime indicazioni che emergono per quanto riguarda la composizione sociale di coloro che effettuano i blocchi stradali mostrano che si tratta soprattutto di lavoratori dipendenti delle fasce più sottopagate, di precari, di disoccupati che sperano di ritrovare un posto di lavoro, ma anche di iscritti al sindacato nelle grandi fabbriche. E poi ci sono artigiani e lavoratori autonomi, che spesso sono tra gli organizzatori dei blocchi.
Allo stesso tempo è un movimento che gode di un grande sostegno tra i cittadini in generale: l’82% dei francesi è per la ‘cancellazione degli aumenti delle tasse’ introdotti dal Governo e il 77% giudicava il blocco di Parigi sabato scorso ‘legittimo’.
In primavera la classe operaia – ferrovieri, spazzini ecc. – aveva cercato di sconfiggere Macron e il Governo. Se dovessi trarre un bilancio di quelle lotte cosa diresti?
Che i movimenti sociali della scorsa primavera non hanno avuto successo. I rapporti di forze erano favorevoli al potere e quelle forme di lotta tradizionali non hanno permesso di far incontrare settori sociali diversi: ferrovieri, studenti, spazzini. Le altre categorie che esprimono insoddisfazione – infermieri, lavoratori dei trasporti e della chimica – non hanno osato spiccare il salto: non vedevano la possibilità di vincere.
In Francia, a proposito dei gilets jaunes, si è parlato di ‘poujadismo’ e di influenze dell’estrema destra. Quanto c’è di vero?
Il potere agita lo spauracchio del nazionalismo contro i gilets jaunes. Ma da un punto di vista statistico, come abbiamo detto, la ‘diagonale del vuoto’ su cui insiste particolarmente la mobilitazione secondo Le Bras non corrisponde alla diagonale del voto al Front National. E’ soltanto nelle Ardenne che i due fenomeni si sovrappongono. Secondo i sondaggi poi tra gli elettori chi vede con maggior favore questa mobilitazione sono quelli di France Insoumise: il 97% sostiene i gilets jaunes contro l’86% degli elettori nazionalisti.
Possiamo dire anche che i gilet gialli sono anche uno degli effetti del declino di Macron? Nel senso cioè che oggi nella società francese comincia a diffondersi la percezione che sconfiggere il Presidente è possibile?
Possiamo dire che il movimento che si vede nei blocchi stradali ha una forte connotazione anti-Macron. A lui rimprovera la sua arroganza, che mette in relazione alla riduzione dell’imposta patrimoniale, la sua prima misura fiscale: Macron per loro è il presidente dei privilegiati.
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