Scienze
Facebook e la Spoon River dei narcisisti patologici
Enrico Mascilli Migliorini, docente di Sociologia della comunicazione all’Università di Urbino, ex giornalista Rai, introduceva la prima lezione del suo corso spiegando agli studenti (erano i primissimi anni Ottanta) che “un fatto di cui non si ha notizia non è mai esistito”.
In occasione dei suoi novant’anni, nel 2012, Repubblica lo intervistò nella sua casa al Vomero, dove si era ritirato dopo anni trascorsi a insegnare nelle Marche, definendolo il “sociologo che aveva anticipato i social network”.
In quella occasione Mascilli Migliorini disse all’intervistatore che dopo aver preconizzato in uno dei suoi ultimi libri l’avvento dei social, era intervenuto in lui il “rifiuto”.
Perché?, gli chiese il giornalista.
“Per quello che sta accadendo”, fu la risposta del professore, “tramonta la galassia Gutenberg. Abbandoniamo la dimensione spazio e si afferma quella tempo. Quindi la comunicazione ce l’abbiamo in casa. Ma abbiamo bruciato la riflessione, e gli strumenti di Mc Luhan ci provocano nevrosi e ansia”.
Queste parole del professore (non riesco a definirlo in altra maniera, essendo stato il docente con il quale ho presentato la tesi di laurea), le ho scoperte solo stamattina cercando sue notizie in internet, dopo che, ripensando alla sua lezione introduttiva, la collegavo a un fenomeno che si verifica sui social (Facebook in particolare) che, in base all’esperienza personale, mi appare sempre più una Spoon River per narcisisti patologici (di qui il titolo di questo post).
Dopo anni trascorsi su Facebook, ho deciso due mesi fa di chiudere l’account (ho solo una pagina collegata al blog che gestisco). Ho quindi avuto tutto il tempo di fare alcune riflessioni legate alla certificazione dell’esistenza in vita di alcune persone esclusivamente attraverso il social network (se non danno notizie di sé, non esistono).
Tra i miei contatti c’era un professionista che aveva riscosso un certo successo pubblicando un paio di romanzi. A giudicare dal continuo battage che dei suoi libri faceva su Facebook, uno si sarebbe aspettato che da un momento all’altro lo avrebbero candidato al premio Strega, o almeno al Bancarella. Chiuso il contatto su Facebook, di quella persona ho perso qualsiasi traccia: non ho più sentito parlare di lui come scrittore.
Magari quello scelto non è l’esempio più felice, in un Paese come il nostro dove i libri accade più spesso che si scrivano e non che si leggano, ma in sette anni di frequentazione di Facebook, la storia si è ripetuta diverse volte. Per ovvie ragioni, molti miei contatti erano in ambito giornalistico: anche in quel caso, chiuso l’account, di qualche Penelope alla guerra, presunta erede di Oriana Fallaci, che documentava minuto per minuto quello che accadeva mentre lavorava (non “quello” su cui cui stava lavorando) non ho più sentito parlare. Fuori da Facebook non esiste.
Una caratteristica accomunava queste persone: l’assoluto egocentrismo (a volte anche ammesso) e la cattiva educazione. Se inviavi un messaggio, difficilmente ti rispondevano, forse troppo presi a rimirarsi nello specchio del proprio narcisismo, tanto che in una occasione una di queste persone ammise candidamente che lui non leggeva mai i diari dei suoi amici su Facebook, ma solo il suo.
L’eccezione era l’inviata di guerra di Rainews Lucia Goracci, che personalmente considero la migliore giornalista in circolazione. Lucia, i cui pezzi a volte hanno attacchi degni di Terzani, ovunque si trovasse nel mondo, trovava sempre due minuti per risponderti.
Molti sostengono che i social network non siano altro che lo specchio della vita reale, dove trovi persone educate e persone maleducate, scienziati e ignoranti.
In base alla mia esperienza, penso invece che Facebook, come dice Mascilli Migliorini, stia diventando un enorme cimitero per chi ama la riflessione e il confronto civile (avete presente la “civiltà” di certi commenti sulle notizie di affondamento dei barconi di migranti? Ecco).
Da social network, Facebook si è trasformato in padiglione dalla metratura incalcolabile per narcisisti patologici di una immensa clinica in cui non ammetteranno (tipico della patologia) di essere mai entrati.
Molti post e commenti saranno sempre più (inconsapevoli) epitaffi, e neppure degni di una antologia di Edgar Lee Masters.
P.S. Raramente scrivo in prima persona. Non mi piace farlo e lo considero non corretto per un giornalista, soprattutto un cronista quale mi sono sempre considerato. Per cui mi scuso se l’ho fatto con chi ha avuto la bontà e la pazienza di arrivare fin qui.
Un mio pensiero, grato, al professor Mascilli Migliorini (ammetto: non so se sia ancora vivo, lo spero). Una tesi di laurea sulla free press nel 1984, sedici anni prima che si diffondesse in Italia, non molti potevano proporla. Lui sì.
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