Innovazione

Diversità, democrazia e organizzazioni

9 Aprile 2017

Prendo spunto dall’uscita dell’ultimo libro di Cass R. Sunstein, già apprezzato autore di “Nudge” nel quale sostiene la necessità di una “spinta gentile” a supporto delle politiche pubbliche, attraverso l’integrazione dell’economia comportamentale e la teoria giuridica. Nel nuovo libro, #Republic, affronta il tema di internet e dei rischi che questo comporta per le democrazie. Egli sostiene che gli algoritmi dei social ci costringono alla visione e all’ascolto di opinioni e pensieri che convergono con i nostri, creando un continuo rinforzo alle nostre idee. Questo, secondo Sunstein, ci porta alla frammentazione, alla riduzione del “dubbio” e quasi sempre alla polarizzione del pensiero se non agli estremismi. Insomma, ci porta guai.

Le “camere sonore” (“echo chamber”) sono luoghi virtuali dove abbiamo continue conferme dei nostri gusti e opinioni. Uno spazio di comfort, ma molto pericoloso per le democrazie, forse letale. Sunstein dice che l’unico rimedio possibile sarebbe quello di imporre, a Facebook, Twitter e tutti gli altri universi digitali, un tasto che disabiliti gli algoritmi di “somiglianza” e ci esponga al caso, al diverso, all’incontro fortuito, non scelto, non pianificato con persone, posti, opinioni e pensieri.

Ma subito viene in mente il confronto con le organizzazioni. In questo caso, potremmo assegnare un punteggio da 0 a 100 che ci dica quanto le organzizazioni siano “identitarie”, uniche e distintive; un punteggio vicino a 100 sarebbe il risultato, probabilmente, della somma di tante persone affini e tenute insieme da processi organizzativi (ad es. quelli che caratterizzano le “teal organization”), cultura, valori, vision e mission originali e condivise. Probabilmente tanto più il valore sarà alto tanto più, queste organizzazioni, saranno esposte al rischio di vivere e lavorare in una grande bolla, appunto una “echo chamber”.

Diciamo subito che la forte identità organizzativa ha un enorme pregio e un grande difetto. Il pregio è quello di avere un team, una squadra, che probabilmente decide più velocemente e che può viaggiare più rapidamente rispetto ad una qualsiasi altra organizzazione più magmatica, risultato forse di storiche acquisizioni che non hanno mai raggiunto livelli sufficienti di integrazione. Certo, quando si viaggia veloci, tutto va bene se la direzione è quella giusta; se la direzione fosse un muro o un precipizio, meglio sarebbe rallentare e magari decidere di cambiarla. E’ un po’ la differenza che mi pare ci sia, nel canottaggio, tra il <quattro con> e il <quattro senza>. Se il percorso è rettilineo il quattro senza dovrebbe essere più veloce perché più leggero e con meno attrito, ma non mettete curve sul percorso.

Purtroppo, sappiamo bene, che oggi le curve sono la regola, per cui cambiare direzione è diventata una necessità. Ma che caratteristiche deve avere il timoniere? Innanzitutto in un’organizzazione di pecore bianche o volpi rosse, meglio sarebbe una pecora nera o una volpe bianca. Ma in questo caso non può essere il leader, ammesso che ci sia. Dev’essere probabilmente una minoranza, influente; fatta di persone che abbiano il talento, la capacità di mettere in discussione, continuamente, lo status quo ed evitare che l’equipaggio, molto affiatato, finisca contro un muro. Questo, però, richiede grande coraggio e leadership o sistemi organizzativi evoluti.
Ovviamente queste risorse possono essere sia “interne” che “esterne”; ad esempio la consulenza, da questo punto di vista, può giocare un ruolo molto importante per garantire la sopravvivenza e la prosperità. Se le risorse sono interne, bisogna predisporre dei modi adeguati per garantire che ciò accada. Ad esempio, non si può pensare di avere un processo di gestione delle carriere che privilegi solo la crescita interna, ma deve dare spazio anche all’acquisizione dall’esterno. In quel caso bisogna assicurarsi che il processo di selezione, probabilmente impostato per avere solo persone “affini”, consenta anche, periodicamente, l’ingresso di risorse che non lo siano affatto. Raggiungere questo equilibrio, probabilmente, è uno dei compiti più importanti e difficili per le organizzazioni. Sembra difficile anche per chi si è ispirato ai principi e alle regole, apparentemente evolute, delle “Teal Organization” o di “Holacracy”.

Le camere sonore sono dunque un serio problema per la democrazia, ma non solo; lo sono per il business e probabilmente per ogni altra organizzazione formale o informale nella quale, consapevoli o no, ci troviamo ogni giorno. Quindi, la raccomandazione di Sunstein, è: se vogliamo salvarci, ogni tanto, affidiamoci al caso, al diverso, all’imprevisto e all’imprevedibile.

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