Ambiente

«Dal gelo del Minnesota ai boschi di Yellowstone, ecco la mia vita tra i lupi»

2 Febbraio 2019

Nel XIX secolo i lupi quasi scomparvero dall’Europa occidentale. Oggi, con il lupo che torna nelle foreste del Vecchio Continente, cresce anche l’ostilità nei suoi confronti: dalla richiesta, da parte di alcune regioni del nord Italia, di autorizzare l’abbattimento dei lupi (e degli orsi), alle recenti proteste degli agricoltori francesi, furibondi per le pecore e le capre attaccate.

In effetti è difficile trovare un animale più affascinante (e archetipico) del lupo, presente in migliaia di miti, racconti e romanzi delle civiltà umane. Un animale intelligente, e straordinario. Basta chiedere a Elli H. Radinger, tedesca dell’Assia, che osserva i lupi in natura da trent’anni. Ossia da quando ha deciso di abbandonare la sua vita da avvocato (un lavoro che le provocava solo ansia e frustrazioni, fra cause di divorzio e liti condominiali), per dedicarsi allo studio dei lupi.

Assicuratasi un tirocinio in scienze comportamentali nella riserva di Wolf Park dell’Indiana (USA), Radinger ha sostituito la borsa di pelle con lo zaino, e i sobri tailleur con indumenti fatti per chi deve resistere per ore a trenta gradi sotto zero, in attesa. «Bisogna vestirsi rigorosamente a strati – racconta a Gli Stati Generali –. Ci vogliono biancheria intima calda, guanti, berretto, e un vero must sono delle calzature buone e calde».

Foto di Tanja Askani

Da quando ha lasciato l’avvocatura in Germania, Radinger ha fatto almeno 10mila avvistamenti di lupi, camminando per centinaia di chilometri, vivendo per mesi in un remoto rifugio nel Minnesota senza elettricità né acqua corrente, commuovendosi e piangendo di rabbia. “Osservare un branco di lupi in un ambiente naturale è una delle esperienze più toccanti che si possano fare” scrive nel suo ultimo libro, “La saggezza dei lupi” pubblicato l’anno scorso dall’editore milanese Sperling & Kupfer.

Scrivere di natura, e di lupi, per lei è stato naturale. Amava questi animali già da piccola, quando non voleva che i suoi genitori le raccontassero la favola di Cappuccetto Rosso per non ascoltare la sorte infelice del lupo. Ma il suo non è soltanto un “lavoro” che ama. Per Radinger, far scoprire alle persone il vero volto dei lupi, al di là dei pregiudizi e delle paure, ma anche degli sguardi naïve, è una missione. “Proteggiamo soltanto ciò che amiamo, e amiamo solo ciò che conosciamo” si legge nel libro, che è stato tradotto in ben 17 lingue. «Si parla molto di lupi oggigiorno, un po’ dappertutto – dice –, e di solito le opinioni delle persone si polarizzano. Io cerco di mostrare questi animali e le loro storie per come le ho osservate e vissute».

Nel libro racconta episodi commoventi, come i giochi dei cuccioli che si arrampicano sui genitori addormentati svegliandoli, e momenti brutali, come l’uccisione di un cervo. Momenti di astuzia, come le strategie di caccia contro i wapiti, e di lotta spasmodica, come il confronto tra un bisonte zoppicante e un vecchio lupo.

«I lupi hanno comportamenti molto simili a noi esseri umani – continua Radinger –. Sono affettuosi con la loro famiglia, compagni solidali e leader risoluti ma corretti. A volte sembrano degli adolescenti impazziti e spesso giocano e scherzano. Sono degli insegnanti fantastici, dai quali possiamo imparare moltissimo sulla vita. Forse è questo nuovo modo di vederli che affascina le persone».

Lei ha trascorso quasi un anno in Minnesota, in un rifugio nei boschi senza elettricità né acqua corrente. Com’è stata quell’esperienza?

Il passaggio dal confort di un lavoro d’ufficio alla vita nella natura selvaggia è stato brutale. Anche solo la sopravvivenza quotidiana (tagliare la legna, raccogliere l’acqua dal lago) ha richiesto enormi dosi di forza ed energie. Le prime settimane ero completamente esausta, e a fine giornata non c’era muscolo che non mi facesse male. Col tempo però mi ci sono abituata e sono diventata più forte, fisicamente e mentalmente. E la natura mi faceva dei regali incredibili: gli incontri con gli animali selvatici, dormire sotto l’aurora boreale… Alla fine quelli che restano sono sempre i bei ricordi.

Qual è la cosa più difficile nei periodi di osservazione? Sente mai la mancanza di altri esseri umani intorno a lei?

La parte più difficile è l’attesa. A volte in inverno rimani nella neve a -30° per ore, a guardare i lupi dormire. Ma devo dire che no, non sento la mancanza delle persone. Adoro stare nella natura e preferisco starci da sola. Comunque a Yellowstone siamo un gruppo di volontari che lavorano al progetto sui lupi, quindi raramente siamo soli.

Nel suo ultimo libro ha scritto molto su quello che i lupi le insegnano. Ma è mai capitato che i lunghi periodi trascorsi a osservare questi animali nella natura selvaggia le abbiano fatto dimenticare qualche lezione importante nei rapporti con gli esseri umani?

Sì, talvolta dimentico quanto sia grande il privilegio di vivere una vita come questa. E spesso scordo anche che per molte persone non è affatto “normale” vedere lupi e orsi ogni giorno, come succede a me.

Secondo lei che effetto ha su di noi, a livello individuale e collettivo, la vita sempre più lontana dalla natura in generale, e dagli animali in particolare?

Abbiamo bisogno della natura per il nostro benessere, sia fisico che mentale. Nel suo libro “L’ultimo bambino nei boschi”, Richard Louv ha descritto lo stato di una vita lontana dalla natura. Lo definisce “disturbo da deficit di natura” e chiede che i bambini vengano allontanati da televisione e smartphone, e vengano invece portati nel verde. E ovviamente lo stesso vale anche per gli adulti. Siamo talmente lontani dalla natura che troppo spesso dimentichiamo di farne parte. Al contrario dei lupi e degli altri esseri viventi, non siamo noi ad adattarci alla natura, ma facciamo sì che la natura debba adattarsi a noi. E così ce ne allontaniamo sempre di più.

Foto di Corina Cornilsen

Da secoli gli esseri umani hanno un rapporto molto conflittuale con i lupi, specie nei paesi occidentali. In Italia, ad esempio, erano quasi scomparsi, così come in Germania. Vede un cambiamento, ad esempio con le iniziative e i progetti di ripopolamento?

Negli ultimi vent’anni i lupi sono riusciti a tornare in Europa e a prosperare, soprattutto perché sono rigorosamente protetti. In trent’anni di vita con i lupi ho imparato a credere che ce la faranno. Non hanno bisogno del nostro aiuto. Hanno bisogno della nostra protezione e di un rifugio per crescere i loro piccoli. Il meglio che possiamo fare per loro è lasciarli stare.

Fra i maggiori ostacoli alle iniziative di ripopolamento, in Italia, ci sono le reazioni dei pastori, perché talvolta i lupi cacciano i loro animali. Secondo lei quale sarebbe il modo migliore per affrontare questi problemi, e di cosa c’è bisogno per risolverli?

I lupi sono predatori, e sono opportunisti. Mangiano ciò che per loro è facile catturare, comprese le pecore incustodite. I pastori attivi nelle zone popolate dai lupi devono adattarsi ed equipaggiarsi con recinzioni elettrificate e cani da guardia per il bestiame: questa combinazione è la protezione ideale. Una volta che i lupi faranno l’esperienza di pecore che “mordono” (ossia di recinzioni elettrificate), le lasceranno stare. I pastori non devono amare i lupi, ma devono amare i propri animali abbastanza da proteggerli. Queste misure di protezione devono essere sostenute e finanziate dallo stato, e le perdite di bestiame devono essere risarcite velocemente e senza infinite pratiche burocratiche.

Cosa possono insegnarci i lupi su come affrontare le sfide?

I lupi mi ricordano costantemente quanto sia importante non mollare. C’è sempre un modo per farcela. E se no, beh, bisogna adattarsi e trarre il meglio da ogni situazione.

 

 

Immagine in copertina: Pixabay

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