Scienze

Il falso mito della crescita personale

18 Marzo 2025

Oggi la crescita personale è diventata un business fiorente per gli psicologi. Spuntano a iosa life e mental coach improvvisati. Vengono pubblicati migliaia di libri sul cosiddetto sviluppo personale. Le persone vogliono crescere, cioè vogliono migliorarsi. Ma in cosa consistono il miglioramento e la crescita? Nel raggiungimento dei loro obiettivi. E quali sono i loro obiettivi? Successo, soldi, conquiste sessuali, belle macchine, gloria, bella casa. Molti e molti vanno dallo psicologo per crescere personalmente e quindi per raggiungere questi obiettivi materialistici e consumisti. La crescita personale non è quindi un fine ultimo a cui tendere, ma è un mezzo per adattarsi meglio ai dettami e ai canoni imposti dalla società. Il paradosso è che molti cercano di raggiungere questa falsa crescita personale, cercando di adattarsi sempre più alla società e non sanno che così facendo sviluppano poi nevrosi e psicosi. Si chiede in questo modo agli psicologi una magia, cioè quella di essere il tramite per il successo. E perché avere successo? Per affermare sé stessi grazie al riconoscimento socioeconomico o culturale, per vincere la quotidiana struggle for life. E se gli obiettivi non vengono raggiunti? Gli psicologi della crescita personale allora addossano la colpa ai pazienti, che non hanno fatto progressi, che hanno troppe resistenze al cambiamento. Così i pazienti spendono e gli psicologi e i coach guadagnano con le loro false promesse. Bisognerebbe sfatare una volta per tutte il falso mito della crescita personale.

Migliorare significa migliorare solo ed esclusivamente in termini socioeconomici? Ci sono esperti di programmazione neurolinguistica che insegnano, lautamente pagati, come avere successo con le donne tramite tecniche come il rispecchiamento e la riformulazione. E se tutto ciò non avviene? Sei tu che non hai applicato bene queste tecniche!!! Il falso mito della crescita personale si basa esclusivamente che tutto sia possibile e che ognuno sia artefice del suo destino, quando invece, senza cadere nel fatalismo, le forze in gioco del successo o dell’insuccesso sono molteplici. La complessità della società attuale non è tanto dovuta alla circolarità di causa ed effetto, ma dalla multicausalità di un evento, dalle troppe incognite e microvariabili che vi concorrono e che non sono tutte valutabili, né quantificabili, né controllabili. La vita vera è molto più complessa di un tipico esperimento di laboratorio in psicologia, dove i ricercatori possono controllare a piacimento una sola variabile indipendente e valutarne l’effetto. Nella vita siamo soggetti a molteplici variabili aleatorie. E se oggi sappiamo che tutto è statistico e probabilistico, la vita vera ci insegna che eventi improbabili si verificano ed eventi molto probabili talvolta non si verificano. Il falso mito della crescita personale punta tutto sul modellamento del cliente/paziente.

Inoltre talvolta ci sarebbe bisogno di cambiare in taluni la struttura profonda della loro personalità e questo richiede tempo, fatica, denaro per anni e non è detto che porti i frutti sperati, i risultati attesi. Il problema che si fanno molti è il seguente: cosa c’è in me che non va, visto che non ho raggiunto certi scopi materiali? Pochi si pongono invece il problema che dovrebbero rivedere completamente i loro obiettivi, che dovrebbero ripensare la loro visione del mondo, impostata su falsi idoli e su status symbol fasulli. Per molti la vera crescita personale sarebbe diventare capaci di distinguere ciò che passa e ciò che resta, ammesso e non concesso che qualcosa resti, perché ci sono cose effimere e persone, sentimenti, affetti, idee, valori che probabilmente restano. La questione principale per molti sarebbe quella di togliere il velo di Maya, capire cioè l’illusorietà dei loro scopi, cercare di ridurre i condizionamenti classici, operanti, sociali e dei mass media, a cui sono quotidianamente sottoposti. Molti dovrebbero capire che sono sottoposti a un vero bombardamento pubblicitario da tv e internet, che li porta a desiderare, acquistare, di nuovo a desiderare e quindi ad acquistare. Molti dovrebbero cercare di decondizionarsi da questi falsi bisogni socialmente e mediaticamente indotti.

La felicità non si trova nel possesso delle cose e neanche nel trattare gli altri come cose ma nelle relazioni autentiche prima di tutto con sé stessi e con gli altri. La crescita personale vera invece dovrebbe essere un continuo autoperfezionamento interiore e spirituale. Psicologia deriva da psiche, che anticamente significava anima. La cosa migliore per certe persone di fronte a questi guru della crescita personale sarebbe il cosiddetto attacco al setting, cioè attaccare frontalmente il terapeuta, vero o improvvisato. La vera crescita personale sarebbe il memento mori. Nozick scriveva che solo la morte di un figlio, unica vera cosa contronatura della vita, o la morte dei genitori possono farci capire veramente la nostra finitezza. Nozick scriveva che quando muoiono i genitori si realizza mentalmente che noi probabilmente siamo i prossimi, che siamo molto più vicini alla morte. Heidegger in “Essere e tempo” scriveva: “Nella morte l’esserci sovrasta se stesso nel suo poter-essere più proprio. In questa possibilità ne va per l’esserci puramente e semplicemente del suo essere-nel-mondo. La morte è per l’esserci la possibilità di non-poter-più-esserci. Poiché in questa possibilità l’esserci sovrasta se stesso, esso viene completamente rimandato al proprio poter-essere più proprio. In questo sovrastare dell’esserci a se stesso, dileguano tutti i rapporti con gli altri esserci.

Questa possibilità assolutamente propria e incondizionata è, nel contempo, l’estrema”. Il nostro essere è quindi soggetto al tempo, che porta la morte. L’essere nel mondo viene sovrastato dalla morte. L’unica possibilità è quindi per Heidegger “essere per la morte”, cioè pensare la nostra finitudine. Purtroppo oggi solo in caso di malattia pensiamo seriamente alla nostra morte oppure in vecchiaia. La società attuale impone la rimozione della morte, il divertissement pascaliano. Heidegger scriveva ancora in “Essere e tempo”: “Nella sua qualità di poter-essere, l’esserci non può superare la possibilità della morte”. Il vero obiettivo della vita sarebbe in questo senso quello di prepararsi a morire. Ma pochi vi riescono. La via di Buddha sarebbe quella di non desiderare qualcosa o qualcuno. Ma la società occidentale consumista si basa sul desiderio infinito e mai pago, che viene considerato bisogno. Amelia Rosselli in una sua poesia scriveva: “Propongo l’incontro con il teschio”. I monaci tibetani in alcuni monasteri guardano ogni giorno in un fossato i teschi dei loro maestri e dei maestri dei loro maestri. In Italia abbiamo il cimitero delle Fontanelle, che avrebbe molto da insegnarci. Dovremmo ricordarci non solo di essere tutti carnali ma anche mortali e che da questo punto di vista tutto è vanità. E a chi cerca l’arrivismo dovremmo chiedergli: dove corri che tanto ti aspetta la morte?

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