Ambiente

«Come salvare il lupo? Raccontandolo per quello che è»

5 Dicembre 2019

“Il lupo che ho imparato a raccontare non è affettuoso, non è innocente. Non è cattivo, non è violento. È il lupo, cioè è solo quello che è”. Una premessa importante per chi oggi si occupa di questi animali, e che Mia Canestrini ha messo nero su bianco nel suo primo libro, La ragazza dei lupi, Edizioni Piemme. Nel quale la trentasettenne bolognese, laureata in Scienze naturali e specializzata in conservazione della biodiversità animale, racconta i dieci anni trascorsi sulle tracce dei lupi fra le vallate, i pendii e i boschi dell’Appennino tosco-emiliano.

Un’esperienza di lavoro che l’ha portata a vivere per mesi semi-isolata in una casa di montagna, mentre fuori continuava a nevicare. Ad occuparsi di cuccioli trovati da soli in qualche angolo di Appennino, e a cercare di reinserirli in natura. Ad ascoltare gli ululati dei lupi che, nella notte, rispondevano al richiamo artificiale suo e dei suoi colleghi. A percorrere 70 chilometri a settimana nelle foreste e sulle montagne, alla ricerca di orme da seguire.

Oggi Canestrini vive a Milano, dove cura una rubrica radiofonica e lavora come zoologa freelance. Con un impegno costante: affrontare senza fronzoli e senza stereotipi, senza idealizzazioni né manicheismi, la spinosa questione della convivenza fra lupi ed esseri umani. Parlandone con le pubbliche amministrazioni, con i pastori e gli allevatori, le comunità locali, i cacciatori.

Quando si parla di lupi l’impressione è che le posizioni siano sempre molto nette: c’è chi è a favore della loro presenza e chi è assolutamente contrario. È davvero così?

Decisamente sì, il lupo è un animale che polarizza. C’è chi lo vuole morto e chi invece desidererebbe vederlo sul tappeto di casa, come animale domestico. Ma in questo settore gli aut aut sono deleteri, le sfumature vanno per forza inculcate nella testa delle persone, perché sono fondamentali. Sia chiaro, è davvero difficile. Bisogna fare moltissima divulgazione e in modo capillare. Città per città, comune per comune, usando il linguaggio giusto a seconda degli interlocutori. È davvero un lavoro enorme quello che c’è da fare. Forse è anche per questo che non è stato difficile per me scrivere il libro: la metà del mio lavoro in quei dieci anni è consistita proprio nel comunicare alle varie categorie di interesse le informazioni, i dati e le notizie necessarie a fargli abbandonare le posizioni più estreme, e a raggiungerne di più neutrali. Questo, secondo me, è il modo per salvare questa specie: raccontarla per quello che è, avere un approccio molto realista e pragmatico. Credo che nessun altro animale si porti dietro una polarizzazione così forte.

Che conseguenze hanno queste estremizzazioni?

Da una parte hanno portato, prima, alla semi-estinzione dei lupi, e poi a quello che ora è un bracconaggio difficilissimo da controllare. Dall’altra invece ci sono state delle campagne di comunicazione in cui il lupo era presentato come un santo, che senz’altro non è colpevole dei danni che gli vengono attribuiti; e c’è anche stato chi ha incentivato un commercio illegale di lupi dall’America del nord e dall’Europa dell’est per averne uno in salotto. Tutto questo è deleterio, oggi in Italia abbiamo un livello di bracconaggio che è praticamente pari a un prelievo venatorio. Nel Piano di conservazione e gestione del lupo era stata inserita una quota di prelievo pari al 5%, che riguardava esemplari da poter abbattere in caso di danni eccessivi. Ma che non teneva conto del fatto che ogni anno viene abbattuto illegalmente più o meno il 30% dei lupi che vivono in Italia.

“Ogni anno viene abbattuto illegalmente più o meno il 30% dei lupi che vivono in Italia”

Nella tua esperienza, come accolgono il ritorno del lupo i pastori e gli allevatori di montagna?

Ci sono zone dove il conflitto si inasprisce molto, per varie ragioni. Magari c’è il politico locale che cavalca bene il malumore causato da una predazione e riesce a trasformare la questione in un caso mediatico che ingigantisce la situazione e spaventa tutti gli allevatori della zona. Ma ci sono anche aree in cui è stato fatto un buon lavoro di informazione e prevenzione dei danni da parte dei parchi naturali o di altri tipi di enti, dove tutto è vissuto in modo molto più tranquillo. Ad esempio l’Appennino tosco-emiliano, la zona in cui ho lavorato in questi anni: dieci, quindici anni fa c’erano conflitti molto aspri. Poi, lavorando sull’informazione e sull’adozione di misure preventive, siamo arrivati a una situazione in cui gli allevatori sono assolutamente amichevoli. Si procurano i mezzi di prevenzione, donano i propri cani da pastore, che hanno esperienza nel gestire la presenza dei lupi, ad altri allevatori in Italia. Ci portavano addirittura il latte per il cucciolo di lupo di cui parlo nel libro, Achille.

Addirittura?

Sì, e non parlo di persone specializzate in zoologia o nello studio dei predatori. Era proprio la gente del posto che collaborava con noi tecnici. Tutti insieme abbiamo imparato molto, facendo un percorso quasi psicologico [ride], di crescita personale… perché quando c’è di mezzo il lupo ci vuole anche quella!

Quindi non tutta l’Italia è nemica dei lupi.

No, anzi. Però indubbiamente rimane un grande lavoro da fare. Se gli allevatori vengono lasciati soli con un predatore che, se vuole, può effettivamente provocare dei danni importanti a un’azienda agricola, allora non può che nascere una guerra. Perché alla fine parliamo di persone che con quel lavoro ci campano. Senza contare che, oltre al danno economico, c’è lo spavento, la preoccupazione.

Mia Canestrini

Nel libro descrivi un episodio in cui tuo padre, nell’estate del ’95, avvista un branco di lupi, e subito ti chiama con uno dei primi cellulari in circolazione per raccontartelo, anche perché vedere dei lupi in Italia, all’epoca, era un evento rarissimo. Anche lui è appassionato di natura selvaggia?

Sì, tantissimo. Credo sia stato lui a trasmettermi questa passione perché essendo originario di un paesino del Parco nazionale delle foreste casentinesi, sin da quando ero piccolissima mi ha portata a pescare al fiume, a cercare funghi, a cavallo nei boschi. Mi ha trasmesso una passione infinita per lo stare all’aria aperta e per gli animali. Inizialmente per gli animali un po’ più domestici [ride], forse non immaginava che sarei approdata ai lupi, però l’imprinting è stato quello!

Raccontando quell’episodio sottolinei che nel 1995 i lupi erano ancora pochi in Italia, e che erano schivi, elusivi, memori di secoli di persecuzioni. Sono ancora così?

No, decisamente no. Più un animale è minacciato e perseguitato, più impara a evitare accuratamente gli esseri umani. E un animale come il lupo, essendo un predatore, ha una marcia in più rispetto a un erbivoro nella capacità di elaborare le informazioni e di comprendere le dinamiche del mondo che lo circonda. Quindi ha trasmesso questa paura anche alla prole, di generazione in generazione. Solo da qualche anno i lupi stanno cambiando atteggiamento; che non significa che siano pericolosi per gli umani, sia chiaro. Stanno semplicemente capendo di non essere più l’oggetto di una persecuzione costante e a grande scala. Quindi abbiamo molti casi di persone che, passeggiando in campagna o in montagna, incontrano dei lupi e non li vedono fuggire “a zampe levate”.

È una modifica nel comportamento dei lupi che il mondo scientifico sta osservando con attenzione per capire se, in determinate circostanze, ci possano essere evoluzioni negative. Anche perché c’è stato qualche caso di lupi che hanno ucciso dei cani domestici per cibarsene. Quel che è certo è che se i lupi ci considerassero delle prede ci sarebbero vittime ogni giorno, visto che abbiamo almeno duemila lupi in Italia. Il fatto che non avvenga la dice lunga sui loro gusti alimentari.

“Se i lupi ci considerassero delle prede ci sarebbero vittime ogni giorno, visto che abbiamo almeno duemila lupi in Italia. Il fatto che non avvenga la dice lunga sui loro gusti alimentari”

E d’altra parte, come scrivi nel libro, ogni volta che abbracciamo il nostro cane stiamo abbracciando il lupo che, migliaia di anni fa, si è fidato di noi.

Esatto, il lupo è il progenitore del cane. Prima si pensava che alcune razze discendessero dal lupo e altre dallo sciacallo, ma in realtà l’unico progenitore è il lupo. Il cane non è altro che la suo forma domestica. Certo, dopo così tanto tempo il cane è diverso per moltissimi aspetti, da come si riproduce a come interagisce socialmente. Tanto che per alcuni specialisti ormai quella del cane è una specie a sé, ma che discende comunque dal lupo. Insomma, anche se in casa abbiamo un chihuahua [ride], alla fine è un lupo domestico!

Fonte: Pixabay

Perché hai deciso di scrivere questo libro?

È stata una combinazione di fattori. Io sognavo di pubblicare un libro da quando ero piccolissima perché la mia seconda passione dopo gli animali è sempre stata la scrittura. E proprio in un momento particolare della mia vita, uno di quelli in cui cambia tutto, volenti o nolenti, la casa editrice cercava una penna femminile per scrivere un libro sul lupo. Così ho potuto raccontare dieci anni di esperienze con i lupi dando anche un taglio molto personale, e il prodotto finale è piaciuto. È un libro nato così, una sorta di sintesi di un ciclo di vita.

Ti capita mai che qualcuno ti dica che il tuo sia un lavoro strano per una donna?

Mi capita di continuo, più o meno una volta al giorno [ride]. Io cerco sempre di sminuire, nel senso che è in Italia che ci sono poche donne che fanno questa scelta di vita o di lavoro. Altrove invece è pieno di donne che fanno questo mestiere! Ad esempio, in Nord Europa e Nord America si trovano moltissime donne che dirigono progetti, si occupano di ambiente, di predatori, catturano lupi, orsi, linci, non è affatto qualcosa di raro o di strano. Anche io ho catturato dei lupi ma c’era sempre un collega che faceva la maggior parte del lavoro, io ero l’assistente. Perché si pensa che i maschi siano più abili in questo tipo di lavoro, ma le esperienze di tantissime professioniste in tutto il mondo dimostrano che non è vero.

“Si pensa che i maschi siano più abili in questo tipo di lavoro, ma le esperienze di tantissime professioniste in tutto il mondo dimostrano che non è vero”

I progetti a cui hai lavorato e che hai descritto nel libro erano finanziati dall’Unione Europea. Ed è stata l’Unione Europea a decidere di fare uno sforzo nella conservazione dei grandi predatori come i lupi e gli orsi, e della biodiversità in generale. Qual è la tua opinione sulle posizioni anti-UE che spesso vengono espresse anche nel nostro Paese?

Mi danno un gran fastidio, sono da sempre una fervida sostenitrice dell’Unione Europea. Anche perché vedo gli sforzi contini, costanti e di alto livello di Bruxelles per integrare le politiche agricole con quelle ambientali: dagli ingenti finanziamenti, ai progetti dedicati all’ambiente, alla biodiversità e ai cambiamenti climatici. Ho potuto vedere in prima persona e insieme agli operatori del settore, agli agricoltori, quanto venga investito e con quale livello di professionalità, e ne ho visto i risultati sulla natura stessa. Credo sia un lavoro eccellente. Ora ci sono più lupi e orsi in Europa che in tutti gli Stati Uniti! Questo dimostra che le scelte dell’UE hanno funzionato, anche perché parliamo di un’area relativamente piccola ma altamente antropizzata. Eppure Bruxelles si è inventata Natura 2000, questa rete di aree protette magari piccole rispetto a un parco nazionale o regionale, ma tutte interconnesse. In questo modo esiste una sorta di reticolo di zone naturali o semi naturali in cui fauna e flora trovano veramente spazio per sopravvivere. Intendiamoci, tutto è migliorabile, sempre e in qualsiasi ambito, ma questo è davvero qualcosa di straordinario.

 

Immagine in copertina: Pixabay

 

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