Benessere
C’è troppa posta per te! L’uso compulsivo delle emails
Ogni giorno, in tutto il mondo, si ricevono e si mandano 183 miliardi di emails.
L’email, secondo un rapporto del PEW Research Center del 2011, rappresenta una delle attività online più diffuse. Il 92% degli americani dichiara di comunicare tramite email e, ancora nel 2014, più di un terzo degli adulti USA intervistati ha dichiarato che non rinuncerebbe mai alla mail (piuttosto, la possibilità di abbandonare i social networks è considerata come 3 volte più appetibile).
Sempre con riferimento al caso americano, circa un terzo dei lavoratori statunitensi dichiara di rispondere alle email ricevute in 15 minuti, e tre quarti afferma comunque di rispondere in un’ora (potremmo qui aprire il fronte delle differenze antropologico – culturali tra Italia e USA, ma potrebbe diventare tema di un altro articolo).
Ora, con dati di questo tipo, una domanda interessante è: quanto fa bene all’anima e alla qualità della vita usare così tanto la mail?
Per ora, la letteratura ha prodotto risposte empiriche basate su semplici, per quanto robuste, correlazioni: l’uso massiccio delle email si accompagna a più bassi livelli di benessere soggettivo, a meno soddisfazione sul lavoro e anche a livelli più alti di stress.
Tuttavia, fino ad oggi non c’è stata molta attenzione in termini di evidenza sperimentale e, di conseguenza, è difficile identificare un nesso causale tra l’uso delle emails e la qualità della vita.
Quali potrebbero essere i motivi per cui l’uso quasi drogato della posta elettronica si traduce in malessere?
Alcuni sostengono che, semplicemente di fronte all’immensità della propria Inbox, le persone provino smarrimento come i protagonisti dei quadri romantici di Friedrich, schiacciati da una natura soverchiante.
Altri, invece, sottolineano che il male nell’uso delle emails sta tutto nell’avere reso liquido l’orario di lavoro: Blackberry e smartphones, insomma, sono come cavalli di Troia che introducono nottetempo il nostro ufficio nell’Ilio sicura del relax familiare, mettendo a ferro e fuoco la pace e la qualità del nostro sonno.
Come che sia, la questione è di assoluta rilevanza, tanto più in un mondo in progressiva dematerializzazione, in cui la digitalizzazione forza la trasformazione dei rapporti di lavoro e induce un’inflazione di comunicazioni scritte.
Uno studio appena pubblicato sulla rivista internazionale Computers in Human Behaviour descrive un primo esperimento che merita una breve discussione.
Su un campione di 124 soggetti, per lo più studenti universitari (ma con un terzo di lavoratori di tutti i tipi), è stato condotto un test della durata di due settimane.
La popolazione, divisa in gruppi scelti in modo casuale, è stata sottoposta a due diversi trattamenti: al primo gruppo è stato chiesto di utilizzare la mail in modo smodato durante la settimana 1 (Unlimited condition) e in modo moderato (limited) durante la settimana 2. Al secondo gruppo è stato invece chiesto di seguire il comportamento opposto: questo, per verificare che l’ordine del trattamento non produca effetti sui risultati.
La cosiddetta unlimited condition consisteva in un uso continuo della mail: controllo periodico della casella di posta, notifiche tutte su ON, nessun filtro. Il trattamento limited, viceversa, si basava su una moderazione indotta nell’uso della mail: check solo 3 volte al giorno e, soprattutto, tutte le notifiche disattivate.
I soggetti dei due gruppi sono stati monitorati, giorno per giorno, attraverso dei mini-questionari che valutavano diversi indicatori: percezione di benessere, livello di stress, qualità del sonno, etc.
L’immagine seguente mostra i principali risultati in termini delle varie dimensioni esplorate:
I parametri indicano la differenza tra Unlimited e Limited condition: per fare un esempio, il valore -0.26 di Meaning in life (significato nella vita) indica che chi si trova nella condizione dell’uso smodato della mail mostra di trovare meno significato nella propria esistenza con una differenza di 26 punti percentuali rispetto alla situazione dell’uso moderato.
Al di là dei limiti di quest’evidenza sperimentale, che presenta diversi problemi (poche osservazioni, dubbi sulla composizione del campione e misurazioni basate su auto-valutazioni dei soggetti), l’articolo è interessante e mostra dei primi risultati su un tema che ci riguarda tutti e che sempre di più riguarda le nostre vite.
C’è forse troppa posta per te? Mandatemi una mail per farmi sapere cosa ne pensate.
Devi fare login per commentare
Accedi