Scienze

Borgna, lo psichiatra della parola

6 Dicembre 2024
Sono abituato a leggere i quotidiani di notte, appena vengono editi. Oggi è più facile con i sistemi telematici.
E mi ha preso una sofferenza al cuore, quando ho letto della dipartita di Eugenio Borgna, per me lo psichiatra della parola.
Ed infatti, nella sua immensa produzione di scrittore c’è il rimando alla poesia, alla letteratura, alla filosofia.
Non era solo un medico, ma un finissimo narratore che ci ha fatto scoprire che anche la solitudine, la fragilità, il dolore, la follia, possono volgere al positivo.
I suoi scritti sono pregni di citazioni di Rilke, Leopardi, Friedrich Hölderlin, Simon Weil, Emily Dickinson, Antonia Pozzi, Nietzsche.
Sono vellutati, perché intendono tracciare, tessere, un colloquio con il lettore.
Borgna appartiene alla psichiatria di Franco Basaglia, perché insieme si sono battuti per chiudere i manicomi, per curare la follia, per non lasciare i malati di mente soli, per legare, stringere una relazione empatica con loro, alla ricerca della tenerezza.
Non si sanno scegliere le parole che curano e le parole che salvano, se non si è capaci di introspezione e di immedesimazione che consentono di conoscere di quali ne abbiano bisogno le persone, sane o malate, con le quali ci incontriamo e che possono essere di situazione in situazione silenziose, o squillanti, sfumate o esplicite, leggere o profonde, ma che dovrebbero sempre essere gentili e umane, tenere e accoglienti.
Noi siamo di continuo responsabili delle parole che diciamo e di quelle che dovremmo dire e non diciamo; ma anche dei silenzi che sono più delle parole.
Borgna scendeva nel profondo dell’ interiorità del paziente, lo curava con il colloquio, con la costruzione del dialogo, del ponte che intrinsecamente tiene ogni parola.
L’alterita’, il rispetto della condizione dell’altro soprattutto quando soffre, è il terreno del confronto per rimuovere e superare la solitudine dell’anima, altra espressione a lui carissima e titolo di un libro da lui scritto.
Coglieva la purezza nello sguardo, nel silenzio del paziente, nelle lacrime di dolore, nelle grida taciute, nelle ferite dell’anima.
Ma era poeta della fragilità; “la fragilità come grazia, come linea luminosa della vita, che si costituisce come il nocciolo tematico di esperienze fondamentali di ogni età , la fragilità come ombra, come notte oscura dell’anima, che incrina le relazioni umane e le rende intermittenti e precarie, incapaci di tenuta emozionale e di fedeltà: esperienza umana, anche questa, che resiste limpida e stellare al passare del tempo, e alla corrosione che il tempo rischia sempre di trascinare con sé”.
Ma il fragile è acutissimo, entra nella cruna dell’ago.
Ho letto tutto di lui e mi sento più povero oggi; ma mi ha insegnato cosa sia la parola.
Ha scritto Emily Dickinson: “Una parola muore appena è detta dice qualcuno. Io dico che comincia appena a vivere quel giorno”.
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