Scienze
Boltzmann, il fisico che ha cercato di frenare il Caso ci influenza ancora
«Ierlatro il prof. Lodovico Boltzmann, dell’Università di Vienna, che villeggiava a Duino, fu trovato cadavere nella sua stanza» con queste parole il quotidiano triestino “Il Piccolo” del 7 settembre 1906 annuncia a pagina tre la morte dell’illustre fisico viennese. Il quotidiano in lingua tedesca “Triester Zeitung” titola invece in prima pagina «Suicidio di uno scienziato».
Ludwig Boltzmann, viennese, uno dei padri della fisica contemporanea, si era tolto la vita il 5 settembre di 110 anni fa. Di anni lui ne aveva 62 e per mettere fine ai propri giorni aveva scelto un albergo della località costiera vicino a Trieste, dominata dal castello dove sei anni più tardi il poeta Rainer Maria Rilke comincerà a comporre le “Elegie duinesi”. Era depresso, questo è sicuro, e probabilmente non aveva retto alla competizione con l’altro grande della fisica dei suoi tempi, Ernst Mach. Quest’ultimo, di origine morava (era nato a Tuřany, nei dintorni di Brno) insegnava pure lui a Vienna, e si è occupato tra l’altro dei corpi alla velocità del suono: quando diciamo «mach 1», «mach 2» per indicare una o due volte la velocità del suono, ci riferiamo proprio a lui.
Alla fine Mach era risultato il vincitore del lungo duello con Boltzmann. Ai nostri occhi sembra strano che la fisica potesse sollevare simili passioni, ma andava proprio così: le lezioni di Mach erano seguite da gruppi di entusiasti sostenitori che assentivano e applaudivano, la sua influenza è tracimata dal campo scientifico per arrivare anche alla letteratura e all’economia. Boltzmann, invece, veniva via via abbandonato. Rappresentava il vecchio – i suoi nemici lo definivano «ultimo pilastro della fisica tradizionale» – e certo non lo aiutava il carattere ombroso, solitario e scontroso. La rivalità tra i due raggiunge l’acme negli anni Novanta dell’Ottocento: Boltzmann insegna fisica teorica, a Mach viene assegnata la cattedra di filosofia: «da quel momento il dibattito tra atomisti e antiatomisti ha Vienna al proprio centro», scrive Deborah Donato nel suo I fisici della Grande Vienna e afferma anche: «Di certo Boltzmann è un eroe tragico della fisica moderna, a cavallo di due secoli, ma anche fra due paradigmi: incompreso e osteggiato, tanto dai fisici conservatori, per aver introdotto la statistica nel ferreo causalismo, quanto dai fisici progressisti, perché teso a salvare la spiegazione meccanicistica della natura, non apprezzato nemmeno dal concittadino Ernest Mach, perché non rimaneva ancorato al criterio dell’osservabilità.»
Nel 1877 Boltzmann elabora l’equazione che prende il suo nome, ma poi perde man mano terreno, finché nel 1900 fugge da Vienna, va a insegnare a Lipsia, ma dopo un paio d’anni si pente e briga per ritornare nella capitale asburgica. Coinvolge tutte le sue conoscenze, fa arrivare le istanze fino a corte, dove l’imperatore Francesco Giuseppe in persona ordina di non precipitare troppo il ritorno dello scienziato. Neanche il rientro a Vienna, però, lo soddisfa, né le esperienze di insegnamento negli Stati Uniti, compresa la prestigiosa università di Berkeley, in California. Un accentuato calo della vista, con relativa difficoltà a lavorare, non fa altro che accrescere il suo esaurimento. Gli viene diagnosticata neurastenia.
Il 1905, l’anno in cui Boltzmann si inabissa nella spirale della crisi, è lo stesso in cui Albert Einstein pubblica quattro memorie che sparigliano le carte della fisica. In una di queste memorie, quella in cui dava un’interpretazione dei moti browniani, Einstein dava di fatto una prova dell’esistenza di quegli atomi per cui Boltzmann era stato tanto osteggiato. Ma non sarebbe bastato a rinfrancare il fisico viennese.
A Duino Boltzmann forse cerca un po’ di tranquillità, ma trova invece la morte. È in vacanza con la figlia e questa, come riferisce “Il Piccolo”, «impressionata che il padre tardasse oltre al solito a uscire, entrò nella sua stanza e si trovò di fronte a un cadavere: l’infelice erasi strangolato con una funicella all’inferriata della stanza». Quell’albergo oggi non esiste più: è stato inglobato dal complesso di edifici che appartengono al Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, un liceo di emanazione britannica.
Spiega Deborah Donato: «Boltzmann ha cercato con un principio statistico di frenare l’avvento del Caso nel regno delle leggi naturali. Ma la probabilità, e lui lo sapeva ed ecco perché è un personaggio tragico, è altro dalla Necessità. Come tutti i viennesi, Boltzmann non voleva rinunciare all’Ordine, cercò di salvarlo con una strenua lotta.»
Il fisico viennese, che in vita è costretto a cedere sempre più terreno a Mach e ai suoi entusiasti seguaci, viene rivalutato dopo la morte: il tedesco Max Planck, l’iniziatore della fisica quantistica, nel 1920 cita Boltzmann nel discorso di conferimento del Nobel.
Sottolineava Carlo Cercignani, docente di meccanica razionale al Politecnico di Milano, autore di una biografia di Boltzmann: «Nella fisica di quel tempo, il fatto che non assistessimo a certi fenomeni li faceva catalogare come impossibili. Oggi, grazie a Boltzmann, sappiamo che sono soltanto estremamente improbabili».
Piero Martin, Docente di fisica sperimentale a Padova e Fellow dell’American Physical Society, spiega: «K, la costante di Boltzmann, è una costante universale della fisica, usata in moltissime equazioni che correlano il mondo microscopico con quello macroscopico, il mondo degli atomi (e quindi della materia a livello microscopico) con quello della materia che tocchiamo. K è la costante che lega la temperatura di un gas, per esempio l’aria che respiriamo, e che misuriamo con un comunque termometro – oggetto del tutto macroscopico – con l’energia di movimento delle singole molecole che compongono l’aria. Più un gas è caldo e più le sue molecole si muovono rapidamente.
Basti pensare che in una bottiglia vuota sono contenute qualcosa come diecimila miliardi di miliardi di molecole d’aria. Grazie a Boltzmann sappiamo come descriverle. E molto altro, naturalmente, dato che i risultati di Boltzmann si applicano ancora oggi in molteplici settori della fisica, dalle nanotecnologie ai reattori nucleari.»
In quella stanza di albergo di Duino, 110 anni fa si spegneva una vita, ma la nostra vita è ancora influenzata dalle scoperte di Ludwig Boltzmann.
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