Partiti e politici
Altro che Soros, Salvini e Di Maio sono i peggiori speculatori
Fareste gestire i vostri soldi da un Salvini? Mettereste i vostri risparmi in una banca gestita da un Di Maio? Meglio di Soros, o di qualche altro esperto della finanza internazionale, di quelli di cui i populisti di oggi intonano il “dalli all’untore”? Non proprio. La politica di oggi mostra paralleli inquietanti con la finanza dei tempi bui, quella delle scorribande dei “raider” sopra le teste e l’ignoranza collettiva del “parco buoi”. L’attività politica e il mondo della finanza hanno in comune il problema dell’ “azzardo morale”, ma nel mondo della finanza questo è temperato dalla regolamentazione e dalla supervisione, mentre nel mondo della politica non ci sono regole, e quelle che ci sono (l’Europa) sono additate come la causa del problema invece che l’effetto. Qui tracciamo un parallelo tra la considerazione del rischio da parte dei politici e dei banchieri. Consideratelo un progetto di ricerca.
Qual è la propensione al rischio di un politico? Ricordiamo che tecnicamente l’avversione al rischio è la somma che si è disposti a perdere pur di portare a casa un risultato sicuro, invece di attendere un risultato medio che ci lascia esposti a possibilità di grandi guadagni, ma anche rischi di grandi perdite. La risposta alla domanda sembra semplice guardando agli esempi che abbiamo di fronte oggi in Italia: la politica di Salvini, fondata sull’onanismo e l’esibizionismo al di là e al di sopra di ogni legge, in un braccio di ferro perenne; la figura meno muscolare di Di Maio, che comunque siede al tavolo della politica con eterni rilanci, e con eterni “bluff”, senza mai incassare il risultato. Tutto sembrerebbe convergere verso la spiegazione che la politica attiri avventurieri che non tengono in alcuna considerazione il rischio. E anche il Matteo precedente, che a confronto di questi due è una persona prudente e assennata, un politico normale, non ha esitato a mettere in gioco tutta la sua carriera politica, e il suo partito, scommettendo su un numero, le percentuali di un referendum.
Ma c’è un’altra spiegazione, che rivela la similitudine tra politica e finanza dal punto di vista del rischio. E’ la questione dell’“azzardo morale”: del fatto che, sia che i profitti attesi siano privati o pubblici, le perdite sono sempre pubbliche, cioè a carico della collettività. Qui la questione non è che la carriera politica venga intrapresa per fini privati. Ricordo comunque, alla conferenza mondiale di econometria del 2005 a Londra, una relazione invitata di un ricercatore dell’Università della Pensilvania a proposito di un programma di ricerca su questi temi. Nella scelta di fare politica può entrare la passione, e anche i flussi di entrate future che una carriera di successo può garantire, in percentuali diverse da caso a caso. Ma qui la questione è che se qualcosa va male, non c’è alcuna penalità di tipo privato, e niente che impedisca di godere i frutti privati futuri. Salvini ha già vinto la sua battaglia personale, indipendentemente dal fatto che la sua passione politica sia vera o basata sul “marketing” elettorale. Di Maio ha già vinto, sia che la sua sia pulsione politica o carriera privata, e potrà comunque ricoprire posti di rilevanza fuori dalla politica, o continuare dentro la politica, come buono scudiero al servizio di Grillo o di Salvini. Anche Renzi non ha perso. I due Mattei hanno usato le stesse parole “o qui si cambia l’Italia o si va a casa”, ma a casa loro ci sono già, perché la loro casa è la politica.
Inquadrando il problema in una prospettiva più generale, al di là delle contingenze del tempo e dello spazio, si può dire che il gioco della politica abbia la particolarità che le perdite personali si materializzano in scenari estremi e con perdite estreme: tipicamente, la perdita della vita. Ma questi scenari sembrano lontani, e il Principe non se ne cura. Chissà se Mussolini aveva presente il costo che avrebbe pagato quando pronunciò la famosa frase “molti nemici, molto onore”, che è riecheggiata recentemente. E chissà se metteva in conto Piazzale Loreto quando pronunciò il famoso discorso in cui rivendicava che “se il fascismo è stato un’associazione a delinquere…a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con la propaganda…”. Responsabilità dichiarate quando si ha il potere sono facili da fare quando si ha il vento in poppa, e sono debiti che si pagano tutti insieme, quando la barca è in secca.
Purtroppo neppure i giornalisti né i politologi sembrano tenere conto del comportamento di un politico di fronte al rischio. L’esempio è ancora Salvini, che viene considerato un genio della politica per aver portato la Lega dal 4% al 16%, e ora al 30% secondo i sondaggi. L’unico parallelo che viene in mente nel mondo della finanza scopre lo stato primitivo in cui vive la politica. E’ come se noi insegnassimo a scuola lo “schema Ponzi” come esempio di innovazione finanziaria. Charles Ponzi prometteva rendimenti da favola ai suoi clienti, pagando gli interessi con fondi che otteneva da altri investitori cui prometteva interessi da favola, pagando gli interessi…Ponzi riuscì a vendere le sue promesse di ricchezza e prosperità a una platea enorme di risparmiatori, più o meno nel modo fumoso in cui Salvini e Di Maio vendono le loro promesse. Ovviamente la storia finì in galera quando qualcuno cominciò a ritirare i soldi investiti.
Chi pagherà per la flat tax e il reddito di cittadinanza? Secondo i nostri “Ponzies” nessuno, e tutti ne trarranno vantaggio senza che nessuno paghi: uno schema Ponzi. Ma lo schema Ponzi in finanza è una truffa, mentre lo schema Salvini-Di Maio in politica è considerato genio politico. I due schemi hanno in comune due cose. Primo, in entrambi i casi le promesse non hanno nessun effetto reale, e costruiscono una promessa sull’altra senza mai realizzarne nessuna. Secondo, quando il gioco finisce e si scopre la truffa, si genera uno scenario estremo. In finanza verrebbero a cercarti a casa, ma arriva prima la polizia e ti porta in galera. In politica non rischi nessuna galera, ammesso che nel tuo periodo di gloria tu non sia stato così arrogante da violare le leggi. Ci sono poi casi in cui le cose possono finire veramente male. E anche a questo proposito esiste una legge che chiunque conosca il rischio non può ignorare. Qualunque crescita impetuosa prima o poi finisce in un crollo devastante e qualunque illusione di ricchi “pasti gratis” si trasforma nella realtà di lunghi periodi di digiuno.
L’ovvia domanda finale è. Cosa fare per mettere fine a questo “far west”? A queste scorribande di pistoleri della parola e del tweet che si battono finché non trovano quello che li impallina con la battuta più veloce della loro? Purtroppo non si può fare molto senza tornare molto indietro, quando il costo del fallimento politico era elevato per la presenza di istituti come l’esilio o l’ostracismo. Ciò nonostante, qualcosa potrebbe essere fatto per fare almeno emergere un costo del fallimento in politica, anziché una riduzione del beneficio, o un cambio di poltrona, come avviene oggi. Forse potrebbe essere utile cercare di guardare ai costi di bancarotta dell’attività privata. Ma lascio questa discussione a chi è più esperto di me di diritto e politica.
Del resto, anche nel mondo della finanza il problema non è stato risolto. Non è stato possibile impedire ex-ante e in maniera efficace che i manager delle banche, pur nel rispetto delle leggi, prendessero rischi eccessivi, sapendo che alla fine avrebbe pagato la comunità. L’unico rimedio è stata la previsione di requisiti di capitale e altri vincoli espliciti all’attività finanziaria. I banchieri non si lamentano di queste regole, anche se cercano di aggirarle e intervenire con attività di lobbying. Nessuno urla contro i requisiti di capitale. Nella politica lo stesso rimedio oggi è offerto dalle regole Europee. I nostri politici urlano contro le regole e le leggi, perché la politica è ferma a un livello più arretrato della finanza. E ovviamente urlano anche contro la finanza, che essendo avvezza a misurare e gestire il rischio, anche di quelli che non sanno che cos’è il rischio, non risponde. Si limita e prendere le decisioni che le spettano: mettere al riparo i risparmi quando i rischi sono eccessivi. Ed è quello che i mercati finanziari stanno facendo.
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