Musica
Zamboni e la Rivoluzione Russa: un concerto-evento per ricordare e attualizzare
Siamo stati a colloquio con Massimo Zamboni, fondatore dei CCCP-Fedeli alla Linea, parlando con lui del centenario della rivoluzione russa, della storia dei CCCP, della provincia emiliana, ma soprattutto del suo nuovo spettacolo, dedicato, appunto, a questa importante ricorrenza. Il suo concerto-evento debutta il giorno esatto in cui, cento anni fa, i bolscevichi formarono il governo rivoluzionario presieduto da Lenin come primo risultato dell’insurrezione di Pietrogrado, città che dopo 7 anni sarebbe diventata Leningrado. “I Soviet + L’Elettricità”, è il titolo dello spettacolo da lui ideato e diretto che andrà in scena, in prima assoluta, al Teatro Augusteo di Napoli proprio il 7 novembre, per proseguire il 12 a Firenze, il 13 a Bologna, il 15 a Udine, il 20 a Torino e concludersi il 7 dicembre a Reggio Emilia. Al fianco di Zamboni ci saranno la cantante e attrice Angela Baraldi, il leader degli Offlaga Disco Pax Max Collini, l’Artista del Popolo Fatur, l’ex Üstmamò Simone Filippi, il percussionista Simone Beneventi, Cristiano Roversi alle tastiere e basso e il chitarrista Erik Montanari. Tutto il progetto può essere sostenuto sulla piattaforma di crowdfunding MusicRaiser. Ecco le cose che ci siamo detti.
La storia dei CCCP comincia quando il comunismo stava avviandosi al suo declino, come avete vissuto il tracollo di un sistema di potere che poi non si è più ripreso?
Quando si parla degli anni ’80 in Italia a tutti viene da pensare al socialismo, a mani pulite e a tangentopoli, mentre ampliando un po’ lo sguardo, lo sconvolgimento mondiale più importante avviene nei paesi socialisti, con fatti molti interessanti, forti e costitutivi. Nei come CCCP abbiamo assistito, come tutti, a quella rapida progressione che ci ha fatto vedere tutti i regimi dell’est cadere in pochi anni. Abbiamo assistito alle immagini delle popolazioni di quegli stati che tagliavano le loro bandiere per togliere da esse i simboli del potere appena caduto. Dopo i fatti di piazza Tienanmen abbiamo assistito ad una accelerata pazzesca ed in pochi anni sono cambiate le sorti del mondo intero, fino ad arrivare al fatto più simbolico di tutti, la caduta del muro di Berlino. Noi come gruppo abbiamo deciso di scioglierci in quel periodo, era no venuti al pettine tutta una serie di nodi e abbiamo comunque pensato che non avesse più senso continuare con un nome come CCCP–Fedeli alla Lina quando quel mondo, a cui facevamo riferimento come immaginario, era praticamente scomparso. Abbiamo avuto un grande privilegio, perché con la nostra musica siamo arrivati a musicare varie fasi di quegli anni, a cominciare con Breznev, fino agli anni della speranza gorbacioviana. Poi con la caduta del muro siamo spariti anche noi. Quella dei CSI poi è stata un’altra storia, una formazione diversa, nata dopo due anni di vuoto. Durante un viaggio in Unione Sovietica avevamo conosciuto Gianni Maroccolo, il bassista del Litfiba, che stava lasciando il gruppo, così ad inizio anni ’90 abbiamo ripreso in mano gli strumenti, abbiamo aggiornato il nostro nome, ispirandoci alla Comunità degli Stati Indipendenti, che era nata dalle ceneri dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e ci siamo chiamati CSI–Consorzio Suonatori Indipendenti. Quell’esperienza è andata avanti fino al 1998, dopodiché io ho lasciato il gruppo.
La Russia di oggi quanto ha ancora di bolscevico? E perché nella zona da cui vieni tu, Reggio Emilia, è stato così forte l’attaccamento all’immaginario filosovietico?
Nella Russia attuale credo che di bolscevico non sia rimasto assolutamente niente, tanto che non si sono tenute nemmeno celebrazioni per festeggiare questo centenario. Ovviamente restano in quel paese delle sacche di nostalgia, consideriamo che caduto il regime sovietico ci sono stati vari strati della popolazione che si sono trovati in condizioni di indigenza assoluta, mentre altre parti della popolazione vivono in una situazione di ricchezza sfrenata. Negli anni del regime sovietico non esisteva sicuramente per la popolazione la possibilità di esprimersi come singoli, oppure viaggiare, ma esistevano istituti che garantivano la scuola, l’istruzione e l’assistenza sanitaria per tutti. Sul rapporto che è esistito tra il modo sovietico e l’Emilia Romagna sto scrivendo un libro in questi mesi. L’Emilia si è scoperta sovietica all’inizio del ‘900, la provincia di Reggio Emilia in particolare, da quel momento questo territorio ha seguito tutte le vicende dei paesi sovietici con una serie di iniziative e di affratellamenti. Ci sono stati vari gemellaggi, ci sono stati vari personaggi molto significativi in vari settori che hanno fatto da ponte tra questi due mondi. Con i CCCP l’intento è stato proprio quello di mettere sul palco tutte queste storie, rendendo evidenti certi passaggi, senza volerli nascondere, ma dichiarando chi eravamo e quale fosse il mondo a cui facevamo riferimento.
Comunismo e socialdemocrazia sono come due cugini che trovano sempre un motivo per cui litigare. A Livorno il 12 gennaio del 1921 dalla scissione dei socialisti nacque il PCI e ogni anno, in quel giorno, al vecchio teatro San Marco c’è chi si reca a fare memoria di quel momento. Cosa c’è e cosa resta da celebrare del 1921?
La parola comunista, la parola sinistra, hanno bisogno di essere riformulata per poter tornare a dire qualcosa di significativo e di attuale. Ormai, infatti, non sono più parole che parlano, sono parole già giudicate dal tempo e dalla nostra coscienza. Però dietro quelle parole ci sono istanze che sono vecchie come il mondo, perché sono istanze di riscatto, di liberazione e di emancipazione individuale e collettiva. Tutte queste istanze hanno preso nomi molti diversi nel corso della storia umana ultra-millenaria. Il ‘900 ha consegnato questa istanza al comunismo, ma questi termini possono anche essere cambiati. Capisco perfettamente anche il pellegrinaggio di Livorno al vecchio teatro San Marco, ma occorrerà attualizzare anche queste cose. Uscire di casa con la bandiere rosse, la falce e martello ed i pugni chiusi per festeggiare il centenario della rivoluzione d’ottobre a me sembrerebbe una sciocchezza. Ci sono altre forme, altri modi, dobbiamo trovarli.
Il The Ecomist ha dedicato la sua ultima copertina a Vladimir Putin, ritraendolo in uniforme e commentando nel titolo “E’ nato uno zar”. Cosa resta nella Russia di oggi degli esperimenti continui che, come diceva Lenin, devono essere portati avanti per superare il sistema capitalistico?
Adesso il sistema capitalistico sembra in pieno trionfo, non ha più avversari, anche in Russia, ma nello stesso tempo è alle corde, è un sistema che mostra tutta la sua debolezza ed i suoi difetti di un sistema oppressivo. Lo giudico un sistema completamente incapace di condurre la storia presente e futura dell’umanità. Non è pensabile di affrontare il futuro del mondo con le armi del capitalismo, dove un gruppo di società multinazionali governano la vita di miliardi di persone, e nello stesso tempo, in questi stessi anni vediamo tornare qualcosa di molto vicino alla figura dello zar, che dovrebbe essere una cosa effettivamente superata da tempo. Certo che le storie del mondo sono come degli elastici, che vanno avanti e tornano indietro, poi di nuovo avanti e poi ancora indietro, e in periodi di difficoltà o di crisi è scontato tornare a figure forti, come potrebbe essere oggi Putin, che peraltro è forte in quanto ha consolidato con la forza il proprio potere. Se Putin sarà uno zar lo vedremo dalla dinastia che saprà mandare avanti dopo di lui. Fra l’altro in sistemi come quello russo esistono meccanismi abbastanza evidenti da smascherare, come quelli della propaganda, noi tutti dovremmo però stare attenti a questi meccanismi di propaganda, perché essi vivono anche nel nostro paese, in un sistema che consideriamo sostanzialmente democratico. L’eccesso di informazione che abbiamo a disposizione al giorno di oggi ci crea l’illusione di poter controllare meglio certi fenomeni, quando invece molto spesso noi non sappiamo nemmeno come interpretare tutto queste notizie di cui possiamo fruire. Viviamo in un sistema di pensiero unico: come mai, per esempio, tutti gli abitanti della pianura padana tornando a casa la sera non pensano mai di vivere in una conca che è una delle più inquinate del mondo? Come mai accettano tanto tranquillamente questo stato di cose? Perché c’è un pensiero unico che ci impedisce di pensare a questo, io dico che un alieno che venisse a vedere le condizioni in cui viviamo ci scambierebbe per matti.
Veniamo al concerto. A livello stilistico e di performance ci sono alcune cose che fanno pensare a The Wall dei Pink Floyd, come il senso di estraneità del singolo rispetto al sistema di potere e poi il flusso continuo di canzoni che scivolano le une nelle altre, mescolandosi alla parola recitata, agli slogan, alle sonorizzazioni, alle performance, alle proiezioni. C’è un collegamento tra questi mondi musicali molti diversi, cioè CCCP e Pink Floyd?
Il confronto che fai è tra una pulce ed un gigante, certo è che ho pensato molte volte al concerto The Wall, anche quello si relazionava ad un periodo storico molto preciso, molto forte e molto simbolico. In situazioni del genere la musica esplode, ed esce fuori in tutta la sua potenza evocativa ed emotiva. Nel caso del nostro concerto siamo di fronte ad una celebrazione, quella di un centenario importantissimo che va affrontato con tante armi che sono quelle della celebrazione, della retorica, dell’innoridire e dell’abiura. Ci sono tutti questi modi di affrontare questo centenario, sicuramente però non si può trascurare. Ecco, anche noi faremo questo nostro ‘the wall’ nei confronti della rivoluzione sovietica, cercando di percorrere tutto il secolo ‘900, senza nascondere le brutture del comunismo che sono molte di più delle bellezze, passando attraverso la celebrazione e la retorica più bieca, i momenti più intimi, il punk più sfacciato quando c’è bisogno di fare muovere la gente.
Cosa vedrà il pubblico che assisterà ai “Soviet + l’Elettricità”?
Ho pensato a lungo a questo spettacolo, che io chiamo comizio-musicale, mi sembrerebbe riduttivo chiamarlo concerto, il termine spettacolo porta con sé un immaginario più televisivo. Mi sono posto tante volte il problema di come affrontarlo questo spettacolo per evitare che diventasse una mascherata, da qui la scelta di non mettere simboli, tipo la falce e il martello o le bandiere rosse, ma semmai la scelta è stata quella di privilegiare un palco molto sobrio su cui ci sono quattro tribune, un podio, dove i musicisti indossano delle divise non prettamente militari, ma qualcosa che sta a metà tra l’operaio, il militare e il mondo del futuro. C’è un’atmosfera da ‘1984’ che è abbastanza evidente e che viene fuori anche dalla scelta delle canzoni. I musicisti diventano allora degli attori, dei performer, li ho voluti pensare così, senza limitarne la presenza sul palco alla semplice esecuzione su uno strumento, per questo li ho messi dietro a delle tribune, proprio come se noi fossimo un piccolo comitato centrale che assiste alla sfilata del pubblico. C’è una distanza causata dalle tribune e dal podio, che sono strutture un po’ alte, volutamente alte, perché volevo che fosse percepibile immediatamente l’oppressione causata da queste strutture. Chi è sul podio è su una struttura alta tre metri e chi sta lassù in alto potrebbe diventare non più il tribuno del popolo, ma il suo oppressore, volevo che ci fosse questa possibilità inespressa, questo significano le scelte che ho fatto pensando al palco. Lenin diceva che il socialismo si sarebbe realizzato quando ai soviet, al governo del popolo, si fosse unita l’elettrificazione del paese, quindi lo sviluppo di un sistema industriale compiuto. Noi sappiamo che tutto questo alla fine non è avvenuto. Noi abbiamo voluto recuperare questi due termini all’interno di una canzone dei CCCP, perché mi piaceva l’idea che noi siamo l’elettricità, i nostri corpi sul palco sono l’elettricità.
Hai attivato un crowdfunding su Music Raiser che suona non come una semplice raccolta fondi ma come una “chiamata alle armi” che presuppone un senso di appartenenza. Ti rivolgi a filosovietici, delusi o infiammati, scettici, astorici, antichi militanti, simpatizzanti, curiosi, malcapitati, agnostici. Come funziona?
Ogni privato cittadino attraverso queste piattaforme può dare un supporto ad una determinato progetto artistico, contribuendo economicamente ad esso, c’è un sistema di scambio fatto di ricompense che possono essere CD, LP, magliette, gadget, poltrone speciali per il concerto. Questo progetto a livello economico è ovviamente molto più impegnativo di quanto potremmo raccogliere su MusicRaiser.com, ma noi abbiamo inteso questo crowfunding, appunto, come chiamata alle armi, per riconoscersi, per capire il livello di interesse nel progetto, per avere anche proposte precise di percorso, per creare affezione e anche per promuovere il progetto stesso. E’ sicuramente un meccanismo molto comodo e soprattutto molto diretto di interazione con il pubblico.
“I Soviet + l’Elettricità” è l’incipit di Manifesto, uno dei cavalli di battaglia dei CCCP. Lenin all’elettrificazione della Russia ha dedicato ampio spazio in molti dei suoi discorsi. In Manifesto voi però affermate: “I Soviet + l’Elettricità non fanno il comunismo”. Allora cosa poteva dare origine, secondo te, ad un comunismo più efficace?
Io credo che la risposta non possa essere individuale. Noi occidentali viviamo in un mondo privilegiato, in quanto abbiamo la possibilità di emanciparci, di riscattarci, di condurre delle vite colte e fortunate. Ma sono tutte soluzioni individuali, una soluzione collettiva è lontanissima solo da pensare in questo momento. Purtroppo i grandi scatti dell’umanità avvengono sempre dopo delle tragedie incredibili. Pensiamo che, dai tempi di Atene, la prima volta in cui gli uomini sono diventati veramente cittadini è stato solo dopo la fine della seconda guerra mondiale. Solo lì c’è stato lo scatto, dopo una serie infinita di guerre di religione e poi dopo la prima guerra mondiale. E adesso viviamo, con tutta una serie di difficoltà, in uno dei periodi di pace più duratura che sia mai stato concesso agli uomini. Questa pace deriva esclusivamente dalla tragedia che hanno dovuto scontare le generazioni prima di noi. Adesso nessuno vuole un massacro per rimettere a posto il mondo, Mao diceva che se ci fosse stata una terza guerra mondiale, dopo di essa tutto il mondo sarebbe comunista, ma io non me lo augurerei uno scenario del genere, se lo scotto da pagare è un altro massacro infinito. La cosa che mi auguro invece è che tutti noi possiamo tornare ad essere cittadini, perché siamo stati depauperati di questo ruolo negli ultimi 25 anni e abbiamo perso tutti i diritti che erano stati acquisti nei decenni precedenti, le garanzie si sono volatilizzate, lo stato sociale si è dissolto, il profitto domina incontrastato e quelle che sono le classi più deboli non hanno praticamente nessuna possibilità di assistenza, non interessano a nessuno, non fanno audience, non fanno voti e credo che da tutto questo stato di cose non sarà facile uscire. Io credo che la maggiori colpe di tutto questo siano esclusivamente della sinistra. Credo anche che la sinistra in Italia abbia molte difficoltà a governare questo paese sopratutto a livello nazionale, è riuscita molto meglio, invece, nel governo delle regioni. Allora mi domando se come sinistra non sia meglio a livello nazionale ritagliarsi un ruolo di ‘grande opposizione’, anche perché a livello nazionale governare significa assumere degli atteggiamenti di compromesso con alcune realtà con cui il compromesso è praticamente impossibile, mentre il ruolo di una opposizione molto forte sarebbe molto più salutare per la sinistra di oggi.
Tu hai partecipato all’edizione di quest’anno dello Sponz Fest in Alta Irpinia diretto da Vinicio Capossela e dedicato al centenario della rivoluzione russa. Il titolo della manifestazione voleva celebrare tutti i mondi all’incontrario possibili. E tu stesso vieni da un mondo all’incontrario, che è la provincia emiliana, quella che anche a livello musicale ha dato sicuramente molto all’Italia. C’è una rivoluzione culturale possibile contro questa forma di dispotismo della conoscenza che rende tutto talmente immediato e veloce?
E’ sempre un problema di forme di cultura, ognuno di noi può scegliere di spegnere il computer, la televisione o il telefono in un attimo, annullando completamente quei mondi. Io credo che la vita sia molto più complessa di come ce la presentano i giornali e le televisioni. Anche la corsa verso il progresso e la crescita continua non è qualcosa di adatto al futuro, dovremmo adottare delle forme di collegamento tra di noi completamente diverse per poter durare ancora un po’ di tempo, altrimenti è una lotta contro la natura ed è una lotta persa, perché contro le forze naturali la battaglia è sempre persa in partenza, quindi dobbiamo individuare qualche forma di patteggiamento per potercela cavare per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
Era il 1981, avevi 24 anni, andavi verso Berlino Ovest alla ricerca di un mix di intensità e fragilità che solo Berlino poteva offrire. Lì c’era quella “signora muraglia austera e disadorna, dal seno piatto, vestita di grigio”. Massimo Zamboni e Lindo Ferretti, se oggi avessero 24 anni, verso quale Berlino partirebbero per rifondare i CCCP?
Questa è una bella domanda, perché il mondo dovrebbe essere sempre affrontato con gli occhi della sorpresa e della non-conoscenza e così sarebbe sempre un mondo pieno di creazione, di promesse. Io mi rendo conto di non avere uno sguardo nuovo sul mondo attuale, ho uno sguardo antico, quindi mi diventa molto difficile capire dove potrebbe nascere della novità. Credo, però, che vada ribadito che il mondo non è un territorio estraneo a noi e che il mondo, con tutta la sfacciataggine che avevamo allora, è nostro, al di là delle frontiere e della impossibilità e facilità di praticarlo, perché i viaggi low budget ci consegnano solo una breve vacanza, non ci consegnano il mondo. Credo, però, che ci sia ancora molto bisogno di mettere intensità nello sguardo che possiamo avere verso il mondo. E che vada pratica tutta questa intensità, perché da uno sguardo attento e da uno sguardo intenso possono nascere nuovamente i CCCP in qualsiasi momento, purché si accetti di non confrontarsi con il mondo della musica e dell’arte di per sé, ma con la vita nel pieno senso della parola.
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