Musica
Viaggio nella musica strumentale del paese del melodramma
Le musiche per pianoforte di compositori italiani dal tardo Settecento a oggi.
Dopo la grandissima esplosione e invenzione di forme nuove del primo Settecento sembra che l’Italia esaurisca il suo interesse per l musica strumentale e si concentri nell’esclusiva produzione di musica teatrale. In realtà non è proprio così. I compositori continuano a scrivere per gli strumenti, e compongono anche capolavori, come i Peccati di vecchiaia di Rossini (si sentiva vecchio già a 38 anni), e c’è poi il fenomeno europeo e mondiale di Paganini, ma in genere alla musica strumentale i musicisti italiani dell’Ottocento dedicano il tempo lasciato libero dalle occupazioni teatrali. La rinascita si attribuisce di solito a Giuseppe Martucci e a Giovanni Sgambati. Ma in realtà musica strumentale si è continuata a comporre anche da chi si dedicava soprattutto al teatro. René Leibowitz, nel suo libro sull’orchestrazione, giustamente osserva che se si pensa che scrivere per orchestra sia comporre solo concerti e sinfonie, certo gli italiani dell’Ottocento non si dedicano al pensiero orchestrale. Ma il pensiero orchestrale degli italiani nell’Ottocento va cercato nell’orchestra del melodramma, soprattutto in Rossini e in Verdi, che hanno un’orchestrazione assai originale. E il pianoforte? Il pianista Giancarlo Simonacci ha pensato di offrire al pubblico che ha affollato la sala del CIMI (Centro Italiano di Medicina Integrata) a Roma una sorta di viaggio in quasi tre secoli di musica pianistica composta da musicisti italiani. Curare con la musica la salute del cuore e della mente dove si cura la salute del corpo. Men sana in corpore sano dicevano i medici antichi. E Simonacci fa cominciare il viaggio nel tardo settecento con il Minuetto in Sol (1785, l’anno delle Nozze di Figaro di Mozart) di Fedele Fenaroli. Mozart, naturalmente, è le mille miglia lontano da questo minuetto, e anche Boccherini, annegato nei suoni e nei ritmi della Spagna borbonica. En passant, si ascolti, di Boccherini, la Ritirata da Madrid, riscritta, anzi genialmente reinventata, da Luciano Berio, giusto per abituarsi al corto circuito tra passato e presente al quale spessissimo la musica ci sottomette, e meno male, caso mai vivessimo nell’illusione che solo l’oggi abbia scoperto il piacere di vivere, e che il passato, se mai, è solo un consolante ripostiglio di gradevoli armonie. Karl Kraus, però, il grande scrittore austriaco del primo Novecento, ci avverte: “Ho una notizia catastrofica per tutti i nostalgici e per tutti gli esteti: un tempo la vecchia Vienna era nuova”. E di fatti, guarda un po’, ai suoi contemporanei, Mozart, il musicista che a noi oggi pare così suadente e godibile, appariva ostico, “troppo drogato”, scrive la Wiener Musikalischer Zeitung, la gazzetta musicale viennese, riecheggiando un commento del compositore italiano Giuseppe Sarti. Il minuetto è nel Settecento quello che sarà nell’Ottocento il valzer. E di fatti nel minuetto di Fenaroli si respira una misura, un distacco che Verdi travolgerà con il valzer schizzato distrattamente su un foglietto, e recuperato, orchestrato da Nino Rota per il valzer finale del film Il Gattopardo di Luchino Visconti. Che Simonacci ci fa ascoltare, ma dopo averci però prima proposto una Fantasia di Cherubini e un rossinianissimo peccato di vecchiaia, Memento Homo, ricordati Uomo: inesauribile e inimitabile Rossini! riesce a ridere anche della propria morte, e della morte di ognuno, dimostrandosi tra l’altro maestro inappuntabile di contrappunto. Era per lui l’arte della musica: “chi preferisce la ricotta ai formaggi”, scrive, “è come chi preferisca un’aria a un concertato, e i formaggi francesi sono tutti ricotte”. Mescolare l’arte dei suoni con quella delle pentole è a suo modo anch’esso un contrappunto. La Fantasia di Cherubini è come tutta la sua musica: geniale nell’invenzione, ma priva dello scatto che ne faccia inimitabile poesia. Che c’è, e senza fine, nel valzer verdiano. Seguiva una interessante Barcarola di Arrigo Boito, in cui si sperimentano, simultaneamente associate, le sonorità acute e gravi del pianoforte. Il modello è forse Beethoven, che pura ama spingere le mani del pianista, simultaneamente, ai lati estremi della tastiera. Ahi, quanto è consolante la musica del passato, vero? Mannagia, ma che? fanno sul serio? anche nel passato erano sperimentali? Eh sì, lo erano. Ed eccoci a Puccini, il beniamino delle sartine, diceva Giacomo Debenedetti, colui che aveva portato sulla scena i sentimenti della piccola borghesia. Ed è di fatti adorato dalla piccola borghesia del mondo. Peccato, però, che nell’entusiasmo dell’adorazione, non si accorgano che Puccini alla fine li denuda, li smaschera, li deride: la risata di Gianni Schicchi li seppellisce. E tuttavia c’è anche in queste paginette della mano sinistra il cinismo di un’esibizione del sentimento che di fatto ne mostra l’inconsistenza. E non poteva mancare il musicista futurista, amico di Boccioni, Silvio Mix, morto ventisettenne.
Il brano s’intitola come un’opera dell’amico più celebre, Stati d’animo. Di futuro ce n’è poco – siamo nel 1923 e ben altro accadeva in Francia, in Austria, in Germania, in Russia, e perfino negli USA. È quasi più “meccanica” la Marcia, Telefunken, apparsa nel 1929, di Riccardo Zandonai, una marcetta che sembra ignorare gli spasimi della Francesca da Rimini, ma non già l’aggiornatissima condotta armonica. E così entriamo nel benedetto – o maledetto – a seconda delle prospettive di gusto e sì, anche di cultura musicale. Una pagina relativamente giovanile, del 1937, di Giacinto Scelsi, nato a Arcola, La Spezia nel 1904, e morto a Roma nel 1988, Terzo Poema “Chemin du rêve“, cammino del sogno, brano sospeso in un dove da immaginare, e l’interessantissimo, soprattutto armonicamente, Ricercare di Gino Gorini. Melodia dei miei vent’anni è un pezzo che sorprende felicemente di Franco Alfano, oggi ricordato soprattutto per avere completato l’incompiuta Turandot di Puccini, ma in realtà compositore da riconsiderare con rispetto, se non altro per le opere Resurrezione, da Tolstoj, e Sakùntala, antica saga finlandese. Già il semplice ascolto ci obbliga a rivedere tutti gli ormai consolidati stereotipi sul verismo italiano. Come per Zandonai, e naturalmente per Puccini, per Alfano proprio non si può parlare di poetica veristica. Questa melodia dei miei vent’anni fu composta nel 1944, quando il compositore, nato nel 1875, aveva dunque 69 anni.
È una melodia semplice, ma sinuosa, struggente, quasi da canzonetta. Il suo fascino sta proprio in questa sua semplicità struggente. Nello stesso anno un giovanissimo, 19 anni, Aldo Clementi compone il suo Preludio. Domina già la cifra che sarà sua: un’elaborazione rigorosamente contrappuntistica. Ma non rifiuta l’eccesso di un’espressività quasi espressionistica. Conclude la serata Le fantôme de la valse oubliée di Francesco Pennisi. Liszt, che di valses oubliées ne ha scritte più di uno, è un fantasma, un’ombra riflessa nello specchio. È tra le pagine tarde di Pennisi, sarebbe morto due anni sopo, nel 2000. A ritroso vi si legge non solo la sua avventura musicale, ma quella di un’intera generazione. Al pubblico plaudente Simonacci ha concesso due bis: un breve e commosso ricordo di Francesco Pennisi, Si maravigghia, si meraviglia, e le Proiezioni sonore di Franco Evangelisti, pagina visionaria quanto altre mai. E proprio da questo pezzo di Evangelisti, di arduissima esecuzione, e dal proprio brano, si può ammirare la lettura musicale al pianoforte di Giancarlo Simonacci: legge la musica come tutti dovrebbero leggerla, ricomponendola con la mente e con le dita. Si dirà che non tutti coloro che suonano conoscono l’arte della composizione. Vero. Ma almeno quella dell’armonia dovrebbero conoscerla. Meglio comunque se sanno decifrare anche i procedimenti del contrappunto e della composizione. È una marcia in più, come per chi legga poesia, conoscere la metrica. Si restituisce all’ascoltatore la chiarezza del disegno che il compositore si è figurato scrivendo la musica. In questo Simonacci è chiarissimo, un maestro.
Che poi sia anche lui un compositore, certo, lo aiuta. Confesso di avere sempre amato gli interpreti che sono anche compositori o che leggono le partiture da compositori, Bruno Walter, Leonard Bernsein, Wilhelm Furtwaengler, tra i direttori, per citare solo i nomi più famosi, Sviatoslav Richter, Pollini, Kempf e molti altri, tra i pianisti. No che non ami anche la sensibilità degli altri. Ma per costoro ho una sorta di predilezione. Simonacci si aggiunge, e con onore, al gruppo. Anche per il piacere di restituirlo il piacere della lettura suonandolo per gli altri. Ultimo bis, un terzo, è stato così ripetere la bellissima melodia di Franco Alfano. Nostalgia degli anni fuggiti, della giovinezza? distacco ironico alla Rossini? Tutto questo, forse, ma sempre con la leggerezza e il piacere di misurare il tempo che passa leggendo le costellazioni sonore della musica.
Nota: nella foto la famiglia Simonacci e il gatto Mirò.
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