Musica
“Uncompletely Unknown” e qualcos’altro che so su Bob Dylan
Il passaggio all’elettrica, che ha avuto il suo mito fondativo nel concerto di Newport nel luglio del 1965, quando Dylan era considerato il più importante cantante della scena folk americana, ha rappresentato una delle tante tappe della sua visione.
Nel biopic “A Complete Unknown” si racconta della celeberrima svolta elettrica del cantautore premio Nobel Bob Dylan, interpretato da Timothée Chalamet pronto a prendersi tutti i premi del mondo, candidato ad otto nomination all’Oscar. Suze Rotolo non c’è. Non col suo nome, almeno: ha le fattezze di Elle Fanning e un altro battesimo, Sylvie Russo. Ma è impossibile non collegare le iniziali di “chi è la donna sulla copertina di The Freewhelin’” dal film alla vita reale.
Il regista James Mangold racconta una storia di un enigmatico diciannovenne proveniente dal Minnesota con una valigia, la sua chitarra, uno strabiliante talento per la musica folk, pochi soldi e tanti sogni. Dylan lascia la periferia per arrivare nella Grande Mela; la New York dei primi anni Sessanta é lo sfondo di una vibrante scena musicale e di tumultuosi sconvolgimenti culturali, qui Robert Zimmerman, in arte Bob Dylan, riesce a conoscere il suo mito. Canta per il suo mentore Woody Guthrie, ricoverato in ospedale in stato vegetativo, e qui conosce Pete Seeger (Edward Norton), di cui diventa grande amico e che scopre il suo vero potenziale. Iniziano le prime esibizioni nei club folk e le incisioni. Ogni giorno trascorso a New York era l’occasione per fagocitare tutto ciò che di musicale gli girasse intorno, libri, dischi, spartiti. In breve tempo Bob Dylan entrò nella comunità dei musicisti del Village, Song to Woody, dedicata al suo beniamino, e Talkin’ New York completano il suo disco d’esordio intitolato semplicemente Bob Dylan che però ha scarso successo.
Dylan stava vivendo una fase di importante crescita anche sotto il profilo culturale, stimolata dal rapporto sentimentale con Suze Rotolo, ragazza brillante, artista, pittrice, e socialmente impegnata nella difesa dell’uguaglianza razziale. Le lunghe chiacchierate con lei, cui si aggiungono dibattiti di letteratura, poesia – Arthur Rimbaud e Bertolt Brecht che entrano nelle fonti ispiratrici del menestrello di Duluth grazie a quella ragazza dall’intelligenza sopraffina- lo stimolano ad avvicinarsi alle tematiche relative alla lotta per i diritti civili.
Lo sguardo basso, le spalle strette per ripararsi dal freddo. A sinistra, sfocato, un Maggiolino Volkswagen azzurro. La copertina di The Freewhelin’ e la foto più famosa di Bob Dylan e Suze Rotolo, la storia d’amore che incorniciò i primi anni Sessanta tra romanticismo artistico e impegno politico.
L’amore tra Bob Dylan e Suze Rotolo è stato autentico, concreto, costellato di discussioni e stimoli, diviso e divisivo fino a cessare per mancanza. Di stabilità, forse, o di attenzione.
Testimonianza di un’analoga crescita dal punto di vista conoscitivo é The Freewheelin’ Bob Dylan, il suo secondo album, che ebbe un impatto fortissimo su pubblico e critica. L ‘album si muove attraverso due grandi linee tematiche: l’incombente fine del mondo generata dallo scoppio di una Terza Guerra Mondiale, mai così vicina dopo la crisi missilistica di Cuba, la condanna senza pietà dei potenti del mondo che ne hanno in mano le sorti, e contestualmente la fine di una storia d’amore.
L’album si apre con Blowing in the Wind, che all’epoca della pubblicazione era diventato già un inno generazionale, che con il susseguirsi di interrogativi incalzanti sull’uomo evoca il sentimento di precarietà verso il futuro che aleggiava in quel periodo. Una ode universale e atemporale che, unita alla sua melodia semplice e diretta, ne ha fatto un vero e proprio patrimonio della cultura umana. Il vero disco di protesta, e una sorta di annuncio preparatorio, fu “The Times They Are A Changin’ “, il movimento dei diritti civili e il movimento della folk music furono abbastanza vicini e alleati per un certo periodo, in quell’epoca.
Fu in quel periodo che intensificò l’amicizia con Joan Baez, all’epoca considerata una delle grandi voci del folk, e insieme si esibirono prima a Monterey Folk Festival, poi a Newport Folk Festival. I tempi stavano cambiando velocemente: i giovani, sfuggiti al controllo esercitato dai genitori, correvano verso una libertà che sembravano non saper gestire in alcun modo. In ogni brano Dylan canta del presente e del futuro dell’America, rivolgendo lo sguardo al passato, alle storie di quarant’ anni prima, raccontando di minatori, emarginati e proletari. L’esempio piu chiaro é ” With God on our side “, che finisce con l’invocazione ” Se Dio è dalla nostra parte, impedirà la prossima guerra”, facendo riferimento al conflitto armato che si combatteva in Vietnam dal 1955. Il disco si chiude con un brano di addio, ” Restless Farwell“, che può essere considerato il suo congedo dal movimento per i diritti civili.
Presto Dylan prenderà congedo anche dalla vita di Suze che si sentiva un’esteanea, non aveva più un posto nel mondo della sua musica e della sua fama, si sentiva sempre più insicura, solo una corda della sua chitarra. Ma ad alimentare le ambizioni del menestrello e a dargli altro materiale di ispirazione si é già affacciata la volitiva Joan Baez, tra palchi e duetti il cantautore del Minnesota capitola senza farsi troppi problemi. La relazione segreta tra Bob Dylan e Joan Baez, anche se entrambi lo spacciano inizialmente per per sodalizio artistico, è il primo scossone alla ricercata quiete tra Dylan e Rotolo.
Il 22 novembre viene assassinato, a Dallas, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy e Dylan, fortemente scosso da questo evento, trascorse le successive 48 ore davanti alla TV con Suze, nel loro appartamento di Greenwhich. Fu allora che capì che sperare di cambiare le cose era un’utopia poiché, come era successo anche a Cristo, c’è chi cerca di sbarazzarsi di chi scomodamente racconta la realtà. Come rapidamente c’era stato il suo avvicinamento alla protesta song, allo stesso modo si consumò il suo allontanamento.
Il 25 luglio 1965, Bob Dylan sale sul palco del Newport Folk Festival accompagnato da una band di rock – blues e suonando a tutto volume. Quel breve set elettrico di una ventina di minuti, cambia il corso della storia della musica del Novecento, spiazzando la critica e facendo infuriare i puristi del folk e protestare il suo pubblico. Pete Seeger con un’ascia voleva tagliare i cavi dell’amplificazione, dirà che le parole sono incomprensibili e si reca dai tecnici del suono a cui ordina di togliere l’eco della voce di Bob, mentre questi gli rispondono che é così che la vogliono.
Sta di fatto che, ancora una volta, Dylan sa essere nel posto giusto al momento giusto e col pezzo giusto, quel pezzo si chiama Like a Rolling Stone, uno dei brani più
ascoltati che raggiunge il secondo posto della classifica dei singoli in America con i suoi sei minuti e mezzo di durata, superando i canonici tre minuti.
Il passaggio all’elettricista, che ha avuto il suo mito fondativo nel concerto di Newport nel luglio del 1965, quando Dylan era considerato il più importante cantante della scena folk americana, ha rappresentato una delle tante tappe della sua visione e, sebbene abbia inasprito il suo rapporto con il suo pubblico di allora, a distanza di tanti anni sembra del tutto naturale.
Questo non vuol dire che non avrebbe potuto andare altrimenti. Significa, in prima istanza, ciò che noi posteri sappiamo e che sapeva probabilmente anche qualche contemporaneo più avveduto: il cambiamento era insito nella narrazione di Dylan. Non è certo un caso che sia riuscito a farsi largo, nel giro di poco tempo, nella scena musicale e artistica alternativa newyorkese e tra i folksinger che si muovevano in un ambito che frequentavano prima di lui, interpretando la tradizione musicale americana nella prospettiva comune di attualizzarne le forme.
Dylan é andato avanti, ha rotto un incanto nel quale la generazione dei primi anni Sessanta voleva continuare a crogiolarsi, e oggi lo celebriamo come un musicista che – in coerenza con il suo stile bipolare di outsider/insider – ha vinto il Nobel per le sue canzoni. Tra i criteri di attribuzione del premio ce ne sono un paio che chiudono una parabola che, plausibilmente, connette questo riconoscimento prezioso a quei cambiamenti così disorientanti che hanno reso unica la carriera di Dylan “avere massima rilevanza in campo idealistico ed essere il beneficio per l’umanità”.
Nessuno é stato in grado di dire con certezza se durante le esibizioni elettriche della prima ora di Dylan fossero più i fischi o gli applausi, se fossero più gli insoddisfatti e increduli o gli illuminati dalla nuova veste con cui Dylan aveva ricoperto la sua performance.
Bruce Springsteen – in occasione del discorso tenuto per l’ingresso di Dylan nella Rock and Roll Hall of fame – sintetizza in modo perfetto quello che ha rappresentato il contributo del “menestrello” più contemporaneo e fuori dal tempo di tutti alla cultura musicale occidentale:
“Bob ti liberava la mente come Elvis liberava il corpo” oppure ” aveva la visione e il talento per infilare il mondo intero in una canzone” e, infine, “quando avevo quindici anni e sentivo Like a Rolling Stone, ascoltavo un tizio che aveva il fegato di prendersela col mondo intero e che mi faceva sentire come se anch’io avessi dovuto farlo”.
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