Musica

Un simbolo dell’effimero

Le scene dal Faust di Goethe di Schumann sono un affresco della storia del mondo, del senso che ha per l’uomo la sua storia.

16 Aprile 2025

Il giovane Schumann fu per qualche tempo indeciso se dedicarsi alla letteratura o alla musica. L’interesse per la letteratura gli fu instillato dal padre August, scrittore e libraio. La passione musicale, però, alla fine prevalse. Ma restò, per tutta la vita, l’interesse per la letteratura, restò, soprattutto, la curiosità per gli scrittori contemporanei. Goethe tra questi: quando il grande poeta e drammaturgo e romanziere muore, nel 1832, Schumann ha 22 anni. E ha già letto il primo Faust. Ma anche i romanzi. Werther, naturalmente, e Le affinità elettive, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (Gli anni di peregrinazione usciranno più tardi, come la seconda parte del Faust). Oltre alle diverse raccolte di poesie, in particolare il West-östlicher Divan (il Divano occidentale-orientale). Goethe rimase, per tutta la vita, amatissimo, anzi, il poeta e lo scrittore di riferimento. Il secondo Faust uscì proprio nell’anno della morte del poeta. I personaggi del Faust e Wilhelm Meister accompagnano, si può, dire, tutta la vita di Goethe. Ma poi il secondo Faust colpì subito la fantasia del giovane Schumann, che già aveva letto con entusiasmo la prima parte. E intanto altri scrittori e poeti erano entrati nel suo mondo fantastico: Chamisso, Heine, Jean Paul Richter, E A. T. Hoffmann. Heine lo accomunava a Schubert: un’affinità segreta unisce gli ultimi Lieder di Schubert al Dichterliebe di Schumann. La dizione melodica del verso, la funzione di commento emotivo, drammaturgico del pianoforte ne costruiscono la singolarità. Con la pubblicazione della seconda parte del Faust il quadro si completava: Faust era il simbolo dell’inquietudine moderna – Gleichnis, come dice il Coro Mistico, nella conclusione della tragedia. La magia come strumento di dominio sulla Natura è appunto l’immagine, il simbolo della tecnologia, dell’industria via via più dominante.

L’assistente di Faust, Wagner, costruisce in laboratorio una creatura umana, Homunculus, che da una parte rinvia agli automi di Hoffmann e dall’altra sembra preannunciare i robot. Il sogno di vedere “un popolo libero su libera terra” è, però, una mistificazione di Mefistofele: i lemuri stanno scavando la fossa di Faust ormai vecchissimo e accecato dall’Angoscia (Sorge, qualcuno traduce più spesso con Cura). La liberazione (Erlösung, spesso tradotto anche con redenzione) avviene per intercessione della ragazza sedotta e uccisa dalla giustizia umana, perché matricida e infanticida, Margherita, Gretchen, l’Eterno Femminino che veglia sulle sventure del destino degli uomini. Goethe lo aveva già fatto dire all’eroina dell’Ifigenia in Tauride, la sorella di Oreste: gli uomini sanno solo uccidere, e le donne, madri, sorelle, figlie, si vedono sempre costrette a piangere i morti ammucchiati dagli uomini nel corso della storia. Questo complesso mondo di idee e di poesia travolge Schumann. E ne nasce un capolavoro inimitabile: Le scene dal Faust. In origine doveva essere la sognata “opera tedesca”, ma finisce per essere lo schizzo di alcuni quadri che disegnano il percorso esistenziale di Faust, dall’amore per la ragazza che seduce alla disperazione della vecchiaia, ma è anche la parabola della modernità, dall’utopia di cambiare il mondo al riconoscimento che è sforzo impossibile. Messaggio di un’attualità bruciante. Qualcuno ha tentato perfino di metterle in scena, queste Scene dal Faust: Virginio Puecher al Teatro La Fenice di Venezia nel 1984. Fu uno spettacolo avvincente che ebbe molto successo. Forse Schumann il nuovo teatro tedesco lo aveva inventato proprio con queste Scene dal Faust più che con la sfortunata Genoveva, opera che però Harnoncourt definiva la più bella di tutto l’Ottocento.

Daniel Harding ha diretto questa pagina sublime nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, l’11 aprile scorso, repliche il 12 e 14 aprile. Quando abbassa le mani, che erano rimaste sospese in aria sull’ultimo accordo, in mezzo a un grande silenzio, c’è alla fine come il liberarsi di una forza trattenuta: il pubblico esplode in un uragano di applausi, e perfino l’orchestra, i due cori, i solisti, applaudono e gli applausi si fanno alla fine un battito ritmato che si rifrange per tutta la sala. È un applauso che sfoga una intensa emozione. Rare volte, infatti, si è ascoltato, per circa due ore e mezzo, una così densa, profonda penetrazione di una realtà poetica e musicale estremamente complessa quale è questa partitura di Schumann: se ne resta colpiti e commossi. Ed è giusto che sia così. Tutto ciò che si è venuto a delineare, molto sommariamente, nelle righe precedenti, è in realtà una lettura del Faust di Goethe che battuta per battuta ci fa cogliere il pensiero, la visione che sia Goethe sia Schumann vogliono comunicarci della vita umana, della storia dell’uomo, del suo tendere – Goethe dice streben e Schumann ne sospende su dissonanze la melodia appena abbozzata – riconosciamo un principio unificatore che dà senso alle azioni, che spiega, o sembra spiegare, la realtà dl dolore, ma senza tuttavia riuscire mai a toccarne la fonte, la spiegazione o almeno il risarcimento definitivo, come dice un altro personaggio goethiano, Cecilia, in Stella, commedia o tragedia a seconda di quale finale si adotti nella messinscena, quello felice del rapporto a tre delle due donne con l’uomo amato da entrambe, o quello tragico del suicidio di Cecilia, che così lascia libero il campo alla rivale Stella.

Con la conduzione delle mani di Harding che guidavano l’orchestra, i cori, i solisti, l’ascoltatore è scortato a cogliere l’inquietudine irrisolta e irrisolvibile di Faust, l’angoscia di Gretchen che inutilmente invoca la Madonna dei sette dolori, “ed era così bello, così bello”, dirà in un’altra scena, che Schumann non ha intonato: “il paradiso che mi ha condotto a questo inferno”. Il direttore britannico, che è anche pilota sugli aerei di Air France, ha una lunga familiarità con questa partitura. L’ha perfino incisa su disco (BR Klassik). Il rapporto tra testo e melodia in Schumann è raffinatissimo, la melodia sembra nascere dal suono stesso delle parole e tuttavia conservare un’autonomia melodica, come se la musica cominciasse dove le parole non possono più dire, ed ecco allora che avviene il miracolo di una musica che sembra farsi linguaggio. Questo miracolo Harding sembra averlo compreso fino in fondo: aiutato, chi sa, da una prosodia del verso inglese simile a quella tedesca. Tutto, sotto la sua direzione, diventa canto, anche il suono dell’orchestra, dei singoli strumenti, ma un canto particolare, che ha la scansione, la misura del verso, il ritmo della sillabazione della parola, il fluire del linguaggio verbale. La frase respira come fosse il naturale fiato di una voce umana, anche se è magari solo un violoncello a suonare. Esemplare l’attacco dell’ouverture, l’ultima pagina ad essere stata composta, già predisposta alla vicenda che seguiremo, nel corso dei quadri: gli accordi sono secchi, aspri, quasi brutali, subito però seguiti da un motivo che è più un’intenzione di canto che veramente canto, un frammento melodico che sembra l’accenno di qualcosa dell’indicibile, dell’inesprimibile, che sempre la poesia, la musica vorrebbero cogliere, quasi la traduzione musicale dei versi finali della tragedia, “l’insufficiente / ha qui compimento, / l’indescrivibile / è qui attuato”, ma poi la melodia arriva e il pieno “attuarsi” di questo canto illumina la meta finale, il raggiungimento della liberazione. Su questa impostazione della dizione e del fraseggio, che fa assumere alla musica il respiro della lingua parlata, Harding chiede alle voci, all’orchestra d’impastare un suono il più morbido possibile, il più delicato, di modo che i momenti di ferocia, di furore, che spesso lo interrompono, lo disgregano, appaiano ancora più feroci, più taglienti.

Gli interpreti, tutti, rispondono con rara felicità espressiva alle intenzioni del direttore, a cominciare dal Faust di Christian Gerhaher – la scuola di Fischer-Diskau si sente – la proprietà della dizione, la flessibilità delle sfumature espressive, di tenerezza, di stupore, di rancore e perfino di rabbia, e alla fine di un dolore sommesso, arreso, sconfitto dall’approssimarsi della fine, senza che un solo piacere lo abbia veramente appagato, un Faust che sul punto di morte ancora s’illude che il male compiuto ora possa dare spazio a un’opera benefica per l’umanità, la costruzione di una diga. Gerharer sa modulare le parole sull’onda della melodia, ma anche piegare la melodia a sillabare le parole, a farsi supporto emotivo di ciò che le parole non sanno, non possono dire. C’è una grande familiarità con la pratica del Lied, in questo canto così flessuoso, così mutevole, così aderente alla musica del verso e all’altra musica che la musica sa imporre al fluire delle parole. Ma come dimenticare la dolcezza della Margherita di Christiane Karg, che dà voce anche alla Penitente della Redenzione finale, la trasfigurazione nell’Eterno Femminino della ragazza violata che ora nelle dimore degli Eremiti salva Faust e salvandolo salva l’umanità intera. O come tralasciare la cupa perfidia del Mefistofele di Falk Struckmann, visto e ascoltato anni fa come indimenticabile Kurwenal in un memorabile Tristano diretto da Barenboim a Bayreuth, e qui ora incarnare il male che insidia la storia, piegare la sua voce alle sinuose seduzioni del crimine, alla dolce persuasione del piacere che viola l’innocenza?

La duttilità dell’Orchestra, del Coro, dei solisti del Coro, del Coro di voci bianche dell’Accademia segue questa colossale costruzione dell’affresco musicale con una naturalezza, una flessibilità ammirevoli. Tutto l’insieme restituisce meravigliosamente la complessità quasi insondabile, smisurata dell’invenzione schumanniana: davvero una serata indimenticabile. E in momenti cupi come quelli che attualmente stiamo vivendo, con messaggi di distruzione e di morte che ci vengono dai quattro angoli del mondo, questo Faust ci appare un messaggio che da una parte sconforta, per la perennità del male che affligge il mondo, e dell’inutilità, sembra, di combatterlo, ma ci proietta anche dall’altra in quel mondo ideale delle utopie incompiute, eppure indispensabili, senza le quali la vita sulla terra sarebbe un inutile sacrificio. Esultate! L’applauso che esplode in sala quando Harding abbassa le mani è anch’esso un messaggio o, meglio, la risposta al messaggio di Goethe e alla perorazione di Schumann così lucidamente e intensamente letti da Harding: finché un poeta come Goethe ci parlerà con queste parole e un musicista come Schumann le materializzerà in un canto che accosta insieme l’inferno della sofferenza umana e il sublime, almeno poetico, almeno musicale, della sua redenzione, l’umanità tutta non è ancora perduta, e la storia può sperare di trovare finalmente, forse, una spiegazione, certamente un senso che non sia solo la successione inesorabile di stragi e di catastrofi.

Orchestra, Coro e Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
direttore Daniel Harding

baritono 
Christian Gerhaher Faust / Pater Seraphicus / Doctor Marianus
soprano 
Christiane Karg Gretchen / Büßerin / Una Poenitentium
basso 
Falk Struckmann Mephistopheles / Böser Geist
soprano 
Johanna Wallroth Marthe / Sorge / Jüngerer Engel / Büßerin / Magna Peccatrix
mezzosoprano 
Rebecka Wallroth  Mangel / Jüngerer Engel / Büßerin / Maria Aegyptiaca / Mater Gloriosa
tenore 
Andrew Staples Ariel / Pater Ecstaticus / Vollendeterer Engel / Jüngerer Engel
basso 
Alexander Roslavets  Pater Profundus / Vollendeterer Engel / Jüngerer Engel
mezzosoprano 
Annelie Sophie Müller Schuld / Mulier Samaritana
soprano 
Natalia Paula Quiroga Romero Büßerin Soprano II
tenore 
Jesús Hernández Tijera Tenore II
soprano 
Patricia Westley Noth / Büßerin Soprano IV

maestro del coro Andrea Secchi
maestra del coro di voci bianche Claudia Morelli

Roma, Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 11, 12, 14 marzo 2025

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.