Musica
Un eterno adolescente, motore della vita?
Mi scuso del ritardo con cui scrivo del saggio mozartiano di Cinzia Dichiara. Confesso che all’inizio l’argomento non mi seduceva. Mi pareva, anzi, sproporzionato il rilievo del titolo al rilievo che il personaggio di Cherubino assume nell’opera. Diffidenza simile confessa anche Philipp Gossett -ahinoi! scomparso – nell’introdurre alla lettura del saggio. Gossett si ricrede, dopo la lettura. E lo stesso è accaduto a me. Che Cherubino rappresenti, e lo rappresenti nella sua attuazione più immediata e più esplicita, tutta la sconvolgente ambiguità che nel teatro di Mozart, e non solo nel teatro, introduce l’irruzione dell’Eros, credo l’abbiano sentito e pensato tutti coloro che abbiano una qualche familiarità con la musica di Mozart e in particolare con il suo teatro.
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Qualcuno, come Kirkegaard, vi ha visto qualcosa di ancora più profondo. E, dagli anni dei miei studi universitari, continuo, infatti, a credere che Kirkegaard resti una delle chiavi interpretative d’accesso alla musica di Mozart non solo più acute e penetranti, ma l’unica, forse, che ne abbia anche colto insieme il valore vero e proprio di pensiero, pensiero musicale, certo, non traducibile in pensiero verbale, ma pensiero, allo stesso modo che Leonardo diceva che la pittura è scienza. Un decisivo influsso deve essere stato, per Kirkegaard, quello delle Lezioni di Estetica di Hegel, nelle quali il filosofo tedesco riconosce alla musica – e, particolare non trascurabile, all’architettura – la prerogativa di mostrare come proprio contenuto la propria forma. Il valore estetico di un tempio greco non è di essere un tempio, ciò riguarda la sua funzione sociale, ma il suo valore estetico è dato dal modo in cui è costruito. E così la musica mostrerebbe come proprio contenuto non ciò che indicano le parole se si tratta di musica vocale, o un titolo, nel caso della musica strumentale, bensì il modo in cui è costruita, e cioè la sua forma. Naturalmente, poi, le forme sono piegate dalle convenzioni e dalle consuetudini a significare questa e quell’altra cosa. Ma il valore estetico di una forma è essa stessa. Nel teatro le cose si complicano. Perché vi si aggiungono altre tradizioni, altre convenzioni.
E qui veniamo al bel saggio di Cinzia Dichiara, che si divide in due parti. Nella prima si segue la nascita dell’opera e si analizza la sua struttura drammaturgica e il carattere dei suoi personaggi. E già in questa prima parte compaiono suggerimenti assai stimolanti come appunto quello che rinvia a Kirkegaard e l’altro, ancora più sottile, a Rousseau. Chiarisce assai bene la complessa genesi della commedia di Beaumarchais e poi dell’opera di Mozart, l’averla giustamente inserita nella storia della Commedia dell’arte e riconoscere nel carattere di alcuni personaggi il tipo di talune maschere, già nella commedia di Beaumarchais. Personaggi come Figaro e Susanna conservano molti tratti di Arlecchino e Colombina. Molière del resto nasce come attore di una compagnia italiana in Francia di comici dell’arte, e il suo ruolo, a cui dedica anche una commedia, è quello di Sganarello. Il genio di Molière riassume poi in un omaggio e insieme una celebrazione della commedia dell’arte, proprio lui che aveva ormai indirizzato la commedia per altre vie (e non sarà un caso che Molière, insieme a Shakespeare, sia il drammaturgo preferito di Mozart), in quel gioiello di teatro nel teatro che L’Impromptu de Versailles.
Ci si aspetterebbe, però, che fosse ricordato anche Marivaux, che è l’anello di congiunzione tra la Commedia dell’Arte italiana, Molière e Beaumarchais. Nella Doppia Incostanza Arlecchino rimprovera Colombina di essersi infatuata di un principe che in realtà vuole solo divertirsi con la sua serva. E aggiunte: Un tempo mi amavate. Colombina risponde: Quando vi amavo vi amavo, ora che non vi amo più non vi amo. Con una leggerezza non solo tutta francese, e tutta “libertina”, ma che appartiene già al clima da cui nasce un personaggio come Cherubino. E in proposito va osservato che nella terminologia teatrale settecentesca i termini commedia per musica, dramma giocoso e opera buffa sono sinonimi. Sarebbe sbagliato leggervi un’insistenza sul carattere di commedia o di dramma, come avverrà nell’Ottocento. Goldoni chiama i suoi libretti “drammi giocosi”: per esempio è un “dramma giocoso” Le Nozze, del 1755, musicato tra gli altri da Galuppi, e con una vicenda simile a quella delle Nozze di Figaro, ed è un “dramma giocoso” Il Finto Principe del 1749, non si sa messo in musica da chi, e così pure Il Mondo della Luna dell’anno seguente, musicato da Galuppi e altri, tra cui Haydn. Che dunque Le Nozze di Figaro si chiamino “opera comica”, il Don Giovanni “dramma giocoso” e il Così Fan Tutte anch’esso “dramma giocoso” non significa niente quanto a caratterizzazione drammaturgica. Sta solo a indicare che si tratta di uno spettacolo comico. Che poi Mozart avviasse l’opera buffa a diventare una vera e propria commedia, del tutto analoga alla commedia del teatro parlato, è un altro discorso. Ma la commistione dei generi serio e comico si trova già alle origini dell’opera buffa, per esempio già nel Flaminio di Pergolesi, che è del 1735. Fin dall’inizio, infatti, l’opera buffa si pone come parallelo comico dell’opera seria, con lo stesso rapporto che la commedia aveva con la tragedia. E sulla trasformazione dell’opera buffa in commedia di costume un grande contributo fu dato da Goldoni, esattamente come aveva già fatto nella commedia. E quindi Mozart in ciò non introduce niente di nuovo.
Assai interessante è tuttavia la descrizione dei personaggi, l’ambiguità dei loro ruoli, che escono in parte dalle convenzioni, pur serbandone il tipo fondamentale, e proprio in tale scarto tra la convenzione e lo sconfinamento di un ruolo nell’altro sta la novità e la vivacità del teatro mozartiano. E tutto questo Dichiara lo mette bene in rilievo.
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La seconda parte del saggio è dedicata all’analisi della costruzione musicale dei personaggi e delle scene, ed è la parte più stimolante di esso. Giustamente Dichiara mette in risalto la complessità strutturale di arie, scene, numeri d’insieme, la loro coerenza tonale, l’elaborazione di una struttura musicale regolata dal principio sonatistico, che permette di piegare l’andamento musicale agli sviluppi drammatici assai più delle forme tradizionali dell’aria. Non è ancora il dramma musicale, ma è già un uso drammaturgico delle forme musicali, e non a caso Wagner vedeva proprio nelle Nozze di Figaro l’inizio del teatro moderno. A mio avviso con ragione. Si badi bene: non è che il teatro fondato sull’aria (che comunque Mozart non abolisce) in cui si afferma l’ “affetto” del personaggio non avesse ragioni drammaturgiche. Ma esse erano altre. L’aria bloccava l’azione, demandata ai recitativi. In Mozart l’aria non solo fa parte dell’azione, ma spesso addirittura la provoca. Tutto ciò, nelle analisi del saggio, è ben chiarito.
Un ultimo cenno sul senso generale che si vorrebbe suggerire: che Cherubino sia il motore di tutta l’azione, sia drammaturgica che musicale dell’opera, cose che tra l’altro in Mozart coincidono, vale a dire drammaturgia e musica,. Illuminante in proposito l’analisi di quello che Dichiara chiama “il Leitmotiv di Cherubino” e che io chiamerei piuttosto “motto”. Ed è vero, si riscontra, basta leggere la partitura. Ma allora che cosa significa Cherubino? Be’, tanto per cominciare, nella pittura del Cinquecento, ma soprattutto in quella francese del Settecento, il bambino con le ali è Eros, Amore. L’Aminta del Tasso si apre e si chiude con la fuga di Amore e sua madre Venere che lo cerca. Ed è un testo che serpeggia sotterraneo in tanta letteratura libertina del secolo dei lumi. Cherubino diventa così il motore dell’azione proprio perché non è direttamente il responsabile di ciò che accade, ma tutto accade perché in qualche modo c’è lui di dietro. Lo dice il Conte, di trovarselo sempre tra i piedi. Il personaggio è un ruolo en travestì già nella commedia di Beaumarchais. Dove gli si danno 13 anni ed è interpretato da un’attrice. Nell’opera di Mozart l’età non è precisata, ma la prima interprete aveva 23 anni. Ed era avvenente.
Ritorniamo a Kirkegaard. Cherubino è l’eterno desiderio sessuale. Più ancora che amoroso (“e quando non ho chi m’oda / parlo d’amor con me”: esplicito riferimento alla masturbazione), anzi il desiderio e basta, ambiguo, inafferrabile, della vita. Così come Margherita nel Faust è l’Eterno Femminino. Mozart e Goethe. Contemporanei, anzi i due più grandi contemporanei di quel momento. Dichiara associa, in un punto, Cherubino a Werther. Ma per negarlo subito dopo. Il pathos dei due personaggi è inconciliabile. Il pendant femminile di Cherubino è Margherita. Che muore, come morrà Cherubino ne La Madre Colpevole, terza commedia della trilogia che comprende Il Barbiere di Siviglia, Le Nozze di Figaro e La Madre Colpevole. Una notte con la Contessa fa nascere un figlio. Aveva ragione il Conte quando consigliava di non sottovalutare le capacità virili del ragazzo. Ma sia Cherubino sia Margherita devono sparire, l’amore assoluto, leggero, inafferrabile, non appartiene a questo mondo. Almeno, così si pensa alla fine della lettura del saggio, anche se ciò Dichiara non lo dice esplicitamente.
Cinzia Dichiara, Voi che sapete. Il personaggio di Cherubino ne “Le Nozze di Figaro”
Introduzione di Philipp Gossett
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Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2017, pagg. 206, € 28,00
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