Musica
Un elfo tra le righe del pentagramma
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Il bis concesso alla fine della mattinata chiarisce il senso del concerto. Un Lied di Robert Schumann trascritto per violoncello e pianoforte. Fanny e Felix Mendelssohn. Robert e Clara Schumann, nata Wieck. Due famiglie musicali che Beatrice Rana, pianista, e sua sorella Ludovica, anch’esse dunque una famiglia musicale, pianisti, di fatti, anche i loro genitori, hanno offerto al pubblico ceciliano, per l’apertura, dopo il covid, dei Family Concert dell’Accademia. Matinées come se ne facevano un tempo e se ne fanno ancora in qualche città d’Italia e nel resto del mondo. Evgenij Kissin, per esempio, lo ascoltati, tanti anni fa, proprio a una matinée salisburghese, dirigeva l’orchestra Herbert von Karajan. Proporsi una vita come compositrici per le donne del secolo XIX non era facile. Non è facilissimo nemmeno oggi, figuriamoci due secoli fa. In Italia poi si sta ancora a discutere se una donna che dirige un’orchestra debba chiamarsi direttore o direttrice, come se il sostantivo declinato al femminile diminuisse l’importanza della funzione. Tedeschi e spagnoli non se ne fanno un problema: Dirigentin in tedesco, directora in spagnolo. Sembra che i problemi ci siano solo a casa nostra. Clara dovette sottostare alle imposizioni prima del padre, poi del marito. Fanny del fratello. Invidia? In casa Schumann chi portava i soldi era Clara, che guadagnava molto di più del marito, il quale tra l’altro non poteva suonare, perché si era rovinato un nervo della mano. Il maggior peso economico di Clara doveva creare qualche impaccio a Robert. In Felix furono solo i suoi ingiustificati pregiudizi. Eppure sia Fanny sia Clara talento ne avevano da vendere. La musica di Fanny assomiglia molto a quella del fratello. Quella di Clara, invece, non ha molti punti di contatto con la musica di Robert. Cede di più al gusto Biedermeier di quanto non faccia Robert, che ne sembra quasi estraneo. Poi arriva un giovane che colpisce la mente e il cuore di entrambi, di Robert e di Clara, Johannes Brahms. Aveva 20 anni. Così Maria Schumann, la figlia di Robert e di Clara, racconta l’incontro: “Un giorno, verso mezzogiorno, squillò il campanello, io ero bambina e corsi verso la porta. Un uomo giovane dai lunghi capelli biondi, bellissimo, mi stava dinanzi. Chiese di mio padre, che non era in casa, e mi domandò quando lo avrebbe potuto incontrare. Gli risposi di tornare l’indomani e così accadde. Il giorno seguente ritornò con le sue composizioni e mio padre gli chiese di eseguirle. Poi chiamò mia madre, e a pranzo non dimenticherò mai il volto dei miei genitori: entrambi rapiti, commossi, non facevano altro che parlare del geniale visitatore della mattina: Johannes Brahms”. Circola una sorta di flusso misterioso tra la musica di questi musicisti. E non ultimo merito delle sorelle Beatrice e Ludovica Rana è stato di restituircene il clima. A cominciare dalla bellissima, fugace, Fantasia in sol minore di Fanny Mendelssohn. Visioni fuggitive, schizzi, il démone della visionarietà possedeva Fanny quanto suo fratello Felix. La felicità della scrittura non nasconde l’irrequietezza dell’emozione. Ed eccolo il giovane dai lunghi capelli biondi, con una quartetto di quasi insopportabile intensità espressiva, più mondi che si mescolano, si contendono lo spazio, ritmi nervosi, a scatti, melodie che improvvisamente si espandono per subito ripiegarsi su sé stesse. La Sonata in sol minore op. 38 per violoncello e pianoforte nasce mentre Brahms lavora al Requiem tedesco. C’è una malinconia disarmata, quasi una resa, nella foga melodica, nella concitazione ritmica. Il trio dell’Allegretto con la su cantilena ininterrotta sembra opporsi a una rassegnazione che il dolore non consente. Beati sono i morti, attacca il Requiem Tedesco. Qui beato è chi si arrende, ma opponendo una interminabile resistenza. Poi si sono ascoltati due Lieder di Clara, trascritti per pianoforte e violoncello, di un abbandono melodico avvincente. A chiudere la matinée la Sonata n. 2 in re maggiore op. 58 di Felix. La sfida del virtuosismo, soprattutto pianistico, a racchiudere un’irrequietezza irrefrenabile. Anche, forse, per il suo nome, Felix, si è portati a considerare la musica di Mendelssohn serena, leggera, priva di contrasti drammatici. Impressione fuorviante. La musica di Mendelssohn non solo è irrequieta, è inquietante. Attraversata da cima a fondo da un démone distruttivo. L’elegante, impeccabile, sapientissima costruzione è una diga, un bastione contro la furia del démone. Beatrice e Ludovica Rana lo sanno benissimo, e di fatti ce lo fanno sentire il démone, l’irrequieto elfo che disordina le carte. Il Lied di Robert che chiudeva, come bis, il concerto, ce lo veniva dire. Attenti, dietro il velo di tanta bellezza c’è il disordine, l’inquietudine. La bellezza con cui ci si mostra è una maschera. Ora di Eusebio, ora di Florestano, ora di Maestro Raro, ora di tutti e tre insieme. Ma guai a districarsi dal labirinto. Nel labirinto bisogna perdersi. Solo perdendosi nel labirinto si trova la via per uscirne. Applausi trionfali hanno accolto, alla fine, le due giovani, straordinarie interpreti di questi misteriosi, irrequieti, inafferrabili elfi: Felix e Fanny Mendelssohn, Robert e Clara Schumann, nata Wieck, Johannes Brahms. Romantik. Come si è voluta chiamare la Matinée.
Auditorium Parco della Musica, Sala Petrassi. Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Family Concert. Romantik: Beatrice e Ludovica Rana.
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