Musica
The Notwist: Lava calda dalla Baviera profonda
Weilheim. Poche case, montagne infinite, un grande lago, nessuna città per chilometri. Qui arriva solo la neve, tanta. Da qui se ne va solo l’acqua dei ruscelli, in primavera – che comincia a fine maggio. Una prigione naturale in quella Baviera che è quasi tutta agricoltura e pastorizia, cultura arcaica, buffi vestiti pittoreschi, cucina burrosa e piena di zuccheri. Ad essere adolescenti qui c’è poco da ridere.
Julius Acher è nato alla fine della guerra, quando suo papà è miracolosamente ritornato a casa. A piedi, dalla prigionia in Grecia. Ed è tornato a fare il pastore, come suo padre e suo nonno prima di lui. Julius invece ha preso dalla mamma l’amore per la musica. In Baviera esistono gli echi dell’operetta, che vengono da Monaco e dalla lontana Norimberga, oppure la musica popolaresca: marce militari cui vengono applicati testi sulla vita quotidiana. Julius vuole di più, e fonda un’orchestra di Dixieland. All’inizio insegna lui a suonare ad oltre la metà dei membri della banda, ma il fatto che li chiamano a suonare in tutte le feste del circondario fa in modo che, negli anni, la banda divenga professionale.
Julius ha due figli, Micha e Markus che, già a cinque anni, suonano la chitarra, il sassofono, la batteria, il violino, il clarinetto ed il contrabbasso. Al liceo, i due fratelli Acher ripetono il percorso del padre: mettono insieme qualche ragazzo e, per fare una band, insegnano a ciascuno a suonare qualcosa. Tranne che a Martin Gretschmann, che è un nerd alto due metri, che ha scoperto Walter Carlos e le versioni elettroniche di Bach da ragazzino e da allora non ha voluto suonare altro.
All’inizio li chiamano “la band dei fratelli Acher”, che suona in sei versioni differenti: una jazz, una beat, una pop, una rock, una elettronica ed una rasta. Al liceo va benissimo. Ed intanto ragionano, perché poi andranno a Monaco a studiare musica, lettere e filosofia, ed a Weilheim, nell’inverno che dura da metà settembre a maggio, di tempo per pensare ce n’è tanto. Ragionano sul fatto che, nonostante tutti i cambiamenti musicali e culturali della seconda metà del ventesimo secolo, la massima espressione della musica, in Baviera, sia un evento mensile, tenuto in una sala in cui entrano 5000 persone, nelle quali suonano “artisti” che, ancora oggi, cantano solo di casa, cuore e capanna come nel Festival sanremese degli anni 50 – ma alla tedesca, come se si trattasse di una marcetta militare. Ed i 5000 del pubblico, che non fanno mai il coro, battono ritmicamente le mani, in un rito che ricorda le orde degli unni e dei sassoni, fino a coprire il suono degli strumenti musicali.
Micha e Markus vogliono destrutturare tutto. Da qui il nome della band: Notwist – uno splendido gioco di parole. No Twist è un rifiuto della musica militareggievole. Not Wist invece vuol dire Emergenza Desiderio, e parla di tutt’altro. La band suona un miscuglio di rock elettronico e di folk essenziale, e lo fa in inglese (una volta, in un’intervista, Markus mi disse: già cantare in tedesco fa schifo, ma con il mio osceno accento della Baviera è intollerabile). Inizialmente nel tempo libero, perché i fratelli Acher continuano a suonare nell’orchestra di papà Julius ed in mille altre band. Per giunta, in una notte di primavera, la risacca dello scioglimento dei ghiacciai ha portato a Weilheim Valerie Trebeljahr, una ragazzina coreana, i cui genitori sono scappati dalla guerra.
Valerie, all’inizio, non parla tedesco, ma solo mozziconi di inglese. I suoi genitori la chiamano Lali Puna – Lali come diminutivo di Valerie, Puna per il carattere tignoso. Markus si innamora perdutamente e fonda, con lei, un trio che suona strumenti tradizionali coreani, tastiere e contrabbasso. Li ho ascoltati dal vivo a Lipsia, nell’Ilses Erika: uno dei più bei concerti della mia vita. Il risultato è fenomenale, e diventa la risposta tedesca ai Portishead.
Sia come sia, i fratelli Acher ora sono costretti ad uscire da Weilheim. A Monaco c’è tutta una scena musicale che esplode: la casa discografica Morr Music, che ha rivoluzionato il rock elettronico mondiale, e Hausmusik, un piccolo negozio di dischi, gestito dai dolcissimi Wolfgang Petters e dalla sua compagna di allora, una ragazza di Pisa. Io e Wolfgang siamo diventati amici perché nel suo negozio aveva lavorato Florian Zimmer che, come me, scriveva per la WochenZeitung e, più tardi, si è spostato ad Amburgo, dove abbiamo suonato all’epico Pudel Club.
Grazie all’immane energia cinetica scatenata da Hausmusik e da Morr, The Notwist diventa la band europea più famosa del nuovo rock elettronico di fine secolo. Sconosciuti in Italia, altrove riempiono gli stadi – e bastava averli visti una volta per capire perché: se, nei dischi, rimane una corteccia eccessiva di beat automatico, dal vivo sono dei diavoli scatenati agli strumenti – e cantano a voce bassa, quasi lamentosa, per fare in modo che ogni precipizio musicale sia esattamente percettibile.
Per oltre 15 anni the Notwist rimangono sulla cresta dell’onda, prima che Markus e Micha, ormai anche loro quasi arrivati ai 60 anni, decidessero, come Wolfgang prima di loro, di tornare a vivere tra le nevi di casa e riposare da una vita elettrizzante da avventurieri di una musica difficile e meravigliosa, che purtroppo oggi rischia di sparire. Per questo vorrei che li ascoltaste, e che lo faceste come me, allora – ogni giovedì sera, nel LiWi di Lipsia, sul tavolo una bottiglia di succo di mele mischiata con l’acqua minerale, una ragazzina punk inarrivabile, un’astrofisica dai capelli nerissimi e gli occhi verdi, ed un cuoco sassone dagli occhi di pietra e dal cuore d’oro. Giochiamo a Doppelkopf, il Tresette tedesco, ed ascoltiamo l’intero disco dei Notwist per quasi tutta la meravigliosa notte stellata della nostra gioventù.
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