Musica

Surprise! Ma che jazz vuole il Ministero?

10 Agosto 2015

Con un tempismo degno dei migliori maestri della suspense e del colpo di scena, il MIBACT ha nel giro di una manciata di giorni messo parecchio pepe alle discussioni sul jazz in Italia, dapprima presentando l’iniziativa per l’Aquila di cui abbiamo già scritto (e su cui non si placano polemiche e scambi nei social network), poi comunicando ufficialmente l’ assegnazione dei contributi FUS concessi per il 2015 in favore dei soggetti operanti nell’ambito della Musica, assegnazione che – come si vociferava nei corridoi ormai da qualche giorno – ha riservato diverse sorprese, non sempre piacevoli per qualcuno.

Ci sarà sicuramente tempo e modo di analizzare con maggiore puntualità e precisione il come e il perché dell’esito dell’operato ministeriale, ma già dalle prime valutazioni pare evidente che ci si trovi di fronte a meccanismi che necessitano di più di qualche aggiustamento.

In modo conforme a come si era operato nel settore teatrale (dove esiti, relativi commenti e analisi sono già in uno stato più avanzato di elaborazione), i nuovi criteri del Ministero sembrano avere sorpreso gli stessi “creatori” del sistema, che si sono trovati di fronte a clamorose esclusioni e clamorosi “balzi” in avanti, sia nell’ambito della concertistica che nell’ambito del jazz.

(questo principalmente rispetto allo “storico”, dato certamente di grande significato, ma che chiaramente non può fungere da criterio unico, altrimenti si farebbe anche a meno di fare nuovi bandi)

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Proviamo quindi a dare una prima lettura a un po’ di cose.

Riassumendo grossolanamente, i parametri di assegnazione erano tre, uno quantitativo (giorni lavorativi, stipendi, giornate di spettacolo, numero di spettatori, etc) che compone il 40% del punteggio, uno di qualità indicizzata (risorse reperite, etc.) e uno di qualità artistica valutata da commissione, questi ultimi due parametri incidenti per il 30%

Si tratta di un criterio che già nella riforma dei teatri di prosa ha suscitato risultati anomali e pesanti critiche, che andrà certamente modificato e migliorato, specialmente per fare in modo che i numeri non rendano quasi ininfluente l’aspetto innovativo e qualitativo.

Complessivamente, e questo è un elemento che andrà comunque valutato bene, le risorse per il jazz – che certo in passato non otteneva molta considerazione – sono raddoppiate dal 2013 a oggi (senza contare il bando dei 500mila euro di cui abbiamo già ampiamente discusso), fattore il cui “merito” non può non essere letto anche come il frutto del lavoro congiunto di I-Jazz (l’associazione che raccoglie molti festival), dell’associazione dei musicisti Midj e di tutti quelli che in questi mesi hanno lavorato a stimolare Franceschini.

Pur con questo aumento, complessivamente, rispetto all’anno precedente, ricevono finanziamento un numero leggermente minore di soggetti di ambito jazz, dato che si compone di alcune esclusioni (colpiscono quelle di festival consolidati come Barga, Vicenza e Padova, che pure non ricevevano molti soldi) e di alcuni soggetti che accedono per la prima volta al contributo (tra loro festival medio-piccoli che però stanno programmando bene, come ad esempio Cormons e Novara).

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Emerge chiaramente il dato che il “formato” festival jazz sembra venire penalizzato, specie se non ha spalle molto larghe, mentre chi fa attività concertistica ha avuto mediamente migliori risultati.

Questa tendenza a premiare chi ha già numeri e solidità è un criterio emerso anche nel bando teatro e risponde all’esigenza che le risorse pubbliche vadano a chi ha dimostrato di saperle “maneggiare” in termini tecnici e di ricaduta, anche se da un lato il meccanismo sembra un po’ quello per cui le banche rifiutano la concessione di mutui a chi non ha “garanzie” di un certo tipo (se le avesse non chiederebbe il mutuo magari!) e, soprattutto, avrebbe bisogno di un attento monitoraggio dei numeri dichiarati e del reale sviluppo di quanto finanziato.

(In questo senso, lo dico davvero come commentatore neutro e senza volere prendere le parti di nessuno, non può non colpire che il festival che prende il contributo più consistente sia un festival che negli ultimi anni è stato costantemente al centro di pensanti accuse da parte di molti musicisti che sostengono di non essere stati ancora pagati o di essere stati pagati con ritardi insostenibili)

Cosa è successo quindi?

Complice l’uso di algoritmi e di raggruppamenti, capita così che qualche soggetto si sia trovato destinatario di un finanziamento a volte anche doppio e più rispetto al passato, altri invece penalizzati o esclusi.

Sarà da capire – e presto – in base a cosa un Festival di lungo corso e certo di buon livello come Fano riceva 5 volte quanto riceveva e uno come Vicenza (che per numero di giorni di concerti è il secondo d’Italia) non riceve nulla? Uso questi due casi a titolo del tutto esemplificativo (potevo usarne altri due), lo dico per fugare ogni malizia, ma fare chiarezza su cosa ha comportato determinati esiti è necessario per evitare che un ambiente già diviso e in difficoltà inizi a portare rancori e sfiducie a 360°.

Sarà da definire assieme (si facciano sentire ancora di più le associazioni di festival e musicisti) quelle che sono davvero le priorità del settore, per evitare, pur nella sacrosanta necessità di evitare rendite di posizione, che esperienze consolidate e significative si vedano messe in difficoltà.

Sarà da chiarire cosa vuole il Ministero dal jazz in Italia, ma è importante che – senza troppe divisioni, pur nella pluralità delle opinioni – sia proprio il mondo del jazz (L’Aquila può essere un punto di partenza, magari da usare come cavallo di Troia “soft” per iniziare a mettere le istituzioni di fronte ai problemi reali, pur nella festosità dell’occasione) a dire a gran voce al Ministero cosa si vuole per il settore.

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Perché la tendenza a premiare i “già grandi” è politicamente comoda ma terribilmente pericolosa.

Perché è importantissimo capirsi su cosa si intende per “qualità” progettuale, evitando che la naturale soggettività del concetto renda inintelligibili al Ministero le potenzialità del comparto.

Perché l’Europa si continua a muovere con grande velocità (sull’utilizzo migliore dei fondi strutturali per la cultura siamo alla preistoria, mentre nell’ambito dei finanziamenti del programma Creative Europe, nella scorsa tornata siamo stati la nazione che ha proposto più progetti e che se n’è portati a casa la percentuale minore) e noi mica tanto.

Perché molti artisti e operatori brontolano che alla fine sono sempre i “soliti noti” che si spartiscono la torta ed è la cosa migliore per tutti chiarirsi e ri/conoscersi reciprocamente nel proprio ruolo e nella propria identità.

Perché va condiviso con il Ministero se i criteri numerici siano realistici o meno, se rispondano a un sistema di mercato come quello del jazz in Italia oggi (che a inseguire cifre non ci si trovi a fare “carte false” senza prestare attenzione alla progettualità)

Per mille motivi l’esito “bislacco” di queste assegnazioni ministeriali 2015 (nel mondo della classica sta già scorrendo il sangue) deve essere un momento da cui far nascere ragionamenti e pratiche che escano dalle discussioni più infiammate su Facebook per entrare nel cuore dei problemi, che riguardano i finanziamenti, ma anche la Siae, la necessità di un riconoscimento dell’atipicità della figura del jazzista come lavoratore e molto altro.

Buon lavoro a tutti.

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