Musica
Soundtrack, i dischi della settimana, 20 maggio
Dopo i mesi di pausa dovuti all’espandersi del Coronavirus, torniamo a condividere gli ascolti più interessanti dell’ultimo periodo.
Anche il mercato discografico ha risentito della crisi globale, ma soprattutto gli amanti della musica dal vivo dovranno prepararsi ad una estate con un numero limitato di concerti e con pochissimi spettatori presenti. Anche per l’impossibilità di praticare marketing, molti artisti hanno scelto di rimandare l’uscita dei propri nuovi lavori aspettando la fine dell’estate quando forse sarà possibile avere un po’ più di respiro e tornare a frequentare spazi aperti e centri commerciali.
In questi mesi però sono stati pubblicati alcuni dischi molto interessanti. Indossate le cuffie ed iniziamo.
EOB – Earth
Ed O’Brien è quello che tra i membri dei Radiohead passa piuttosto inosservato. Meno eclettico di Johnny e Thom, la sua presenza nella band si è sempre rivelata acuta ma non ingombrante. Earth è il suo primo disco da artista completo, fatto e finito. Sono nove tracce che ci fanno conoscere il suo mondo, un caotico e delizioso amalgama di ritmi e atmosfere che inizia con l’energica Shangri-La, un brano che ci riporta ai Radiohead più ruvidi degli anni ’90 e prosegue con Brasil un crescendo di ritmo elettrizzante e coinvolgente non banale e allo stesso tempo dall’impronta riconducibile ai primi esperimenti elettronici della band. Ci sono voluti 8 lunghi anni per passare dalle idee allo studio di registrazione, anni convulsi di tournée e sessioni di produzione che hanno fatto maturare in Ed il pensiero di provare a pubblicare qualcosa di proprio. Dopo aver sottoposto alcune tracce alla moglie e agli amici il chitarrista ha deciso che era il momento giusto, “Mi sono reso conto che dovevo farlo, se non lo faccio una parte di me, morirà”, ha dichiarato Ed all’NME.
Così, con una band estemporanea è nato l’album di debutto a nome EOB, con ospiti interessanti come Laura Marling (Cloak of the night è uno dei pezzi più belli del disco) e Adrian Utley dei Portishead. A volte il destino è così strano da fare in modo che non solo Earth uscisse proprio nel periodo in cui iniziava ad estendersi il lockdown in vari paesi del mondo, ma da fare ammalare anche lo stesso O’Brien.
“Un tema del disco è che, nonostante l’oscurità e i tempi difficili in cui viviamo, l’umanità può fare cose incredibili quando ci pensa. Guarda cosa è successo nelle ultime due settimane – commenta Ed -: un nuovo ospedale è stato aperto in sei giorni, le persone si sono accorte ed hanno applaudito in massa i nostri lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale”. E traccia di questa sorpresa la possiamo trovare in un pezzo acustico come Mass o nelle atmosfere rarefatte di Sail On che anticipano una danza elettronica su cui è impossibile stare fermi come Olympic. Un disco che reca inconsapevolmente la distanza dei mesi di un mondo immobilizzato.
Fiona Apple – Fetch the Bolt Cutters
8 anni dopo l’ultimo lavoro in studio (dal nome eternamente lungo) Fiona Apple ha registrato una bella manciata di canzoni nella sua casa a Venice Beach, dimostrandosi un’artista completa e curiosa. Anche in questo disco possiamo trovare l’esperienza di un mondo in movimento proprio quando tutto è sembrato fermarsi. Nelle varie tracce c’è davvero di tutto, mani che battono, echi, sussurri, urla, cani che abbaiano, ma soprattutto un piano e una voce che abbiamo imparato ad amare.In una intervista al New Yorker, Fiona Apple ha detto che aveva in mente “un disco che non poteva essere trasformato in un disco”, un’impresa quindi abbastanza onerosa da sobbarcarsi e portare a termine. Se però ascoltiamo l’iniziale I Want You To Love Me ci rendiamo conto di voler esplorare meglio il mondo di Fiona, approfondendo meglio quest’opera che prosegue con due pezzi interessanti come Shameika e la title-track, un bellissimo esperimento sonoro in cui ad essere interessati sono gli strumenti del vivere quotidiano, suoni e armonia di una vita serena e allo stesso tempo piena di quella calma che a volte è in grado di trasmettere un pezzo jazz in cui l’abbiare dei cani fa da contraltare alla voce scura di un contrabbasso. La canzone più divertente è For Her, in cui si sente una bellissima atmosfera giocosa, non-sense piena di ritmi e amenità che hanno una delicatezza di fondo. E che dire di un brano come Drumset? Un preciso esperimento di come sia possibile incatenare l’ascoltatore ad un ritmo e ad una voce su cui non è stato fatto alcun editing, lasciando intravedere quella sensazionale autenticità che Apple riesce a permettersi fregandosene delle mode e delle pratiche moderne.
Sia chiaro, una canzone come Under the Table garantisce che Fiona ci sa fare e che può permettersi una totale autonomia nella composizione, ma soprattutto nella realizzazione delle tracce, una qualità che in un brano come Rack Of His diventa sinonimo di originalità stessa.
In tutto questo, per tirare le fila, possiamo dire che Fetch the Bolt Cutters è un gran disco, non immediato, ma che deve essere ascoltato più e più volte per poter essere interpretato e decodificato. L’ascolto è un momento importante, è come leggere la mente di un artista. E quella di Fiona Apple è complicatissima e piena di colore, in una parola: bellissima.
HUMANIST – HUMANIST
Humanist è il nome del progetto solista del chitarrista Rob Marshall, ex membro degli Exit Calm, band con cui aveva già pubblicato una manciata di singoli bene accolti dalla critica e due album in nove anni prima dello scioglimento, avvenuto nel 2015. Marshall dopo un po’ di tempo ha recuperato la voglia di scrivere e sì è messo a suonare praticamente tutti gli strumenti collaborando a destra e a manca, organizzando bene i suoi spazi ed accogliendo nel suo primo disco voci come quelle di Mark Lanegan, Dave Gahan dei Depeche Mode e Mark Gardner dei Ride.
Se ci fosse un solo termine per descrivere l’esordio di Humanist allora la parola adatta sarebbe: “ambizione”. “Dopo gli Exit Calm mi è sembrato che tutto quello che avessi fatto nella mia vita fosse stato chiudermi in una sala prove, scrivere musica e poi fare un tour. Sono stato completamente consumato dalla band – ha detto Marshall alla rivista Under The Radar -, perciò quando è arrivato il termine, ho trascorso circa sei mesi a non volere avere niente a che fare con la musica”.
Ad essere il fiore all’occhiello del disco sono inevitabilmente le numerose collaborazioni con vocalist istrionici come Mark Lanegan. Praticamente Marshall si è messo davanti ad un tavolo, ha scritto qualche nome e poi ha cercato di contattare i vari manager per avere una risposta. Per Shock Collar è stato lo stesso Lanegan a passare il demo a Dave Gahan che in pochi giorni si è fatto sentire con una traccia audio perfetta per la canzone. Ci sono poi stati dei contatti nati direttamente sui social, come per il caso di Ron Sexsmith, ospite nella dolcissima How’re You Holding Up. La struttura del disco è discontinua, si tratta di pezzi che nascono da improvvisazioni o che sono stati lasciati sedimentare per diversi anni prima di venire alla luce. In tutto questo Humanist è un progetto che è riuscito a cogliere diversi ritmi e diverse attenzioni alle liriche così come alla struttura sonora. In My Arms è forse una delle tracce più belle dell’album, costruita su una solida base di percussioni si apre ad un cantato lineare e molto pop, così come When The Lights Go Out in cui la voce di Mark Gardener ci riporta alla cool britannia di 30 anni fa.
Ascoltando Gospel chiudiamo invece l’ultima pagina del disco, una pagina densa di emozioni, vergata dalla voce grave ed espressiva di un Mark Lanegan in stato di grazia.
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