Musica
Segreterie telefoniche e tamarrate elettroniche: salviamo il soldato Vivaldi!
Salvate il soldato Vivaldi: nessun compositore è stato strapazzato, vituperato, rielaborato, rockizzato come Vivaldi Antonio da Venezia, detto “il prete rosso” per via della chioma fulva che lo caratterizzava. Ce lo ritroviamo ovunque: nelle segreterie telefoniche, negli ascensori, in attesa di essere collegati all’interno desiderato, nell’Albero della Vita a Expo 2015, maciullato e rivisitato da gruppi e gruppuscoli tipo Rondò Veneziano e roba del genere, persino trasformato in inno del Veneto libero (anzi, «libaro») dagli indipendentisti che sognano una nuova Serenissima con capitale a Castelfranco (Veneto). Ormai le note della Primavera, prima delle Quattro Stagioni, composte da Antonio Vivaldi attorno al 1725, si sentono risuonare più nei cellulari che nelle sale da concerti.
E quando si propone questo tema per un’intervista a Federico Maria Sardelli, uno dei maggiori esperti mondiali del compositore veneziano, autore del libro “L’affare Vivaldi” (Sellerio), nonché musicista, fumettaro (suo è “Paperi in fiamme”), collaboratore del “Vernacoliere” da quando aveva dodici anni (ora ne ha cinquantadue), la reazione è entusiasta: «Sono anni che lotto contro il malcostume musicale a cui è sottoposto il povero Vivaldi».
«Antonio Vivaldi ha una strana maledizione del faraone», osserva Sardelli, «se la prendono tutti con lui, e non certo con Bach, Händel, o Mozart. Il problema è che arrivato tardi, degli altri si sapeva tutto, le opere di Bach o di Händel erano già state pubblicate nell’Ottocento; invece Vivaldi è stato scoperto nel secondo dopoguerra, c’è stata una corsa a eseguirlo, lo si è suonato un po’ dappertutto, il che naturalmente è anche piacevole, ma lo ha snaturato. Alle orecchie dell’ascoltatore ne ha fatto un musicista pop, un autore da jingle».
In questo hanno avuto un ruolo determinante Claudio Scimone e i suoi Solisti Veneti. «Certo, hanno meriti enormi di divulgazione, da lì è stato tutto un proliferare di gruppi di musica barocca. Vivaldi poi è ritmico, è melodico, lo si impara e lo si ricorda, in questo senso è davvero un musicista pop, anche se lui non lo sapeva, ovviamente».
«I gruppi barocchi», riprende Sardelli, «hanno cominciato a leggerlo in una chiave scellerata, grazie anche a termini che lui stesso ha usato, al contrario del più serio Bach o del più formale Händel. Le sue raccolte si intitolano, Stravaganza, Estro armonico, Cimento dell’armonia e dell’invenzione. Questo ha calamitato l’appetito dei citrulli del nostro tempo che pensano che il barocco sia come la Casa delle libertà di Corrado Guzzanti: faccio quello che mi pare».
Ma la destrutturazione di Antonio Vivaldi va ben oltre al solo aspetto musicale. Il Prete rosso (era stato ordinato sacerdote e dispensato dal celebrar messa per motivi di salute) dirigeva il coro della ragazze dell’Ospedale della Pietà, una delle istituzioni caritatevoli di Venezia che si prefiggeva di dare un’istruzione e un ruolo sociale alle bambine orfane o molto povere. «Gira questa torbida idea che avesse a che fare con le fanciulle della Pietà», spiega Sardelli, «che si lasciasse andare ad amori e toccamenti. Al contrario Vivaldi viveva in maniera abbastanza monacale, non faceva certo lo stravagante, ha vissuto quasi tutta la vita solo con il padre, Giovanni Battista. Invece c’è questa vulgata che, anche all’estero, in Germania, lo presenta come il massimo della stravaganza e dell’invenzione. Questo fa sì che su Vivaldi si possa fare di tutto, ghiribizzi e lazzi, che diventi oggetto di un imputtanimento generale riservato a nessun altro oltre a lui».
L’opinione di Sardelli è che il danno maggiore non lo facciano le segreterie telefoniche perché chi usa la Primavera come jingle non ha intenzione di dileggiare il suo autore. «Mi fa più paura», continua, «il professionista che lo deforma e che ci pianta sopra la sua fortuna facendo cose che Vivaldi non si sarebbe neanche mai sognato». Adesso poi c’è pure un uso politico di Vivaldi: il coro finale dell’oratorio Juditha triumphans è stato scelto dagli indipendentisti come inno del Veneto – Ino nasional veneto – con parole cambiate nella neolingua che sanno solo loro (vuoi mettere «Na bandiera, na léngoa, na storia/ Le ne dà siviltà, forsa e gloria (e gloria!)» anziché «Salve invicta Juditha formosa/ Patriae splendor spes nostrae salutis»? «Basta con questo latinorum» diceva quel tale) e spesso senza neanche sapere di che si tratti. Memorabile il leader indipendentista di Villorba, vicino Treviso, che in una trasmissione di Radio 24 affermava con cipiglio sicuro che Vivaldi aveva composto la Juditha per celebrare la vittoria di Lepanto, battaglia combattuta nel 1571, mentre Vivaldi è nato oltre un secolo dopo, nel 1678 (l’oratorio era stato in realtà scritto per festeggiare la fine dell’assedio di Corfù, nel 1716, battaglia vinta in una guerra persa, visto che alla fine del conflitto Venezia deve restituire agli ottomani il Peloponneso, conquistato appena diciassette anni prima). «Questo è il trionfo del kitsch più totale», ribatte Sardelli, «immaginatevi un po’ la CSU bavarese che fa una cosa del genere con una cantata di Bach!»
La sorte che tocca a Vivaldi non è condivisa da nessun altro autore barocco, né i napoletani Alessandro e Domenico Scarlatti, né gli altri compositori veneziani o dei dintorni: Tommaso Albinoni, Benedetto Marcello, Baldassarre Galuppi, Giuseppe Tartini. Sardelli ha le idee chiare: «Vivaldi è forse il compositore più bravo vissuto in Italia nel primo Settecento. Soprattutto ascoltando la sua musica sacra, ti accorgi che è gigantesco». Non tutti sono stati d’accordo, però. «Sì», conferma Sardelli, «Igor Stravinskij, riprendendo Luigi Dallapiccola, aveva detto che Vivaldi era una persona ottusa, che ha scritto quattrocento volte lo stesso concerto. Ma bisogna sottolineare che in quel periodo si conosceva poco questa musica e quindi Stravinskij non sapeva una sega della musica barocca».
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