Musica
Schubert, nostro contemporaneo, l’interpretazione
Si volesse circoscrivere in una descrizione o in un resoconto che cosa caratterizzi l’interpretazione di Schubert che Antonello Manacorda ci offre in queste registrazioni, penso che il fatto che le caratterizza sia l’evidenza con cui l’orchestra evita l’enfasi sinfonica, e si presenti piuttosto come un’orchestra da camera. Il che non vuol dire affatto che eviti l’afflato corale, ma che si fa sentire sempre, anche nel coro, la differenziazione delle voci. Come in un quartetto, il che coglie un aspetto fondamentale della scrittura di Schubert. Nella sua vita Schubert raramente ebbe modo di ascoltare il suono dell’orchestra che aveva immaginato. Tanto più sorprende la visionaria scrittura strumentale per esempio dell’Incompiuta, o della Sinfonia in do maggiore. Si ascolti di quest’ultima l’attacco dell’Andante con moto. L’attacco è davvero quello di un quartetto. E il ritmo della melodia che prevarrà si fa sentire nei bassi. Per sette battute. All’ottava battuta entra l’oboe che riprende la melodia e la dilata. Per nove battute (si noti l’irregolarità della scansione, e tuttavia l’orecchio percepisce un andamento regolare: Schubert ha assimilato la lezione di Mozart). Il discorso continua con la frammentazione, a botta e risposta, delle sezioni orchestrali. Alla 30a battuta esplode il tutti, che però non coinvolge subito l’intera orchestra, ma continua a far dialogare tra loro le sue sezioni. Il movimento continua così, con un assottigliarsi e un ispessirsi dell’orchestra. È già prefigurato Bruckner. O, più esattamente, Bruckner impara da qui. Ma, del resto la sinfonia si apre con un a solo dei corni. Che scandiscono per otto battute (qui l’equilibrio tradizionale è rispettato) il ritmo dattilico della marcia funebre, che è il ritmo principale di tutta la sinfonia. Mahler? Ma perché no? È Mahler tuttavia che attinge, non Schubert che prefigura. Schubert fa Schubert. Ogni ascoltatore potrà controllare sulla partitura e all’ascolto dei cd. Una scrittura simile si apprende a casa, suonando musica da camera: sonate per pianoforte e violino, trii, quartetti, quintetti. Ottetti! Schubert ne compone uno meraviglioso nel 1824. Gli restano solo quattro anni di vita. Il modello è certo il Settimino di Beethoven. Ma Schubert si lascia il Settecento alla spalle. Ne trattiene solo il piacere del gioco individuale degli strumenti quando suonano in gruppo. Ecco, è questo piacere che Manacorda ci restituisce. Non solo nella grandissime e tarde sinfonie, ma fin dalla prima. Il massiccio Tutti dell’Adagio introduttivo si stempera poi nell’attacco da camera dell’Allegro vivace. La scala ascendente dei primi violini è punteggiata dagli incisi dei legni, È come se gli strumenti dell’orchestra si rincorressero senza riuscire che a tratti a partire tutti insieme. Questa è già un’orchestra schubertiana. Ed è la prima, composta a 16 anni. Quest’idea camerista dell’orchestra è tipica non già solo di Schubert, che la eredita dal tardo settecento, ma di tutti i primi decenni dell’Otocento. La si ritrova in Mendelssohn, in Schumann (alla faccia di chi ancora si ostina che non sa strumentare). Bisogna aspettare Brahms, e Wagner, perché l’orchestra acquisti la compattezza che siamo soliti attribuirle. E tuttavia non definitivamente. Nemmeno in Wagner. Basti per tutti l’esempio del lungo lamento di Marke nel terzo atto del Tristano. O l’attacco stesso del preludio del primo atto. E stiamo palando del Tristano. Ma perfino Chopin, e soprattutto Liszt, mantengono nei loro concerti per pianoforte questo trattamento cameristico dell’orchestra. Esemplare il momento in cui, nel secondo concerto di Liszt, il pianoforte dialoga con il solo violoncello. Manacorda mantiene questo carattere per tutte le sinfonie. Di un virtuosismo strumentale strabiliante l’ultimo tempo della terza, una tarantella vorticosa. Ma da che cosa nasce questo bisogno di non gonfiare le gote, di mantenere l’orchestra dentro un gioco di strumenti che si confrontano e non di strumenti che si assommano? Da ciò che Trasybulos G. Georgiades definisce chiaramente nel suo Schubert, Musica e Lirica, Roma Astrolabio, 2012 (ed. originale, Schubert, Musik und Lyrik, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1992): la poesia, il canto. Tra linguaggio e musica in Schubert c’è non solo affinità, ma una vera e propria simbiosi. Schubert è “cantore”. Come i poeti, canta. Il suono non è qualcosa di estraneo al linguaggio: è il linguaggio nella sua materialità originaria. Si badi: Schubert non confonde affatto musica e linguaggio né, come poi i romantici, crede che la musica sia una forma di linguaggio. Semplicemente s’insinua tra musica e linguaggio in quell’interstizio che appartiene a entrambi, il suono. E sugli strumenti canta come se avessero parole, nei Lieder toglie alla parola la sua specificità di linguaggio e la denatura – o, meglio, la riscopre – come puro suono. Da qui l’articolazione inesauribile dei ritmi, dell’armonia, delle melodie. Manacorda sembra possederne il segreto. Non lo troverete ripetere mai una melodia come la prima volta. Questo suo Schubert si rinnova di battuta in battuta, il discorso comincia con il primo attacco della prima cellula ritmica e melodica insieme, e continua ininterrotta fino a che l’ultimo accordo conclude il flusso sonoro. Smentisce, proprio con questa continuità del flusso sonoro, ogni ipotesi di condotta impacciata, inesperta, “insignificante”, come la definisce Alfred Einstein, che caratterizzerebbe le prime opere. Tutto sta a entrare nel laboratorio del compositore. E Manacorda ci entra, ce ne restituisce, come avvenisse sotto i nostri occhi, anzi nelle nostre orecchie, il percorso che il suono compie nella fantasia del compositore per articolarsi in musica. Ci sarebbe molto altro da osservare. Ma fermiamoci qui. Accenniamo solo al fato che una simile impostazione dell’interpretazione della musica di Schubert attribuisce, e non potrebbe essere altrimenti, anche al timbro degli strumenti una funzione strutturale. Ascoltate il clarinetto che attacca l’allegro con brio della prima sinfonia. O i corni che attaccano la Grande e, nella stessa sinfonia l’oboe all’inizio dell’Andante con moto. Il sussurro minaccioso dei violoncelli e dei contrabbassi all’inizio dell’Incompiuta e poi l’emergere della melodia di oboi e clarinetti all’unisono. Gli esempi sono tanti quanto tutte intere le sinfonie. A questo punto, dimenticate le analisi. Inserite il cd nel lettore. E ascoltate. Dal primo all’ultimo.
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Franz Schubert, The Symphonies
Kmmerakademie Potsdam
Antonello Manacorda
Sony Classical 5 CDs 88875156982
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2016
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