Musica

Schubert, nostro contemporaneo

8 Maggio 2023

Il cofanetto mi è arrivato solo qualche mese fa. Ma il tempo trascorso, dalla sua pubblicazione nel 2016, non ne ha affatto ridimensionato la novità, per quanto riguarda l’impostazione interpretativa delle sinfonie di Schubert. Queste brevi note sono un anticipo di una riflessione critica che spero di sviluppare quanto prima. Nelle monografie storiche dedicate alla figura di Schubert, le prime sinfonie, come i primi quartetti, e in genere tutta l’opera giovanile, a esclusione dei Lieder, sono state giudicate, a mio avviso, con frettolosa lettura, compromessa dal pregiudizio che si tratti solo di opere di apprendistato. Valga per tutti il giudizio drastico di Alfred Einstein: “Dalle note che aggiunse al commento dell’opera nell’Edizione Completa, sappiamo che cosa pensasse di questo movimento – il primo della seconda sinfonia – Brahms, quel Brahms che tanto profondamente capiva e sentiva la concisione. Egli non solo tollera, ma addirittura ama la noncuranza di Schubert … ” Per Einstein: “Considerata nel suo insieme, e vista accanto alla mole del suo lavoro operistico, la musica strumentale che Schubert compose in quest’anno, per altro così fecondo, ci appare una produzione insignificante … ” (A. Einstein, Schubert, 1950, trad. it. di Donatella Teatini, Edizioni Accademia, 1970, pagg. 105 e 108). In realtà aveva ragione Brahms, che non a caso curò un’edizione delle opere di Schubert. Come, prima di Brahms, aveva ragione Schumann. Schubert rivela sé stesso già nelle opere giovanili e non solo nei Lieder, ma nelle sinfonie, nei quartetti, nelle sonate per pianoforte. Quelli che a Einstein appaiono procedimenti impacciati, sono l’individuazione di un pensiero musicale che pur allacciandosi a Haydn a Mozart e, soprattutto, al primo Beethoven, già configurano giri di modulazione, rimodellazione dei temi, che si affermeranno decisamente nei successivi capolavori: sono dunque la icerca di un distanziamento dai modelli. Il difetto, infatti, di una lettura che guarda da dove Schubert prende piuttosto che guardare dove Schubert va, sta nel costringere l’invenzione musicale schubertiana dentro schemi che non le appartengono. Certo che Schubert ha presenti i modelli di Haydn, di Mozart e di Beethoven: sono i compositori più nuovi del suo tempo e se mai va messa in rilievo l’intelligenza del giovane compositore nello scegliere i modelli che più gli convengono. Non c’è Hummel, non c’è Weber. Si tratta dello stesso errore di prospettiva di quando si sostiene che il primo stile di Beethoven subisce pesantemente il peso di Haydn e di Mozart. E di chi, se no? Ma proprio Haydn e Mozart mostrano a Beethoven la via per un percorso diverso, che parte da loro, ma diverso. Di Haydn e Mozart Beethoven “imita” il pensiero musicale non lo stile. Non diversamente fa Schubert. Quello che ai critici e agli storici appare impaccio ecco che allora diventa esperimento di un’altra via. Faccio un solo esempio. Addirittura dalla sua prima sinfonia, in re maggiore. Dal minuetto. Intanto di minuetto ha quasi solo il nome. L’andamento è piuttosto di una danza tedesca. Come già spesso in Haydn. Ma qui direi con maggiore sfacciataggine. Nel senso che il ritmo della danza non è particolarmente caratteristico, ma scivola via con una naturalezza quasi di valzer, tant’è vero che l’unità ritmica occupa due battute, invece di una. Il miracolo però sta nel trio. Il tema è impostato sulla successione di una quarta seguita da una terza cui poi segue una figurazione di sei crome che coprono tutta la terza battuta e si muovono nell’ambito di una terza e poi di una quinta, precedute, nella battuta precedente, da due crome che intonano una seconda discendente, e concluse nella battuta quarta dall’ascesa di due terze. Quest’ascesa di due terze forma il tema della seconda sezione del trio. Ma Schubert la prolunga di una battuta nella quinta e sesta battuta. La seconda discendente non è dimenticata, ma, ripetuta nove volte, costituisce il motto che conclude la frase. Dopo di che si ha la riesposizione del tema della prima sezione, che a questo punto acquista un senso nuovo proprio per l’insistenza della successione di terze, che così acquistano, ricordando tutta l’evoluzione del trio, il carattere di una cellula melodica generatrice. Vi sembra “insignificante” tutto questo? Ma tutta la sinfonia, opera di un compositore sedicenne, è costruita con questa attenzione. Ora, Antonello Mnacorda, a capo della splendida orchestra della Kammerakademie Potsdam (Accademia da camera di Potsdam), sembra volerci suggerire proprio questo: che lo Schubert giovanile è già, non solo in nuce, ma anzi, spesso del tutto, il compositore maturo che conosciamo. Del resto al ragazzo sedicenne restano appena altri 15 anni di vita. Ciò che Schubert individua nel trio del minuetto della prima sinfonia è il cartello indicatore di una strada che percorrerà fino alla fine e con sempre maggiore e radicale consapevolezza, vale a dire con sempre più insistita sosta sulle “lungaggini”. Quella “lungaggine” individuata da Schumann come “divina” e che non è altro che un abbandonarsi all’improvvisazione del canto. La melodia che piace la si vuole godere e rigodere più volte. Ascoltare perciò tutte le sinfonie dalla prima all’ultima, solo abbozzata, la Decima, diventa, per Manacorda, e per l’ascoltatore, un viaggio avventuroso in una terra in cui perfino l’angoscia della morte – incredibilmente avvertita, con il suo caratteristico ritmo dattilico – quello dell’allegretto della Settima di Beethoven, per intenderci – , già nella giovanile prima sinfonia – è trasfigurata nella bellezza del canto. Poi ciascuno sceglierà la sua pagina preferita o più amata. l’Incompiuta, certo. La Grande in do maggiore. Ma la Piccola, sempre in do, è molto più di un’introduzione a quella intricatissima complessità sinfonica. L’abbozzo dell’Andante della Decima – ristrumentato da Brian Newbould, Schubert ce ne ha lasciato l’abbozzo per pianoforte – prelude già a Mahler. Ecco, altrove invece ci sembra di avvertire echi di Mendelssohn, di Brahms, di Schumann. Ma non sono echi e non sono nemmeno prefigurazioni. Nessun compositore prefigura compositori venturi. Più semplicemente, i compositori che vengono dopo di lui lo leggono con occhi nuovi, anzi con nuove orecchie, e sviluppano ciò che nella partitura del loro predecessore sembra, ed è, una visione affine, un’invenzione somigliante, un’avventura condivisa, uno scavo in zone non ancora sondate. E che nel primo cd la Prima sinfonia sia accostata all’Andante della Decima è un folgorante squarcio di assimilazione: prefigurare nell’esultanza giovanile – ma già increspata da sinistri presagi – l’esito tragico della conclusione, o dovremmo dire piuttosto dell’interruzione. In qualunque momento arrivi la morte non conclude mai niente: interrompe. Ma molti altri accostamenti sono possibili. Li lasciamo all’estro dell’ascoltatore. Magari facendosi suggestionare, all’inizio, dagli accostamenti forse casuali, ma interessanti dei cd: del primo si è detto. Gli altri quattro: 2, seconda e quarta: 3, terza e settima (incompiuta), 4, quinta e sesta; 5, ottava La Grande. Qualcuno sarà disorientato dalla numerazione. Perché la settima D 729, in mi maggiore-minore, non completata da Schubert. quanto alla strumentazione, qui non compare, e compare come settima l’Incompiuta, che di solito è catalogata invece come ottava, e quella che qui è detta ottava è invece in genere considerata nona. Andrebbe probabilmente in una ristampa del cofanetto corretta la numerazione. Perché la sinfonia che manca è proprio quella che occupa il settimo posto. E quelle catalogate come settima e ottava sono in realtà, rispettivamente, la ottava e la nona. Altrimenti non si spiega nemmeno il numero di decima per l’andante del primo cd. Sugli abbozzi di questa ultima sinfonia schubertiana Luciano Berio ha costruito nel 1990 una sorta di fantasma che ritorna: Rendering. Pagina affascinante in cui il compositore non si sostituisce a Schubert, ma dove nel manoscritto mancano appigli l’orchestra naviga in cluster confusi, come un’architettura antica che nella ricostruzione moderna mostri con materiale diverso dall’antico le parti mancanti. E se Antonello Manacorda in un futuro, che sarà lui a scegliere, volesse regalarci, oltre all’esecuzione della ricostruita settima, anche quest’ultimo omaggio novecentesco a Schubert? Chi sa, l’immagine del compositore, gigantesca, si proietterebbe fino a noi, fino a presentarsi come un nostro contemporaneo. Ma se, compositore della fine, di tutte le catastrofi di una fine, il prefiguratore di un mondo di doppi, di sosia, di robot (Der Doppelgänger), il cantore di viaggi invernali, fosse in realtà veramente un nostro contemporaneo? Antonello Manacorda, almeno, ce lo presenta così. C’era già stato Claudio Abbado, nel 1988, a indicarci la strada, con un prezioso cofanetto della Deutsche Grammophon. Manacorda coglie la sfida. E ciò che era una premonizione, ora si fa certezza: Schubert è un nostro contemporaneo.

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Franz Schubert, The Symphonies

Kmmerakademie Potsdam

Antonello Manacorda

Sony Classical 5 CDs 88875156982

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2016

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