Musica

Saturday Sounds Like #Mogwai

22 Marzo 2020

I Mogwai sono certamente una delle formazioni di rock, o post-rock, più significative degli ultimi 25 anni. I loro lavori più significativi, che codificarono un genere, si situano per la critica in anni ormai lontani, da Young Team (1997) a Come on die young (1997) sino a Rock Action (2001). Pur con qualche cambio di formazione, la band scozzese ha continuato a essere estremamente attiva, diversificandosi tra colonne sonore per film e serie televisive, sonorizzazioni e album tradizionali. Il loro suono chitarristico, minaccioso ed estatico, che combina elementi di rumorismo, progressioni inesorabili, aperture pastorali e passaggi più dark e new wave, con robuste iniezioni di elettronica, oscilla da sempre tra la forma canzone e strutture più aperte, a differente sintesi e intento comunicativo. Nel 2013 hanno prodotto per la serie francese Les Revenants, prodotta da Canal +, uno dei loro esiti più riusciti. Il plot dello sceneggiato, che anche in Italia ha avuto ampia diffusione e successo, fa in qualche modo pensare alla sospensione in cui ci troviamo: in un paese di montagna, alcune persone morte da tempo ritornano, cercando di reinserirsi nelle proprie vite. In qualche caso vengono accolti, in altri respinti. Siamo, io credo, già dentro a questo processo, qualcuno con tempi e modi tutti suoi. Chi dovrà cominciarlo alla fine della pandemia, chi lo ha già iniziato, chi ancora dovrà aspettare. Il senso del “nulla sarà come prima” che sentiamo sulle bocche di tanti, con riferimento alle sovrastrutture, riguarda più il nostro privato, e ripensando a quella serie è inevitabile immaginare cosa accadrà, quando tutti torneremo, e ciascuno si misurerà con il ritorno degli altri, tentando una cucitura o, chissà, uno strappo.

La scelta di affidare la colonna sonora di Les Revenants al gruppo di Glasgow ha rappresentato probabilmente il punto d’arrivo di una sensibilità che i Mogwai hanno sempre mostrato per la componente cinematica della loro musica. Non solo sperimentando nelle direzioni che ho indicato, ma anche affidando i loro videoclip a registi che lavorassero in forte sintonia con la loro musica e con grande coerenza estetica. Su tutti Antony Crook, già fotografo per i magazine The Face, Dazed & Confused e Sleazenation, e poi per l’edizione britannica di Vogue, per I-D e il New York Times. Il passaggio al video, che da dieci anni circa è ormai diventato il suo linguaggio, è avvenuto proprio in coincidenza con la proposta dei Mogwai di realizzare il clip di 30 Century Man. Oggi Crook lavora con brand come BMW, Samsung, Rapha, adidas, Oakley, Wells Fargo e AOL.

Ho visto decine di volte i suoi video, ma mi accorgo solo oggi che se messi in fila costituiscono a loro volta un sorprendente racconto di quel che stiamo vivendo, naturalmente da diverse sfaccettature. Senza rispettare l’ordine cronologico, e provando a seguire il filo di una narrazione, che però è reversibile, e può terminare dove comincia, vi propongo prima di tutto San Pedro, dall’album del 2011 Hardcore will never die, but you will, dove la camera segue un personaggio che attraversa a grandi, minacciose falcate una città. Chi è, da dove arriva, che cosa è venuto a fare, chi cerca? Non lo vedremo mai in volto, non sapremo quali sono le sue intenzioni. Porta una minaccia, un annuncio, una rivelazione?

Per il disco seguente, Rave Tapes, del 2014, Crook produce invece God is out of control. Siamo in una zona costiera, forse un’isola, dove le persone si aggirano per strada cercando forse qualcosa, seguendo una direzione di cammino misteriosa. Ci sono momenti di grande bellezza e armonia, ma tutto il video è attraversato da una tensione verso la luce, il tentativo di trovare la strada che ci conduca fuori dalla nostra condizione. Forse in questo luogo è accaduta una catastrofe, e gli uomini ne stanno uscendo.

Torniamo al 2011, quando Crook licenzia anche il bellissimo video di How to be a werewolf. Guardandolo oggi sembra un miraggio di libertà. Anche in questo caso si tratta di un percorso e una progressione verso la luce. La cifra dell’autore qui è ridotta quasi a uno sguardo documentaristico. Il protagonista è un eroe romantico dei nostri tempi, o probabilmente del futuro, un ciclista con inclinazione alla fuga dal mondo, o un uomo che tra dieci secoli rivive l’emozione del vecchio mezzo meccanico attraversando una natura dove si vedono i segni dell’uomo, ma, chissà,forse l’uomo di oggi non c’è.

Concludo questa carrellata veloce nella produzione video dei Mogwai con un’altra produzione del 2011, firmata in questo caso da Danny McConnell, Mexican Grand Prix. La sequenza dei volti della gente di Glasgow per la strada è vertiginosa ed emozionante. Una città è fatta delle sue persone e della loro libertà.

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