Costume

Sanremo di noia o di governo

6 Febbraio 2019

È un Sanremo di noia e di governo. Indeciso sul da farsi. Da una parte, la tentazione di rompere tutti gli schemi perché – eh sì – questi l’anno prossimo con il governo populista-sovranista e con il nuovo corso Rai, non li rivedremo più sul palco. Dall’altra, il tentativo di apparire buoni e ligi ai vecchi dettami del conformismo, con il culmine del monologo di Claudio Bisio, scritto da un Michele Serra più sdraiato che non si può, finalizzato a discolpare la supposta revanche barricadera di Claudio Baglioni.

Lo sappiamo tutti, da buoni vent’anni le canzoni non sono al centro della più grande messa laica che la Tv di Stato offre ogni anno al Paese. I segni distintivi, semmai, sono gli ospiti, la conduzione e i messaggi che si offrono alla platea. Quest’anno siamo alla stessa indecisione dell’opposizione politica al duo Di Maio- Salvini, tra la voglia di controbattere fieramente e il desiderio però di non indispettire nessuno, nella pia illusione di riconquistare coloro che non ti seguono più. Una tendenza a non trasbordare in toni sprezzanti e bruschi. Però così ti ritrovi a cantare “Nella vecchia fattoria”, perché nessuno si offenda.

Sarebbe stato meglio allora – e sono ancora in tempo visto che ci sono una manciata di serate – a mettere su una messa cantata in onore dei nuovi dettami populisti e sovranisti. Almeno così ci sarebbe un taglio narrativo deciso e riconoscibile. Così no. Si rimane impaludati in una scenografia della quale non si vede il fondo delle quinte, oscurato com’è da luci dall’alto eccessivamente colorate, con un’orchestra che c’è ma non si vede. Uno spazio indefinito, un non luogo, senza confini visibili ai più. Indeterminato, come questo Sanremo.

Sono ancora in tempo a ché questa recita abbia un senso. O governativa o di lotta.

Altrimenti si rischia la noia.

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