Musica

Roma, Teatro Palladium: Novatrix di Daniele Lombardi

12 Marzo 2018

Ante mare et terras et quod tegit omnia, caelum

Unus era toto naturae vultus in orbe,

Quem dixere Chaos; rudis indigestaque moles

nec quicquam nisi pondus iners congestaque eodem

Non bene iunctarum discordia semina rerum.

Sono i primi versi delle Metamorfosi di Ovidio. I, 5-9

Questa la traduzione adottata da Daniele Lombardi, nel penultimo brano del suo Novatrix, azione scenica su 10 frammenti dalle Metamorofosi di Ovidio. Leggeva Valerio Magrelli, venerdì 9 marzo, al Teatro Palladium di Roma, per l’Università Roma Tre:

“Prima del mare e della terra e del cielo che tutto ricopre, unico e indistinto era l’aspetto della natura in tutto l’universo e lo dissero caos, mole informe e confusa, nient’altro che peso inerte, ammasso di germi di cose mai combinate”.

Ma non avrei mai pensato che queste note sullo spettacolo sarebbero state, anche, con lacerante dolore, il ricordo di una scomparsa. Daniele Lombardi è morto, infatti, ieri sera, nello studio della sua casa fiorentina. Lo ha trovato così Aldo Bennici, il grande violista, oltre che animatore musicale a Firenze, a Siena, e amico musicista, di Daniele, mio, e di tanti altri, da una vita. Nei miei anni fiorentini ci vedevamo spesso e si discuteva tanto della musica di oggi. Ma anche di quella che l’aveva prefigurata, all’epoca del futurismo, che fu una delle passioni musicali e storiografiche di Daniele Lombardi. Con la sguardo retrospettivo lo spettacolo del 9 marzo sembra l’annuncio, anch’esso, della “discordia rerum”, i cui “semina” – termine lucreziano quanto altri mai, e che nella traduzione adoperata da Daniele Lombardi si chiamano “germi”, ma sarebbero gli atomi democritei – i cui “germi”, dunque, sono anche le trasformazioni, metamorfosi appunto, della vita terrestre, compresa la nostra, “di un giorno”, effimera, direbbero i greci.

La musica che Ovidio ha ispirato a Daniele Lombardi è una musica che, prima di tutto, sfugge, o, meglio fugge. Si direbbe, plagiando il titolo di un film ormai famoso, e bellissimo, che ha “la forma dell’acqua”. A cominciare dall’ingresso del soprano – la bravissima, stupenda, Ana Spasic, che sillaba, alla lettera, e cioè frammenta sillaba per sillaba, il testo. “L’estro mi spinge / a narrare / di forme mutate in corpi / nuovi …” diventa: l’e – stro – mi – spin – ge – a – na – rra – re … ecc. E’ pratica storica delle avanguardie musicali del Novecento – Luigi Nono ne fa un uso quasi estremo, come a ideologizzare l’incomprensibilità del canto. Ma non si tratta, invece, d’incomprensibilità, bensì di analogia, la musica non riproduce l’andamento narrativo, esplicativo, del testo, ma vi costruisce sopra un percorso analogico integralmente musicale. E’ un principio, anzi un procedimento, che l’arte figurativa conosce bene: l’oggetto – vale a dire l’immagine, per le arti figurative o il testo, per la musica – non sono significanti per ciò che fanno immediatamente percepire, bensì per ciò a cui alludono con l’immediata percezione: la Fontana di Duchamp o la Merda d’artista di Manzoni, Eschilo nel Prometeo di Nono. E’ un uso radicale della metafora.

Se poi ci si riflette bene sopra, anche in passato gli artisti hanno esplorato la possibilità di trasferire il senso di un’immagine, di un testo, in una costruzione altra. Si pensi alle figure volumetriche di Piero della Francesca. E all’intricato contrappunto dei compositori francofiamminghi. O ancora prima, ai sublimi motetti dell’Ars Nova francese del Trecento, a Vitry, a Machaut. E alle filiformi figure di Simone Martini.

“Ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis”, Ovidio, Metamorfosi, I, 523. Ahimè, però, che non c’è erba che guarisca l’amore, nella traduzione citata sopra. L’Ensemble strumentale Roma Tre Orchestra, diretto da Marcello Panni. Regia dello spettacolo dello stesso Daniele Lombardi, immagini, proiezioni e scene di Mimmo Paladino. Danzatrice e coreografa Maria Elena Curzi. Ma si dice poco, citando chi ha costruito lo spettacolo. La visione su sipario trasparente di disegni stilizzatissimi creano una sorta di analogia visiva con la musica – ma lontanissima, quasi estranea, ad essa. E non potrebbe essere diversamente. Percussioni, pianoforte (si è riconosciuta la bravissima Gabriella Morelli), archi, fiati, collaborano come veri e propri solisti di un contrappunto in parti reali. Ogni singolo strumento ha la sua voce, la sua linea, come ogni sillaba intonata dal soprano, ogni parola detta dal lettore. Davvero una realizzazione sonora del titolo del poema ovidiano: metamorfosi, instabilità perenne delle cose, anche del suono, dunque, che arriva e si perde, strumento per strumento, voce intonata e voce che parla. “Pulvis et umbra sumus”, cantava Orazio (Odi, IV, 7, 16), siamo polvere ed ombra. Mi sembra un tempo lontano quello in cui vidi tanti pianoforti ingombrare a Firenze Via Tornabuoni, a Milano Corso Vittorio Emanuele. Daniele Lombardi guidava la regia visiva e sonora dell’avvenimento.

Una musica che invade – finalmente! – la città, e per un’ora o poco più discaccia il chiasso fatuo dello sfrenato consumo contemporaneo, dello sperpero anche della propria vita. Il tempo rioccupato, e finalmente, dal significato, dal senso. Sia pure questo senso il trascorrere, lo svanire, insieme al suono, della vita. Per quell’ora – così come venerdì scorso al Teatro Palladium di Roma le metamorfosi sonore e visive delle Metamorfosi di Ovidio – per la durata della musica, della visione, il tempo acquistava il senso di un esserci non inutile, non sprecato, non buttato via, ma condensato nell’intonazione di una ragnatela di significati, quanti ne possa raggruppare, con il contrappunto, una musica: ecco, ascoltiamo, questi suoni svaniranno, ma nella memoria ci resterà l’invisibile castello della sua costruzione, e nello svanire di tutte le cose, anche della poesia, anche della musica, nel trasformarsi dell’esistente in altro e diverso esistente, il nostro cervello, e dunque tutto ciò che davvero noi siamo (nascono nel cervello anche le nostre emozioni), tratterrà la memoria di qualcosa che invece permane, che, quasi essere parmenideo, non svanisce, ed è appunto il canto del nostro svanire, del nostro trascorrere, trasformarci, scomparire, che si fa matematica, intelligenza, rappresentazione incancellabile del mondo: fosse pure questa ineliminabile permanenza l’intuizione di un istante in cui ci si rivela il significato ultimo del nostro esserci, e dunque anche del nostro scomparire.

Grazie, Daniele! Averci rappresentato così fisicamente indelebile la nostra ineluttabile transitorietà ci riempie del tuo ricordo, e ci rassicura che questo, di te, non è scomparso, non scomparirà mai, forse, a meno che non scompaia, insieme, anche questo fragile globo che ci sostiene.

Fiano Romano, 12 marzo 2018

Roma, Teatro Palladium

Daniele Lombardi, Novatrix

Azione scenica su 14 frammenti delle Metamorfosi di Ovidio

prima esecuzione assoluta

immagini di Mimmo Paladino

Direttore, Marcello Panni

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