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Ricordate Ghiaccio Bollente? Nei giorni di Sanremo vale di più
La notizia è di poco più di un mese fa. Rai 5 non ha rinnovato il contratto a Carlo Massarini, volto storico della divulgazione musicale televisiva, in particolare sui canali Rai. Nei primi anni Ottanta ideatore di Mister Fantasy, pionieristica trasmissione videomusicale, e ultimamente conduttore del contenitore notturno Ghiaccio Bollente, una maratona quotidiana al cui interno, fino all’alba, venivano presentati documentari e concerti d’epoca o recenti, spaziando dal rock, al jazz, al blues, alla world music, con una rubrica bisettimanale dedicata all’attualità, all’interno della quale trovavano spazio interviste e servizi su artisti emergenti o di passaggio in Italia. La decisione ha scatenato la protesta dei fan dello spazio musicale di Rai 5, i quali si sono mobilitati sui social network e hanno organizzato una raccolta di firme sul sito change.org, una petizione rivolta al direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall’Orto. Qualcuno che, paradossalmente, ha avuto una lunga esperienza come direttore italiano della rete musicale per antonomasia, MTV. E che aveva annunciato, appena insediatosi la scorsa estate, una maggiore attenzione nei confronti dell’approfondimento culturale. La petizione è arrivata in questi giorni quasi a quota trentamila firme, mentre a ridosso della mobilitazione la rete Rai ha annunciato, in termini piuttosto vaghi, che la trasmissione sarebbe ritornata in primavera, addirittura in prima serata. Senza tuttavia spiegare in quale misura approccio e contenuti avrebbero subito delle modifiche. Il caso Ghiaccio Bollente sembra andare al di là della pura e semplice alzata di scudi a difesa di un professionista di provata competenza, e del malcontento dei fan, ponendo l’attenzione su quello che pare essere un problema ricorrente, mai affrontato seriamente – e mai percepito come tale, probabilmente – all’interno della televisione pubblica italiana: l’incapacità di riconoscere alla musica pari diritti culturali, l’insistere nel considerarla puro e semplice intrattenimento. Un atteggiamento che spesso si accompagna alla promozione di un malinteso e stereotipato giovanilismo, per il quale la musica, al di fuori dei momenti più nazionalpopolari, vedi Sanremo, è semplicemente una manifestazione di vitalità da parte delle fasce più giovani della popolazione, anziché una forma culturale complessa. Nella migliore delle ipotesi l’oggetto di talent show che poco hanno a che fare con la musica intesa come codice culturale. Abbiamo fatto qualche domanda a Carlo Massarini, sulla vicenda di Ghiaccio Bollente e su questa ricorrente incapacità di raccontare la musica, cercando di trarre spunti utili ad uscire dall’impasse.
Non ti è stato rinnovato il contratto per Ghiaccio Bollente, che di fatto ha smesso di esistere nel modo in cui lo hanno conosciuto i suoi spettatori…
Il Magazine bi-settimanale è stato chiuso, così come la fascia notturna, che ora non è più una cosa organica e regolare ma trasmette repliche senza le mie presentazioni e senza il logo. Quindi è, a tutti gli effetti, una chiusura. Dopo due anni un cui eravamo lentamente diventati un riferimento, non solo per i nottambuli ma, in generale, per gli amanti della musica, non dimentichiamoci che era l’unico programma di cultura musicale presente in Rai, questo era l’anno in cui si potevano raccogliere un po’ di frutti.
Tra chi si è mobilitato per spingere la Rai a tornare sui suoi passi tramite petizione sul sito change.org, qualcuno ha ipotizzato che ci fosse un problema di share. Cosa che non sembrerebbe avere molto senso, visto che parliamo della fascia notturna di un canale tematico Rai destinato all’approfondimento culturale.
Semmai era il contrario, avevamo uno share ampiamente nella media del canale, frequentemente con picchi di molto superiori.
Uno dei temi ricorrenti, seguendo la mobilitazione sui social che è seguita alla vicenda, è questo: la televisione italiana, soprattutto quella pubblica, ha sempre avuto un problema con la musica al di là del puro intrattenimento. Qui la musica non esiste se non in un’ottica da strapaese, da festa in piazza, come se fossimo ancora negli anni Cinquanta. La musica è costume ma non cultura. Però non è sempre stato così. Mister Fantasy era per molti versi un programma all’avanguardia, e il successo di Videomusic tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta ci dice che un pubblico interessato ad un certo modo di intendere la musica c’è stato eccome. Negli ultimi anni mi pare si siano fatti tanti passi indietro. Come mai, secondo te, al di là del fatto che, culturalmente, abbiamo sempre un po’ patito il fatto di essere ai confini dell’impero?
“Sicuramente la musica come fattore culturale non è mai stata tra le priorità in Rai. Poi, che ogni tanto siano sorti dal nulla dei programmi che avevano quel taglio ci sta, Mister Fantasy, Tam Tam Village, che era un altro mio programma musicale della stagione 1990, DOC di Arbore. Ma la musica non viene considerata nello stesso modo in cui viene considerata, ad esempio, alla BBC, dove c’è una strategia precisa di valorizzazione che in Inghilterra diventa poi anche un fattore economico nazionale, considerando quanto la musica inglese sia distribuita nel mondo globalizzato (vedi le onorificenze attribuite a tutti i maggior artisti britannici, dai Beatles in poi). Mi piacerebbe lavorare con un team per creare un hub musicale, che non crei solo un programma ma metta in opera una strategia di promozione della musica in generale, e di quella italiana emergente in particolare, ma non è molto Rai come concetto. C’è tantissima musica che non è niente male in giro per l’Italia, e che probabilmente nessuno conoscerà mai. Ed è un peccato”.
Il fenomeno della musica in TV nell’ottica MTV, diciamo improntata sulla trasmissione in rotazione di videoclip e sui veejay, è tramontata, non solo in Italia. Mi sembra però che in un panorama in cui la musica è sempre più liquida e sfuggente, in cui i fenomeni durano lo spazio di un click, il bisogno di approfondire, al contrario, stia tornando poco alla volta ad essere sempre più forte, anche come forma di reazione, non credi? La domanda che ci si fa è: come mai Rai Storia sì e Ghiaccio Bollente no?
“Certamente la maniera di fruire della musica è molto cambiata rispetto a 15 anni fa, e continua a cambiare ogni giorno. È vero, ora è tutto a portata di clic, ma si presenta il problema contrario: prima accedere all’informazione era difficile e penalizzante, ora ce n’è troppa, la soglia del rumore di fondo si è alzata e chi non sa già fa molta fatica a scoprire le cose migliori, spesso nascoste in nicchie di genere. Questo era in parte il senso di Ghiaccio Bollente, una guida colta ma leggera per fare conoscere cose che normalmente uno non avrebbe mai sentito, aperta a tutti i generi, dal rock al jazz, dal blues all’etno. Abbiamo avuto nelle ultime puntate anche due ospiti che suonano classica contemporanea, Ludovico Einaudi ed Ezio Bosso. Ora dovunque si sente questo pop globalizzato, di buona qualità ma un pò tutto uguale, che ha omogeneizzato tutta la programmazione radiofonica: ha invaso il pianeta e nessuno si preoccupa di raccontare ai ragazzi che prima dell’oggi c’era un ieri, magari anche molto più interessante”.
Hai qualche suggerimento, qualche idea, qualche ricetta per fare in modo che la musica non rimanga relegata alla buona volontà di chi fa programmi di nicchia (mi viene in mente Gazebo, che ospita spesso artisti non mainstream di qualità)? Che cosa dovrebbe e potrebbe cambiare?
“Come dicevo prima, una grande azienda che produce informazione e cultura dovrebbe avere una strategia organica e variegata. Per fasce, per pubblico, per canali, perchè sono tre fattori che fanno una gran differenza. Dovrebbe tentare di ricuperare il pubblico che la TV non la guarda più, perchè ‘vecchia’, usando le potenzialità delle nuove tecnologie – i social, le app – e dare a coloro che, come noi, se trovano qualcosa di valido lo guardano ancora, programmi raffinati e ben costruiti. A partire da quelli che già ci sono. O c’erano…”
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