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Quanto ci piace la tragedia (possibilmente con morte) in diretta

8 Dicembre 2014

La notizia è arrivata in mattinata. Il cantautore Mango è morto dopo un malore avvertito dal vivo, proprio mentre era in concerto. Il timore è subito affiorato: avrebbero potuto esserci eventuali video in grado di raccontare l’interruzione dell’esibizione.  E così è stato. Il filmato si è materializzato in poco tempo, rimbalzando sul web di sito in sito con tanto di promozione a caratteri cubitali sui profili social.

Ogni redazione è stata messa di fronte alla scelta: postare o no? Alla fine, come spesso accade in casi del genere, si opta per la pubblicazione, perché il video sarebbe reperibile in mille altri modi su Internet. 

Tutto il cordoglio, il dispiacere manifestato, è evaporato di fronte alla bulimia da click. Migliaia di utenti dispiaciuti per la morte di Mango, hanno poi condiviso quel video, calpestando lo stesso principio di rispetto che proponevano nella parole. 

Il discorso può essere bollato pure pistoltto moraleggiante, ma dinanzi a una tragedia personale sarebbe stato più giudizioso evitare di sbirciare, tra le pieghe di un filmato, il malore di un personaggio pubblico, che però avrebbe il diritto – almeno in punto di morte – di veder rispettata la privacy. Anzi, la propria umana debolezza. 

Sarebbe bastato un gesto di pudore per scongiurare questo desiderio morboso di vedere come muore un uomo per infarto. Spesso facciamo finta di indignarsi dinanzi all’informazione-spettacolo, quella che tra una notizia e l’altra instilla la lacrima facile. Ma alla prima curva postiamo e condividiamo un dramma personale.

L’evento, casomai ce ne fosse bisogno, richiama quell’insopprimibile interesse verso la tragedia (altrui) trasmessa in diretta. Ed è una questione ben diversa dalle immagini di morte che arrivano dai fronti di guerra. In quel caso foto e video aggiungono informazioni al racconto, trasmettono il significato – anche se terribile – di alcuni accadimenti.

La morte di Mango, invece, risponde alla logica del guardonismo. Perché ci piace la tragedia (possibilmente con morte) in diretta, altroché.

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