Musica

PRIMAVERA SOUND: a Barcellona il festival dei festival rock

28 Maggio 2016

Volenti o nolenti, il Primavera Sound, che inizia la prossima settimana, dall’1 al 4 giugno, a Barcellona (con un appuntamento gemello portoghese, in formato ridotto, in programma a Oporto la settimana successiva), tra gli immensi spazi del Forum inaugurati in occasione delle Olimpiadi del ’92 e varie location cittadine, è il festival rock continentale con cui è inevitabile fare i conti. Nella stagione della musica liquida che lascia briciole agli artisti il festival catalano continua a crescere e a fare record. Grazie anche, in piccola ma non irrilevante parte, ad una agguerrita presenza italiana. Tirata in ballo ogni volta che si intende attaccare quel provincialismo spesso attribuito agli abitanti della penisola, appassionati di musica indipendente inclusi: come mai i concerti di un certo tipo, in locali di media grandezza, da noi fanno numeri risibili e il pubblico che li diserta – questa l’accusa – preferisce andare a vedere gli stessi nomi spendendo quasi 200 euro, biglietto aereo, vitto e alloggio esclusi? Una domanda interessante e lecita, che tuttavia non tiene conto di alcuni fattori, oltre che del peso degli headliner, radunati in uno spazio-tempo circoscritto. Prima di tutto la possibilità di respirare l’atmosfera da festival, qualcosa che in Italia, nonostante i tentativi passati, e al di là di alcune promettenti situazioni in costante sviluppo che ci auguriamo rappresentino un’inversione di rotta culturale (il Siren Fest di Vasto, l’ormai storico Ypsigrock di Castelbuono, in Sicilia, e altri ancora: occorre ricordare che la crescita dal basso, per il Primavera, è stata fondamentale), in buona sostanza, ancora non c’è. Qui il tentativo di fare festival naufraga spesso nello “scontro di civiltà”: difficile immaginare, per dire, i fan di un ipotetico Vasco Rossi inglese prendere a bottigliate tutti gli altri artisti in cartellone, come capitò in una storica edizione del nostro Heineken Jamming Festival. E difficile a maggior ragione immaginare qui un evento del genere, che per scelta politica non chiede finanziamenti pubblici (unico aiuto, la concessione gratuita degli spazi del Forum da parte della città), sostenuto in maniera sostanziosa da sponsor privati: il mercato della musica è quel che è, e chi se la sente di azzardare?

In ogni caso sarebbe difficile offrire qualcosa di anche solo lontanamente paragonabile: quattro giorni in cui, sui palchi che con il passare degli anni sono diventati una decina, passano più di 150 artisti, in buona sostanza qualsiasi band con un minimo di seguito internazionale che sia in quel momento impegnata in un tour in Europa, o che stia per iniziarne uno. Una esperienza totalizzante, densa, dal tardo pomeriggio alla notte inoltrata. Pure sfiancante, per certi versi. Lo sarà con buona probabilità quest’anno, anno in cui per la prima volta tutti gli abbonamenti e tutti gli ingressi giornalieri sono andati esauriti con settimane, anzi mesi, d’anticipo. Colpa, per così dire, dei Radiohead headliner, e dell’attesa per il loro ritorno.

Ecco, se c’è un problema che dovranno fronteggiare gli organizzatori nelle prossime edizioni, è quello di essere diventati troppo grandi, un evento che in occasione della scorsa edizione ha raggiunto le 200mila presenza. Evitare, insomma, che le condizioni di fruizione e godibilità diventino impraticabili. Intanto, per questa edizione, si è scelto di inserire un polmone depressurizzante, un “Beach Club” di fronte al mare e dedicato prevalentemente ai DJ set.

Al di là di qualsiasi considerazione sul rischio di bulimia che un evento del genere porta con sé, alla fine contano i fatti. E la qualità della proposta. Difficile chiedere di più in questo momento storico. Ce n’è letteralmente per tutti i gusti. Per chi ama le rentrée in grande stile, ci sono, come dicevamo, i Radiohead, con un nuovo lavoro appena pubblicato ad anni di distanza dall’ultimo album in studio, ma anche gli LCD Soundsystem: un rompete le righe tutto sommato recente il loro, ma con molti orfani, che potranno rimediare al vuoto lasciato dal gruppo del newyorchese James Murphy. Per chi si affeziona alle costanti, ci sono gli immancabili Shellac di Steve Albini, gli unici sempre presenti, ormai da tempi immemorabili. Per chi ama i Grandi Vecchi, in questo 2016 che ce ne ha già portati via troppi, e ha per questo motivo bisogno di conforto, abbiamo Brian Wilson che porta in concerto i Beach Boys di Pet Sounds, fresco di cinquantennale, ma anche il filmmaker John Carpenter, da sempre autore delle proprie colonne sonore e da qualche anno riscoperto nelle vesti di musicista puro, o ancora i Cabaret Voltaire, pionieri industrial. Il settore nostalgia è ben rappresentato, ce n’è per tutte le età. Gruppi di nicchia come Drive Like Jehu e A.R. Kane, attivi nei Novanta. O Ben Watt, metà degli Everything But The Girl che da qualche anno ha ripreso una carriera solista interrotta poco prima della nascita del gruppo, accompagnato dalla chitarra di Bernard Butler, già fondatore di quegli Suede che rappresentarono uno dei primi vagiti Britpop. Presenti pure loro, e pure tornati in discreta forma. E ancora i francesi Air, alle prese con il loro ventennale. Tra gli altri nomi anni Novanta, PJ Harvey, appena uscita con uno dei suoi dischi più ambiziosi.

Ma al primavera c’è anche molto presente. Quello di realtà consolidate dell’ultimo quindicennio, come Animal Collective o Battles. Quello delle ultime tendenze elettroniche, dall’atmosferico Floating Points al più agguerrito Hudson Mohawke, fino a Holly Herndon e Powell. Le ultime leve dell’indie rock come Car Seat Headrest. Per gli amanti dell’avant jazz che piace alla gente che piace, c’è il trasversale Kamasi Washington, per gli amanti delle sonorità extraeuropee, be’, anche lì non mancano i motivi per gioire, tra i veterani senegalesi Orchestra Baobab e i congolesi, veterani pure loro ma di recente notorietà, Mbongwana Star. C’è pure un contingente di gruppi indipendenti italiani, tra cui i veronesi C+C=Maxigross. Abbiamo dimenticato qualcuno di importante senza dubbio, e c’è da farsi girare la testa. Avere tutto immediatamente disponibile, che siano musiche di ogni epoca ad un clic di distanza su YouTube, o band sul palco a portata di poche centinaia di metri, è una straordinaria opportunità ma anche una incommensurabile iattura.

E tuttavia, forse, il potere aggregante della musica non ha ancora perso totalmente il proprio potenziale. Evitare che si trasformi in una calca invivibile è la prossima sfida del Primavera Sound.

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