Musica

Poesie mediterranee

12 Giugno 2019

Due ore di tempo libero, strappate a una settimana frenetica, bastano appena per riscoprire un album dai ritmi lenti, riflessivi, sfuggito chissà come e perché a stagioni evidentemente distratte.

«Chi mi ripara adesso
Con questa pioggia di silenzio
Dove ti cerco adesso
In questo mare di cemento»

Nella strofa del primo brano, dedicata alla morte improvvisa di una madre, già emerge il filo conduttore dell’intero progetto discografico datato 1994. L’ultima canzone s’intitola infatti “Il mare”: «acqua madre, salsedine, destino blu, come una spilla d’oro sulla spalla».

Fra la partenza e il traguardo diverse tappe segnano il percorso, lasciando tracce firmate da poeti greci riadattate in italiano da Maurizio Piccoli e Massimo Gallerani e musicate dal compositore Thanos Mikroutsikos, allora ministro della Cultura in Grecia.

Dalle liriche di Nikos Kavvadias nascono “La lunga notte” e “La lettera”. La prima è una canzone rivoluzionaria contro i servi del potere, pronta a svegliare dal sonno «i tanti naufraghi del cielo senza rotta»; la seconda, dai toni più sofferti e nostalgici, torna a rievocare il ricordo della madre: «Sai da quanto non ti vedo? Ridi ancora come ridono i limoni? Ho pianto la mia giovinezza e qui speravo di farmi un’altra vita e uomini più buoni».

Mpampis Tsikliropoulos cerca «il mare e un’onda per tornare», in quanto straniero fra altri “Stranieri” come lui, uccisi da un’aria di veleni alienanti.

“Il canto di un’Eneide diversa”, “Profumo d’amore” e “Guarda che notte”, scritte tutte da Lina Nikolakopoulou insieme al brano di chiusura, descrivono sia il versante felice, sia quello tormentato dell’amore e il tappeto sonoro veste coerentemente i diversi stati d’animo:
«Fra olive nere e il cielo bianco del sud c’è questo grande mare azzurro di te che bagna l’anima ferita che ho… Se la tua notte fosse ancora musica, un’onda di ritorno o solo fisica, non più quel tuo lenzuolo d’ansia scaduta ma solo un volo come d’aquila, noi forse torneremo a vivere… Sei la vela ladra di vento, sei la furia che la bocca bruciò… Metti musica in cielo che resto qui a pensarti».

A interrompere la rotta ellenica “Anna non piangere” di Bertold Brecht, rispettosa dell’impegno civile intrinseco al ciclo delle canzoni contro la guerra e “Volpe d’amore” di Giovanni Testori, che dà il titolo al disco, dove la poetica dell’autore milanese affronta con delicatezza il tema ricorrente di un amore diverso, pennellato da colorazioni paterne, mai pienamente felice e intimamente accettato.

La voce di Milva, compagna perfetta di una traversata musicale che alterna tempeste emotive a placide meditazioni, si fonde magistralmente con le atmosfere di abbandono, solitudine, ribellione, esilio, suggerite dai brani e l’immersione è forse tale da non stupire una frase che lei stessa disse poco prima del ritiro ufficiale dalle scene: «Solo una cosa mi attrae in questo momento, vorrei essere su una nave, sono un segno d’acqua, Cancro e il mio desiderio d’acqua è il mio desiderio di nave, l’unico mezzo per attraversarla.»

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