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Parlando con Gianni Maroccolo di ‘Alone vol. IV’ si scoprono meraviglie
Confesso la paura di dover affrontare un’intervista così, con un personaggio così, come Gianni Maroccolo e con un disco come ‘Alone vol. IV’ che in questi giorni ho ascoltato a ripetizione nell’incanto di sentire qualcosa che non avevo mai ascoltato fino a ora. L’incipit del disco è fortissimo, si intitola TSO X, una suite di più di otto minuti che mette addosso un senso di straniamento che ci ha accomunato tutti in quelle settimane in cui sono rimasti aperti solo gli ospedali, i negozi di alimentari e le farmacie. Nell’incominciare questa intervista che vorrei fosse vasta quanto le suggestioni che il suo nuovo disco mi ha dato, vorrei partire dalla stessa domanda che mi ha fatto la collega che mi ha proposto di intervistarlo, Gianni Maroccolo. Allora cominciamo esattamente da qui senza troppi intermezzi, Gianni come stai e il bambino che è in te come sta?
Il bimbomarok forse non è mai stato così bene. Da qualche anno ho conquistato un po’ di equilibrio e di serenità che mi permette di sopravvivere dignitosamente. Nonostante la “carcassa” inizi a perdere qualche colpo, la curiosità e il desiderio di sperimentare e condividere musica è ancora forte.
Cosa è successo nel corso del lockdown per te, quali sono state le tue prime reazioni ai provvedimenti governativi e alla quarantena, hai avuto paura del virus, hai dovuto interrompere qualcosa, ti sei mai chiesto se ne saremmo usciti ma soprattutto come ne saremmo usciti?
La prima reazione è stata quella di fermarmi per cercare di capire. Senza ansia né timori. Ho provato a mantenermi lucido e a tenere a bada le emozioni e l’ istinto. Dopo pochi giorni, non per ideologia né per scelta politica, ho deciso che le istituzioni sarebbero state il mio unico punto di riferimento. Il nostro governo, il nostro Premier, il nostro Presidente della Repubblica. Non avrei dato ascolto a nessun altro. Ognuno di noi in quel periodo stava perdendo qualcosa o qualcuno. Seppur in difficoltà come tutti, ho scelto di vivere e di attendere, provando a ridisegnare la mia vita con la maggior serenità possibile. Ho pensato che in fondo non avevo nulla da perdere e che comunque l’umanità avrebbe attraversato anche la pandemia. Ho interrotto purtroppo la frequentazione dei miei famigliari e di tutti gli amici. In quei giorni è venuta a mancare mia mamma con cui sono riuscito a passare solo gli ultimissimi giorni della sua vita terrena. Insomma, ho vissuto il presente cercando di non essere di peso a chi in quei giorni stava peggio di me o si adoperava per cercare di trovare soluzioni e/o di salvare vite umane. Non mi sono mai chiesto quando, se e come ne saremmo usciti. Non coltivo la speranza; vivo il presente.
E’ intrinseco alla musica il concetto di continuazione, se non altro per le continue risonanze che è in grado di generare in noi e per quel potere che essa ha a volte di non farci dormire. Allora, anche se è retorico chiederlo, perché un disco perpetuo di cui Alone Vol. IV è solo il quarto capitolo?
Mi verrebbe da dire perché non esiste o perlomeno io non lo conosco, un modo per rendere costante e condiviso il flusso creativo. Dovremmo rimanere “connessi” senza soluzione di continuità all’infinito, ma non è pensabile generare suoni e condividerli 24 ore su 24. Sebbene il “perpetuo” io l’ abbia inteso come qualcosa di molto simile al “finché morte non ci separi”, sono però convinto che tutti gli esseri viventi del pianeta siano costantemente in oscillazione. Magari non ce ne rendiamo conto perché i nostri sensi sono oggettivamente limitati, ma tutti noi vibriamo, e vibrando generiamo frequenze che ci permettono di rimanere costantemente connessi in modo più o meno inconsapevole. Questo vale anche per il suono e per la musica che vengono generati da oscillazioni e frequenze. “Alone” cerca di connettersi con chi produce frequenze simili alle mie. Con chi si sente parte di un “tutt’uno”. Purtroppo questo processo, che va al di là della musica stessa, non può manifestarsi senza interruzioni, perlomeno non per ora.
Sembrava tutto procedere per il meglio, a un tratto arrivano le prime notizie di un virus che non conosciamo, il resto è cronaca dei nostri giorni. Tu che avevi già in gestazione Alone Vol. 4 ti butti in un’altra avventura musicale con Stefano Rampoldi, in arte Edda, che nella scena rock italiana non è esattamente una comparsa, tanto da essere definito come uno degli ispiratori della scena musicale italiana degli anni ’90. Questa avventura con lui è stato un salto carpiato, oppure c’è una linea di congiunzione rispetto al tuo disco perpetuo?
Il disco con Edda, artista che stimo follemente, è la conseguenza di un rapporto umano che stiamo costruendo da anni. Frequenze appunto, che vibrano quasi all’unisono, un approccio alla vita simile, il desiderio comune di coltivare e approfondire l’universo spirituale. Ci siamo avvicinati lentamente e in modo naturale e ancora oggi ci stiamo reciprocamente scoprendo. Note, suoni, parole, arrangiamenti , credo siano venute fuori spontaneamente come quando si è bimbi e si gioca insieme senza malizia o condizionamenti. Era da tanto che un po’ scherzando e un po’ seriamente ci dicevamo che dovevamo fare qualcosa insieme come, ad esempio, presentarci a Sanremo in duo o fare un disco. Abbiamo colto un segno, una sorta di invito a farlo in quel momento nonostante tutto. Alone è servito a farci conoscere, Stefano ha collaborato al vol. I e al vol. IV, ma credo fosse comunque scritto che i nostri percorsi artistici e umani si dovessero incrociare.
In questo quarto volume di Alone c’è tanto della scena underground, dei mondi che hai sempre frequentato, come se la tua storia artistica fosse una casa fatta di tante stanze da cui prima o poi si ripassa. In questa casa c’è un ingresso molto ampio e spazioso, che sono i Litfiba. Quanto c’è di quella che è rimasta una delle band più originali del rock italiano in te, nella tua musica e in questo quarto volume di Alone?
I Litfiba sono la mia giovinezza e rappresentano forse il periodo più bello della mia vita.Tutto avveniva e si manifestava attraverso l’istinto e in modo totalmente libero. Quando fondammo il gruppo avevamo solo il desiderio di condividere il piacere della musica, non ci eravamo prefissati niente. Nessuna mira, e credo che nessuno di noi all’ inizio pensasse che avremmo potuto trasformare questa nostra passione nel più bello dei mestieri. Pensavamo solo a comporre canzoni, a sperimentare e a cercare di suonare il più possibile. Solo tra Desaparecido e 17RE mi sono reso conto del grande potenziale artistico dei Litfiba. In quel periodo iniziammo a suonare molto all’estero condividendo spesso i palchi con artisti famosi e ogni volta riuscivamo a catturare il pubblico nonostante Piero cantasse in italiano. A mio modestissimo avviso, eravamo devastanti. Unici. Un’ alchimia perfetta costruita concerto dopo concerto. Piero aveva una grandissima personalità, carismatico, un vero animale da palcoscenico, uno dei migliori in assoluto. Una base ritmica tostissima, un tasterista atmosferico e un chitarrista eclettico. Insomma, avevamo il nostro suono e le nostre canzoni non scimmiottavano nessuno. E poi ripeto, dal vivo, ogni concerto diventava quasi una cerimonia. Col senno di poi, mi rendo conto di essere lo stesso musicista di allora, di avere dentro di me quell’ imprinting indelebile che si manifestò durante quella meravigliosa esperienza musicale e di vita condivisa con Ghigo, Piero, Antonio e Ringo.
Emilia Romagna e Toscana, quindi CCCP Fedeli alla linea, CSI, Giovanni Lindo Ferretti e poi i già citati Litfiba: le due regioni di cui tutte queste forme artistiche sono espressione sembrano essere territori surgivi, ricchi di correnti sotterranee a cui solo il rock sembra essere in grado di dare voce. Quanto c’è di emiliano e di toscano in Gianni Maroccolo?
Non saprei. Mi sento un figlio delle stelle, una sorta di cane randagio senza patria e senza bandiere. Mio padre era un sottufficiale dei carabinieri e sin da piccolo ho girato l’Italia in lungo e in largo fino a ritrovarmi all’età di 5 anni in Sardegna dove sono cresciuto e ho abitato per una dozzina di anni. Anche se sono maremmano, credo di avere un carattere affine ai sardi, in particolar modo agli abitanti del centro dell’isola. Dai sardi ho compreso valori quali l’ amicizia, il rispetto, la lealtà, la dignità, l’ ospitalità. Il valore delle tradizioni e l’ importanza di tenere viva la memoria, il sapere ascoltare coltivando i silenzi. La mia parte toscana invece tende all’ ironia, grazie al cielo. Per capirsi, “Amici miei” è il miglior modo possibile per comprendere i toscani. Ma non so quanto le mie radici meticce abbiano influito sulla mia musica. Tutti mi prendono in giro perché ovunque mi trovi per registrare un disco mi chiudo in studio e ne esco quando ho finito e spesso dopo i concerti riparto subito per tornare a casa.
Ti accompagnano in questa avventura di Alone due compagni stabili e due date a distanza esatta di sei mesi. I compagni sono Marco Cazzato per le illustrazioni e Mirco Salvadori, scrittore e critico musicale. Le date per la pubblicazione delle varie puntate del tuo disco infinito sono 17 dicembre e 17 giugno, ci racconti il motivo per questa doppia accoppiata?
Mirco Salvadori, Marco Cazzato e Alessandro Nannucci della Contempo Records hanno creato insieme a me Alone. La collana non sarebbe esistita senza il loro prezioso contributo. Dopo questo primo ciclo ci lascerà Marco Cazzato che oltre alle sue stupende illustrazioni ha creato l’artwork del progetto. Ovviamente mi dispiace, ma niente è per sempre. Dal vol. V prenderà il suo posto una pittrice toscana molto talentuosa; Simona Stivaletta. E sul 17 che dire…. è il mio numero fortunato.
Alone Vol. IV chiude il primo ciclo del tuo disco perpetuo e stratificato – così come stratificata è tutta la tua musica – , un prodotto che diventa necessario possedere anche nel suo formato fisico per poterne apprezzare tutte le sfaccettature. Gli strati di cui si compone l’opera fino ad ora sono stati tre, musicale, grafico e narrativo, e arrivo alla domanda, nel secondo ciclo di Alone dobbiamo aspettarci qualche ulteriore stratificazione?
No, non credo. Ma a breve arriverà anche la declinazione “live” di Alone. Il quarto strato mancante.
Il quarto volume di Alone conta molte più collaborazioni ed è molto più “parlato” dei precedenti. E’ come se l’orizzonte verso cui ci inviti a guardare fosse molto più ampio rispetto a quello che avevi di fronte quando hai cominciato questo disco due anni fa. Quanto è cambiato il percorso artistico e compositivo di Gianni Maroccolo in questi anni di Alone?
Alone vive di flussi sonori. Ogni volume narra attraverso suoni, note e parole, un tema che potremmo definire quasi un “concept”; di conseguenza il viaggio musicale, e ovviamente le collaborazioni, risultano fortemente condizionate dagli argomenti a cui ci si ispira. Così capita ad esempio, che quando iniziai a lavorare a “Tundra” (alone vol. I) mi venne naturale chiedere a Iosonouncane di manipolare liberamente il pezzo o, che so, mentre lavoravo a Ogni Luce ho pensato che sarebbe stata perfetta cantata da L’ Aura solamente accompagnata dal suo pianoforte. Il percorso compositivo rimane lo stesso così come il mio approccio alla musica, che continua ad essere quello di un vecchio rockettaro curioso a cui piace esplorare universi sconosciuti. In sintesi, come diceva il buon Claudio Rocchi, abbandonare di buon grado “il noto per l’ ignoto”. Con sana incoscienza e senza paure.
Io ho una grande passione per la letteratura e quando incontro persone così vive creativamente come te ho sempre una domanda che non faccio mai, a te invece ho deciso di farla: che libro tieni sul comodino in questo momento e qual’è il prossimo libro che leggerai?
Non mi chiedere il perchè….. dentro al cassetto del comodino ne ho due : Il Profumo di Patrick Suskind e Il vecchio e il mare di Hemingway. Sto per leggere: Verso l’ immateriale dell’ Arte di Yves Klein.
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