Musica

Orgoglio e pregiudizio: l’America di Jackie Shane

14 Luglio 2020

Non è un Paese per diversi

Essere neri, essere afroamericani, membri di un’altra minoranza o comunque non WASP (White, Anglo-Saxon, Protesant) negli Stati Uniti è un problema. Lo è oggi nell’America di Donald Trump – almeno fino a novembre – e lo era ieri, negli infuocati anni ’60 delle lotte per i diritti civili, nel decennio delle marce, delle battaglie, degli omicidi dei leader di colore: Medgar Evers, Malcolm X, Martin Luther King, e tutte le altre vittime del cieco, becero razzismo bianco.

Essere transessuali negli Stati Uniti è un problema. Lo è oggi, così come lo è nel resto del mondo, in un’epoca nella quale le nuove destre, partiti forti e spesso al governo, odorano di populismo e bigottismo e si richiamano ad un cristianesimo che ha ben poco del messaggio evangelico ed è soprattutto puritanesimo, quello peggiore, abietto e totalitario. Quello che il diverso lo emargina e lo esclude. E lo era ieri, quando l’integrazione era demonizzata e i bravi americani insultavano e sputavano addosso agli studenti diversi che si recavano a scuola o all’università: che fossero semplicemente neri, omosessuali o transessuali, non erano degni di godere dei benefici dell’istruzione.

Gli Stati Uniti non erano e non sono neppure oggi, a quanto vediamo, un Paese per diversi. E la questione non è certo limitata agli USA ma parliamo di questo Stato perché c’è una storia da raccontare.

My name is Jackie Shane

Anche se per i telegiornali italiani e gli altri media tricolore le proteste legate al movimento Black Lives Matter sono finite, perché c’è da parlare di COVID, di recovery fund e dell’estate di Matteo Salvini – tutti argomenti ben più interessanti per l’italiano medio rispetto a quella che potrebbe essere una rivoluzione sociale senza precedenti – in realtà, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, si scende ancora in strada. I tumulti e le manifestazioni dell’America inquieta contro le discriminazioni razziali possono essere uno stimolo a portare sotto la lente d’ingrandimento una figura culturale dimenticata dalla storia, quella della cantante Jackie Shane.

Jackie Shane blond

Shane nacque a Nashville, in Tennessee, la capitale americana della musica, nel maggio del 1940. Dopo il fungo nucleare e l’apice del sogno americano, in un periodo storico in cui ogni suo connazionale sognava una famiglia, una villetta a schiera e un’automobile, uno dei maggiori simboli della libertà a stelle e strisce, Jackie Shane sognava di poter vivere da donna, nonostante la biologia l’avesse fatta nascere uomo. A partire dall’età di 13 anni, Jackie cominciò ad indossare abiti femminili, grazie anche all’appoggio incondizionato di sua madre, la quale aveva accettato da tempo che il suo bambino fosse in realtà – in tutto e per tutto tranne che per l’anatomia – una bambina.

La passione per la musica è sempre stata parte di lei, già da piccola cantava nel coro gospel della chiesa locale e, non appena raggiunse la maturità vocale, fu cantante in alcune band della zona. Le quali non sono certo scarse nel Tennessee, dove anche le bottiglie di Jack Daniels’ fanno musica country. A vent’anni però, nel 1960, le leggi Jim Crow divennero un fardello insostenibile e Jackie scappò a Nord, oltre il confine canadese, stabilendosi a Montréal.

Una nuova opportunità

L’epicentro della musica black a Montréal era l’Esquire Show Bar, un locale cui devono gran parte della loro cultura musicale molti cittadini della capitale dell’Ontario, poiché faceva suonare i migliori artisti statunitensi e consentiva l’ingresso anche ai minori di 21 anni. L’Esquire chiuse nei primi anni ’70 ma l’alone che lo circonda non morirà mai. Shane fu invitata presso il locale dal sassofonista della Motley Crew, band guidata da Frank Motley, un virtuoso della tromba che, oltre ad essere in grado di suonare contemporaneamente due strumenti a fiato, era anche un notevole cantante jazz.

Jackie Shane hat

Nel corso della loro esibizione, i musicisti della Motley Crew invitarono Jackie a cantare assieme a loro. Senza alcun timore, Shane salì sul palco del locale e cantò Ray Charles e Bobby Blue Bland. Un anno dopo, era diventata la principale cantante del gruppo e si trasferì assieme a loro a Toronto. Ben presto cominciò a circolare una leggenda metropolitana secondo la quale Shane era la cugina del recentemente scomparso Little Richard Penniman, l’architetto del rock’n’roll. Non vi è alcuna prova che ciò sia vero e pare piuttosto improbabile ma ai tempi molti ci credevano.

Jackie Shane tornò spesso negli USA, sia per registrare dischi a Boston, sia per prender parte ad una trasmissione nella sua città natale ove era ospite ricorrente, sia per suonare le percussioni che amava a Los Angeles, sia per trovare i suoi cari. La sua vita, però, si era trasferita in Canada stabilmente dopo il 1960. Essere trans in Tennessee non era dettaglio da poco. Nel corso della sua intera carriera musicale, così come al termine di essa, nessun critico, nessun collega, nessun giornalista e neppure la stessa cantante utilizzarono mai la parola transessuale per definirla.

Ogni fonte novecentesca parla della cantante come di un uomo bizzarro che si vestiva in maniera ambigua, enfatizzando la femminilità. Al massimo si arrivò a definirla una drag queen. La cultura dell’epoca non era in grado di identificare una persona transessuale e accettare questo orientamento, visto come bestiale ed inumano. Ancora oggi, tristemente, molti la pensano così.

Fu solo nel 2017, durante una intervista con il Globe and Mail che Jackie Shane si definì transessuale. La sua carriera, a quel punto, era terminata da oltre 40 anni, dal momento che già a partire dagli anni ’70 si era ritirata dalle scene, per accudire la madre gravemente malata.

Jackie Shane portrait

Una pioniera dimenticata dalla storia

Una delle prime performer transgender della musica americana, Jackie Shane ha dato un importante contributo alla scena r&b nordamericana, la più importante al mondo. Il suo soul classico, il suo rhytm & blues vocale e potente sono incastonati in alcuni 45 giri musicalmente straordinari incisi negli anni ’60. La casa discografica Numero Group li ha rimasterizzati in un doppio album uscito nel 2018, qualche mese prima della morte di Jackie Shane. Il disco si apre con una lunga lettera, firmata dall’artista stessa, nella quale la cantante racconta la sua storia e la sua musica utilizzando, finalmente, tutti i pronomi al femminile. Quel che la legge e la società le avevano tolto, Jackie Shane se lo riprende quasi in punto di morte, dando senso alla sua vita nascosta, o comunque raccontata solo parzialmente, da tutti coloro i quali la descrivevano come un cantante un pò ambiguo.

La cantante riesce finalmente ad identificarsi nel genere femminile, a realizzarsi ed affermarsi come donna dopo che per quasi ottant’anni ciò le è stato negato, tanto dagli altri quanto da sé stessa. Nella storia di Jackie Shane troviamo un lieto fine come quelli che abbiamo imparato ad attenderci al termine di ogni grande storia americana.

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