Famiglia

Ninnananna hippie per una generazione intera

31 Ottobre 2022

Autunno 1970: Arlo, il figlio di Woody Guthrie, suona in un famoso locale folk di Chicago, The Quiet Knight, che è pieno di gente – ed apre, come al solito, con Alice’s Restaurant. “Non è una canzone contro la guerra, ma contro l’imbecillità”, spiega Arlo. Perché non è solo contro la guerra in Vietnam, ma anche contro la piccineria e l’ignoranza della gente dei piccoli centri americani e, molto più doloroso, sul tragicomico errore di un’intera generazione che aveva credito nella libertà senza confini e nell’amore universale.

Alice’s Restaurant dura quasi venti minuti e, come tutti i brani del giovane Guthrie, è per gran parte parlato – perché a lui piace raccontare storie, con la sua voce da Paperino ed il suo aspetto da spaventapasseri triste che ricorda un po’ Hunk, uno degli amici di Judy Garland nel Mago di Oz. Il centro della storia è spiegare perché lui ed un paio di amici sono stati condannati e, grazie a quella condanna, sono scampati alla guerra – per aver rubato mezza tonnellata di immondizia ed averla gettata da una rupe accanto a una strada nazionale.

L’immondizia non è rubata, ma viene da una chiesa sconsacrata di Great Barrington, un paesino di 4000 abitanti sulle colline del Berkshire, nel Massachusetts. La chiesa è stata acquistata da un’insegnate di liceo di Arlo, Alice Brock, che ha sposato un falegname bohemienne, Ray, e si è trasferita laggiù per aprire una locanda per giovani hippies e praticare, per l’appunto, libertà ed amore. Arlo fa parte di un’enorme carovana di ragazzi del Greenwich Village, che vogliono passare lì l’estate ed aiutare a sistemare la chiesa, per poi tornare all’università o al lavoro. Data la grande tensione creata dalla violenta reazione del paesino all’arrivo degli hippies, Arlo deve dichiarare di aver rubato l’immondizia per non trascinare Alice e gli altri nei guai.

La chiesa del Massachusetts in cui Alice Brock fonda nel 1967 una comune hippie

La vita nella Comune rispecchia tutto ciò che la mia generazione ha sognato: amore, allegria, tanti colori e leggerezza, amore. Ma poi arriva la vita vera, come un ceffone. In quei giorni, Arlo va a trovare Woody, il padre, che sta morendo in ospedale, circondato dai grandi eroi della sua generazione di hoboes e cantanti di protesta. Poi torna alla chiesa, per scoprire che Alice ha tradito il marito con uno dei giovani hippies che, quando Alice gli spiega che si trattava di una notte, si toglie la vita. Nel frattempo è sceso l’inverno, ed il funerale del ragazzo, accompagnato dalla tristissima ballata di Joni Mitchell sui “ragazzi che invecchiano”, è straziante. In primavera tutti abbandonano la chiesa, ed Alice rimane sola con il marito che, nel frattempo, si è rivelato essere un semplice ubriacone.

La canzone è così struggente e buffa, che il regista Arthur Penn decide di farne un film, che è (a mio avviso) il capolavoro del cinema di quegli anni, molto più intimo e personale dell’epopea pseudo-kerouachiana di “Easy rider”. La scena finale di Alice sulla porta della chiesa che guarda i ragazzi andare via è il simbolo di un’intera generazione tradita dalla grandezza dei propri sogni – perché scopre di essere quella piccola misera trepida cosa che ognuno di noi è veramente.

Alice, nell’ultima scena del film, rimasta sola sulla porta della chiesa

Alla fine del concerto molti gli fanno i complimenti, ed il padrone del Quite Knight presenta Arlo ad un musicista locale, Steve Goodman, che scrive canzoni un tanto al chilo per due case discografiche. Steve dice ad Arlo di avere una canzone, una sola, che vale tutta una vita, e vuole darla alla persona giusta. Ad Arlo, appunto, che si schermisce, cerca di tirarsi fuori dall’impaccio il più educatamente possibile. Ma Steve incalza, sostenuto dal proprietario del bar. Finché Arlo dice: ok, vai sul palco, usa la mia chitarra, ti do il tempo in cui bevo un’ultima birra.

La canzone è “City of New Orleans”, ed è una ballata triste e ironica sulla morte del sogno americano. Arlo gliela fa cantare tre volte, ne impara gli accordi, la arrangia a modo suo, la pubblica, e grazie alla canzone va in testa alle classifiche di tutto il mondo. È l’apice della carriera di entrambi, che con la fine del movimento studentesco americano resteranno solo delle vecchie glorie. Arlo Guthrie diventa adulto, poi invecchia. Accanto a sé ha Jackie, la ragazza hippie sposata nel 1969, e che lo ha lasciato nel 2012, ma solo perché è morta di cancro. La stessa cosa accaduta a Steve, ma molti anni prima, quando aveva solo 30 anni.

Steve Goodman nel 1970

Oggi, quando Arlo va sul palco, invece di raccontare le storie buffe e tristi del ristorante di Alice Brock, parla di Jackie e di Steve, della vita che vola via in un battibaleno, “del fatto che sia possibile cantare l’allegria, la rabbia, la pena, l’indignazione, ma non si possa cantare il dolore per coloro che non ci sono più, perché gli unici a cui vorresti cantare non possono più riscaldare il tuo cuore dopo che hai versato le lacrime che ne scrosciano fuori”. E poi canta della città di New Orleans, con la solita voce di Paperino, i lunghi capelli bianchi,e come tutti noi vecchi si commuove.

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