Musica
Musica leggerissima #7 – Alhambra
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
Brother in soul, il grande jazz a Napoli, ma anche, appunto, il suono dell’anima. Inner city blues, ‘o mare, l’amore che attraversa i muri, gli uccelli feriti che volano in alto. Please, come on. Queste suggestioni le suscita quello che è il titolo del pezzo più famoso di quel grande disco di James Senese che è Alhambra (1988): “Love Supreme”. Un amore supremo nei confronti di Napoli, delle sue origini, dei suoi maestri e di quelli della musica afroamericana e, in questo caso specifico, di un’icona come John Coltrane. Coltrane è sempre stato sinonimo di trascendenza, ma anche di circolarità, di ossessione per il concepimento di un suono puro e spirituale. Alhambra di conseguenza è un lavoro che contamina il sound sintetico della fusion degli anni Ottanta con le radici del canto napoletano, con la musica che appunto spiritualmente esce e rientra dentro di noi.
Alhambra è un disco che segue chiaramente l’evoluzione del neapolitan power, di quell’idea che serve a lasciare intatte le origini superando sempre vitalmente il classico e l’antico con strumenti di modernità evidente e incontrovertibile. C’è il brano che dà il titolo all’album che mostra queste qualità: il sax di James che apre in completa solitudine e dà l’idea di spazi immensi vissuti interiormente, poi parte una carovana di percussioni su una danza suadente, con scrosci di pianoforte e onde di sintetizzatori. Un pezzo circolare che unisce passato e futuro, con lo zampino anche di un grande ospite come Gil Evans. Sempre su questa linea, poi, c’è un altro brano come “Anema nera”: slancio black, organo fluido e mood da house music che consacra Senese sacerdote e dj nello stesso luogo e nello stesso istante. Alhambra è dunque un disco che lavora su movimenti tribali e visioni cyber-etniche, fratellanza soul e malinconia partenopea.
Un’opera che cerca la vitalità del contemporaneo stringendo accordi con gli sciamani che possono vedere quello che appartiene al futuro. La pacatezza energica di Senese è il fulcro della sua musica negli anni Ottanta: il maestro è in grado di passare sulle sue composizioni uno smalto che dona al suono una forma tanto tradizionale quanto al passo con i tempi. E questo, si tenga bene a mente, non serve a intellettualizzare, ma a rendere semplice ed etereo. Come disse James in un’intervista a Antonio G. D’Errico: “La musica produce suoni, che vengono da altri mondi. È energia che ci appartiene, come fatto di cellule, che noi percepiamo come sentimento, magari puro e ideale, ma non spiegabile attraverso formule. Ci arriva come suono, ma la sua fonte resta un’astrazione”. La musica è un amore supremo. A love supreme.
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