Musica
Musica leggerissima #6 – Ecco
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
Sono stranamente tranquillizzanti la scrittura e la musica di Niccolò Fabi: tracciano rotte serafiche, che rimbombano dentro come se il suono fosse veramente l’architettura che sostiene tutte le nostre misere vite e poi a tratti scompaiono, come un velo che cade rivelando magicamente ciò che sta dietro. La musica e le parole per Fabi sono la possibilità di dire la propria sull’esistenza intima rapportata all’universale, ma anche a un elemento che è sociale, che spinge il mondo in avanti con la speranza di unirlo, di farne una stanza dove al suo interno si possa dialogare per poter realizzare una società più educata e migliore.
Fabi sogna e soffre. Dopo la triste morte della figlia di due anni, lo fa nei suoi dischi in maniera anche più intensa. Ecco (2012) è il lavoro che esce dopo questa tragedia e apre dimensioni dove il respiro è ampio e cosmico. Il centro dell’uomo si rapporta con una musica che cerca di andare oltre il vuoto interiore, intensificando il valore dell’altro mentre prova ad annullare il male del sé che diventa autoreferenziale. Ma è anche la ricerca dell’assoluto attraverso il particolare, con la commistione di tendenze e attitudini differenti. Un brano che in questo senso riesce a dare l’idea di quello che sto descrivendo è “I cerchi di gesso”: il lavorio che si propaga, tra i synth, il piano elettrico e gli archi, crea un contesto adeguato al senso del testo. “Le vasche da bagno lasciate nei campi / Per far bere gli animali / Le fionde di legno negli anni Settanta ci divertivano / I sassi lanciati dall’alto nel vuoto / Per sentirsi meno soli / I cerchi di gesso dietro i maglioni / Se ci colpivano” sono suggestioni, piccole cose che diventano grandi, a tratti enormi, perché riavvolgono il passato e lo ripropongono attraverso delle immagini che agiscono – per mezzo anche delle sonorità scelte – come degli amplificatori perfettamente posizionati.
Il mood dell’album è praticamente tutto quanto tendente alla scoperta di spazi interiori, che si fanno talmente concreti e visionari da divenire laceranti e catartici nello stesso istante. Gli arrangiamenti lavorano sempre in questa direzione: si può percepire chiaramente in brani come “Indipendente”, “Elementare” o “Le cose che non abbiamo detto”. Ecco dunque è in un certo modo anche alla ricerca dell’essenziale, all’esplorazione di quello che ogni uomo non vede o non capisce, fino a quando “Una mano leggera gli sfiora dolce il viso / E tutto all’improvviso è / Elementare”.
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