Musica
Musica leggerissima #5 – Un fiore sulla mondezza
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
Credo che Leone Tieri sia stato uno dei veri freak della canzone italiana. Non uso certamente questo aggettivo in modo dispregiativo, anzi. Essere freak negli anni Sessanta e in buona parte dei Settanta era una tendenza che, quando si manifestava in contesti musicali, voleva dire bizzarria, imprevedibilità o vellutato eclettismo.
Con il nome di Lino, Tieri aveva già pubblicato come solista dei 45 giri a partire dal 1964 e aveva anche fatto parte di due gruppi beat romani: i Little Boys e successivamente i Jaguars.
Tuttavia il suo lavoro più curioso e interessante è senza dubbio l’unico album a suo nome, Un fiore sulla mondezza (1970), coacervo di ballate folk, nenie psichedeliche e rock alchemico. La forza di Tieri risiede nel cantato scandito e deambulante, un po’ salmodiante e, appunto, un po’ scattante. Quello che colpisce è come il suo stare tra beat e prog, il suo riferirsi a un mondo strettamente cantautorale (tra De André, Tenco e Paoli) e caratteristico del procedere melodico di quello specifico tipo di identità, riesca a fondersi perfettamente nonostante la dimensione della parola e quella della musica – alle volte – possano apparire come divise e rispettivamente sezionate. La capacità di concepire una fusione coerente di questi elementi è probabilmente – in questo disco – dovuta alla presenza dei due Chetro & Co. Franco Coletta ed Ettore De Carolis, nonché di Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso. I loro mondi (quello psichedelico e quello più prettamente prog) danno equilibrio alle esecuzioni e creano il giusto spazio per consentire l’adeguato tono di espressività alla voce. Un buon esempio in questo senso è un brano come “La corte”: il suono di un organo in lontananza che apre il pezzo viene immediatamente travolto da un beat trascinato da una chitarra elettrica acidula e insinuante. La voce di Tieri regge il colpo, ma sul finale si posa nuovamente l’organo accompagnato da un bending sulla chitarra. Tutti gli elementi hanno perfettamente trovato la loro posizione all’interno della composizione.
Un ultimo appunto sul piano dei contenuti delle liriche: quello che l’autore costruisce è un universo fatto di pennellate in cui l’immaginazione e la disillusione (ma anche la speranza) sono al centro del linguaggio. Nel “Sogno di Leone”, Tieri recita proprio così: “Leone sogna di essere un bambino / E di vivere in un grande castello / Cade una stella nel prato vicino / Mille colori nelle sue mani“. Mille colori che danno una stramba certezza (o forse solo l’illusione?) di avere un giorno un mondo migliore.
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