Musica
Musica leggerissima #19 – Tempo di blues
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
La recente vittoria di Angelina Mango all’ultima edizione del Festival di Sanremo ha permesso anche di ricordare uno tra i più grandi autori della musica leggera italiana: Pino Mango. Il suo lavoro (soprattutto negli anni Ottanta e nei primi Novanta) è stato fondamentale per far sedimentare una scrittura che immergesse se stessa in tensioni new wave modello synth pop e in placidi umori world. Questo modo di mettere in scena la sua musica – in un contesto che faceva profondamente riferimento alla purezza dell’italo pop – è stato sempre estremamente raffinato e ha permesso al cantautore lucano di creare uno stile particolarmente personale. Ma sono qui stavolta a scrivere non di Mango, bensì di Laura Bortolotti, in arte Laura Valente, fida compagna di vita di Pino fino al momento della sua tragica scomparsa e madre, appunto, della fresca vincitrice dell’ultimo Sanremo. Per quale motivo di lei? Potete arrivarci, ma ve lo dirò fra qualche riga.
Valente inizia la sua carriera musicale dopo aver vinto, nel 1981 insieme all’amica Silvia Meazza, il Concorso nazionale per cantautrici a Castellana Grotte con la canzone “Storia di un drogato”, che affronta il tema della dipendenza dall’eroina. In seguito, si unisce ad altri artisti e artiste per incisioni e si propone come corista per alcune case discografiche a Milano. La sua notorietà cresce quando duetta in “Disagio” e “Sudafricana” nell’album G.B. 2 (1984) di Gianni Bella. È quello il momento in cui la critica inizia ad accorgersi di lei. Nel 1984 firma un contratto con la Fonit Cetra: è qui che arriva Mango, che rimane colpito dalla sua voce e la sceglie come corista per alcuni suoi brani. Nel 1985 Laura pubblica il suo primo 45 giri, contenente “Tempo di blues” e “Isole nella corrente”. L’anno successivo esce Tempo di blues che è il suo unico album da solista ed è proprio quello che ci interessa. Eccoci dunque arrivati al punto. Avrei potuto evitare di tirare in ballo Mango per questo articolo? Impossibile, perché Tempo di blues lo scrive e compone interamente lui assieme al produttore Alberto Salerno. E si sente. Nonostante ciò, il nostro riesce a creare un’opera che si adatta perfettamente all’estensione e alle sfumature vocali di Valente, lasciandola libera di attraversare quelli che sono gli spazi sonori ed espressivi a lei più consoni.
A trainare l’intero disco ci sono naturalmente i due singoli: “Tempo di blues” è un midtempo che procede felpato, dove il blues è solo sottinteso e viene evocato dagli abbellimenti di sax e di chitarra elettrica, che ha un suono simile a quello che aveva Clapton in quegli anni, forse a voler evocare un’idea di blues bianco che potesse essere tanto modaiolo quanto vellutato e quindi meno invadente. L’altro singolo – “Isole nella corrente” – è manghiano quanto basta, con sequencer che impostano la struttura del pezzo, una batteria rotonda e lampi sintetici con chitarre elettriche a squarciare l’apparente calma del brano. “Quale strada fai / E dove ti rivedrò / Se ti perderai / Forse non me ne accorgerò”: se si ascolta con le orecchie del futuro, vista l’improvvisa morte di Mango, sembra quasi un presagio. Il resto dell’album procede su terreni che si trovano tra gli apici dei due singoli; “La farfalla” è leggiadria pop che esalta le doti vocali di Laura, “Put Me Down” è una cavalcata con basso slap e chitarra ruzzante, “Che strana estate” e “Lupo rosso” giocano su due piani ritmici differenti, ma cercano di spingere al massimo l’espressività vocale, “Chinatown” e “Goodbye” provano la via dell’etnico, la prima con riferimenti asiatici chiari e un testo in inglese, la seconda con un arrangiamento che cerca l’electro caraibico.
Quello che sarà di Laura Valente dopo il 1986 in molti lo sanno: dal 1990 al 1998, dopo l’addio alla band di Antonella Ruggiero, sarà infatti la voce dei Matia Bazar e successivamente tornerà a una carriera solista che però pare effettivamente averla relegata un po’ nell’ombra. Peccato, perché Tempo di blues sembrava davvero un’ottima premessa.
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