Musica
Musica leggerissima #12 – Innamorata, innamorato, innamorati
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
Toto Cutugno è stato uno dei cantautori tra i più seguiti in Italia, lo sappiamo bene e, volendo o nolendo, ci siamo ritrovati quasi tutti, almeno una volta nella vita, a intonare “L’italiano” (1983), canzone che ha ottenuto ormai un successo planetario. È stato anche tra i pochi a vincere un Eurovision Song Contest (nel 1990) e a farsi conoscere appunto fuori dai confini nazionali, vendendo moltissimo anche all’estero. Figura che rappresentava assai bene un certo modo di sapersi costruire un’identità che ambisse ad essere primariamente un baluardo del nazionalpopolare, da un punto di vista prettamente musicale – ce lo diciamo con il massimo della tranquillità e trasparenza – non è stato certamente un genio. È riuscito a trovare i giusti incastri per mettere assieme una carriera che ha lasciato alcuni grandi successi (dalla fine degli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta), ma non ha mai sfornato un’opera degna del titolo di capolavoro.
Si può però trovare nella sua discografia un disco che a mio parere è degno di essere ascoltato, perché si trova ancora a metà strada tra la necessità di farsi piacere a tutti i costi dal pubblico e quella di farsi però un po’ anche i fatti propri in sede di composizione dei brani. Quel disco è senza dubbio Innamorata, innamorato, innamorati (1981). È l’album con più voglia di suonare dell’intera opera di Cutugno, quello che denota un bisogno di scrivere canzoni che siano nella scia dell’apparente forma dell’italo pop più deleterio, ma che allo stesso tempo abbiano anche un gusto per abbellimenti e raffinatezze che in alcuni momenti si manifestano veramente come inattese. Probabilmente dobbiamo considerare questa natura del disco come frutto del fondamentale contributo di un grande chitarrista come Beppe Cantarelli – che arrangia praticamente tutto il lavoro – e della presenza di musicisti sopraffini come Tullio De Piscopo, Sergio Fanni, Gianni Bedori o Julius Farmer.
Nell’idea di Cantarelli (che è anche quella che alla fine si materializza in buonissima parte sul disco) ci sono molti assoli e una presenza importante di “macchine” come il Prophet, il Roland System 700 e altri sintetizzatori vari. Il pezzo che apre il disco (“Francesca non sa”) già dichiara gli intenti: armonici di basso, chitarra elettrica country rock, batteria in stato di gran groove e solo di Cantarelli a spezzare il fiato. Si prosegue poi con “Mi dici che stai bene con me…”: gran dialogo groove tra basso e batteria, moog e Fender in sapore di West Coast e solo di sax alto di Bedori. Super finale con Harmonizer e Cutugno in stato di grazia: è probabilmente uno dei migliori pezzi di tutta la sua carriera. Anche un brano come “Tu sei mia”, dal testo ai limiti del machismo puro, viene nobilitato da un tripudio di archi e un delicatissimo solo di flicorno di Sergio Fanni. Poi altre cose, alcune meno interessanti altre di più (se devo citare un altro pezzo, cito “Flash”, che è il rock che Cutugno non farà mai più). Alla fine che dire, se Toto avesse continuato su questa via, chissà. Se Toto non avesse ceduto al sanremismo e al domenicainismo a tutti i costi, chissà. Se Toto fosse stato un italiano meno vero, chissà, forse avremmo avuto altri dischi buoni e forse anche qualcosa in più.
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