Musica
Musica leggerissima #11 – Mangio troppa cioccolata
“Musica leggerissima”, ovvero come parlare ogni volta di un disco poco discusso o dimenticato. Come parlare ogni volta di un bel disco italiano.
Giorgia è una grande cantante. Una voce in grado di stare dentro un genere (il soul, anche se solitamente virato a sonorità più soft che hard), ma capace di donare spesso e volentieri sfumature che ogni volta hanno lambito territori di purezza italo pop. Sono proprio queste sfumature che le hanno permesso, durante tutta la carriera, di essere amata e benvoluta da un pubblico molto ampio. La sua vocalità è tanto straordinaria quanto non lo sono state purtroppo la maggior parte delle sue produzioni in studio. I suoi dischi infatti sono stati troppe volte legati a un modo anonimo di concepire la canzone e (purtroppo) senza troppa anima. Il problema ha a che fare con la non volontà di produrre un contesto e un’atmosfera che – oltre a valorizzare le grandi doti canore della cantante romana – possa rendere gli album oggetti sonori interessanti, parallelamente al talento di chi ci canta sopra. Naturalmente ci sono alcune eccezioni (una di quelle che mi viene subito in mente è “Mare sconosciuto”, gran slow tempo disturbato da incursioni electro psych jazz da Herbie Hancock e contenuto in Senza ali del 2001) che quindi confermano la regola.
Dunque bisogna lasciare ogni speranza quando si rovista tra la discografia di Giorgia? Assolutamente no. In realtà un disco interessante c’è: è quel Mangio troppa cioccolata (1997) che Todrani compone insieme a Fabio Massimo Colasanti con la produzione di nientepopodimeno che Pino Daniele. Si parte subito in quinta con “Un amore da favola”, suoni languidi, acid jazz spalmato, basso squillante e tesissimo e, appunto, “tanta cioccolata”. Il suono è perfettamente calibrato e fa capire che Giorgia ha compreso che – rispetto ai lavori passati – c’è bisogno di un sostanzioso amalgama che stimoli però pure l’ascoltatore. Arrangiata con delicatezza, fatta di dettagli intelligentemente focalizzati, è poi “Che amica sei”; la cover di “Un’ora sola ti vorrei” invece mantiene il nucleo della canzone originale, ma lo ribalta e lo trasporta nel presente, facendo così dimenticare completamente la versione di Bertini e Marchetti. In “Arriva il temporale” la chitarra elettrica ispira il passo a balzelli con cui la voce di Giorgia non perde equilibrio e si rafforza moltiplicandosi nei cori, mentre la chitarra continua a insinuarsi. “Ho voglia di ricominciare” fa quadrare tutto: con fiati spalmati e chitarra funky fusion, Giorgia ingrandisce i toni e i volumi e il beat pesante della batteria accoglie tutto il brano a braccia aperte.
È chiaro come l’impronta di Daniele sia fondamentale: catapulta la cantante romana in in luogo fatto di jazz mediterraneo, di fusion tirrenica, che la aiuta a spostare quel poco che basta l’asse per far sì che la sua vocalità divida a metà il palcoscenico con la musica che la accompagna. Proseguendo in questa direzione bisogna riconoscere che il pezzo più emblematico del disco è senza dubbio “Sueño latino”: micro electro beat, organo in lontananza, chitarra flamenco fusion, synth spaziali e testo in spagnolo. Ogni elemento ha il suo tempo e il suo spazio.
Di dischi così Giorgia purtroppo non ne farà più. Conviene quindi ascoltarselo bene per poter immaginare come sarebbe potuta essere la sua produzione se nella sua carriera si fosse presa qualche rischio non preventivato. Sono sicuro che, alla fine, avremmo goduto tutti assai di più.
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