Musica
Musica e obsolescenza sonora, che ne sarà di Spotify?
Siamo già stati da queste parti. In altre occasioni abbiamo già illustrato come si sia evoluto l’ascolto della musica nell’era di Spotify e dei suoi fratelli, altri siti e servizi che consentono di ascoltare musica in streaming, comodamente da pc o smartphone, senza necessità di possederla fisicamente.
Lo abbiamo fatto raccontando il rinascimento dell’audio in questo articolo; rimarcando come la crisi del mercato musicale tradizionale passi anche dalla sua crisi di idee, in questo pezzo o ancora prevedendo quali potranno essere i prossimi step dell’attore protagonista della scena musicale, da qualche anno a questa parte, ovvero Spotify, in questo approfondimento.
Ora torniamo a occuparci della grande S verde, dei suoi concorrenti e di che cosa significhi, in termini più generali, ascoltare la musica negli anni ’20. Lo facciamo muovendo dalle riflessioni che Joe Pinsker ha consegnato alle pagine dell’Atlantic e che sono poi state tradotte e pubblicate in Italia da Internazionale, nel numero 1424.
Giù i ponti con il passato
L’articolo di Pinsker parte con una constatazione con la quale non possiamo che trovarci tutti in accordo: ogni singolo disco – o qualunque altro formato musicale – che abbiamo acquistato nel corso della nostra vita, lo abbiamo pagato di più rispetto a quanto oggi ci venga chiesto per un mese di abbonamento alla piattaforma di streaming che preferiamo. Con quella spesa, inoltre, avevamo la possibilità di ascoltarci una ventina di canzoni, mentre oggi l’accesso alle librerie online ci dà modo di ascoltare potenzialmente tutta la musica del mondo, o quasi. Un bel vantaggio parrebbe, eppure quella musica era la nostra, oggi invece la affittiamo soltanto.
Pensiamo agli ultimi decenni, per ognuno di essi è venuto alla luce un nuovo modo di ascoltare musica. In principio fu la musicassetta, soppiantata negli anni novanta dai compact disc, prima che l’mp3 ebbe la meglio su di loro all’albore del nuovo millennio. Ed ecco che negli ultimi due lustri, lo streaming ha messo in soffitta anche iPod e lettori mp3, eccezion fatta per gli iPhone naturalmente, i quali però non vengono più utilizzati per salvarci musica da riascoltare ma al massimo per aprire l’app di Spotify.
Il tratto comune di questa evoluzione è che, a ogni passo in avanti, è aumentata la quantità di musica cui ci veniva dato accesso. Ogni volta abbiamo rivisto quasi per intero le nostre librerie musicali, le quali a questo punto non sono più davvero nostre, bensì condivise con amici, familiari, colleghi e così via. Ricordo candidamente la cura con la quale custodivo la mia libreria di iTunes, ai tempi del liceo; sempre pronto a verificare che le maiuscole fossero rispettate, che il titolo dell’album fosse correttamente abbinato all’anno di uscita, che non mancasse mai la spaziatura tra parentesi e prima lettera che era un mio vezzo e, ancora, che le ricerche per ottenere la giusta immagine di copertina dell’album portassero al giusto risultato, della giusta misura perché riempisse tutto lo schermo dell’iPod.
Al termine della delicata operazione mi sentivo veramente proprietario di quella traccia, nonché decisamente fiero di aver sistemato tutto per bene, proprio come desideravo; oggi non faccio più nulla del genere. Non ne ho neppure bisogno dal momento che Spotify ha già i dati completi su ogni sua traccia. Al massimo, quando creo una playlist, mi curo che le prime quattro canzoni abbiano copertine compatibili, perché saranno loro a comparire nell’immagine quadrata accanto al titolo della lista messa assieme.
Ogni step è stato come tagliare i ponti con il passato. L’ascolto si è modificato, la sensazione che lo accompagna si è soffusa, l’esperienza dell’ascolto sul giradischi è stata sacrificata di fronte alla possibilità di poterci portare con noi, ovunque e comunque, la sterminata libreria di un servizio streaming. Sulla comodità non si discute naturalmente, sulla qualità dell’ascolto però, lo si fa eccome.
Musica e musica
Partiamo dall’antefatto che, indubbiamente, esiste musica composta appositamente per fare da sottofondo. Sonorità soffuse, ambient o chill-out, come è solito definirle oggi, danno il meglio di esse se vengono ascoltate mentre si fa altro e, dunque, sono adattissime a essere portate con noi e ascoltate tramite le cuffie dello smartphone mentre facciamo altro. Lo stesso, però, non vale per gli altri generi.
Ci sono alcuni capolavori della musica che, francamente, non meritano di essere ascoltati mentre si passeggia per fare shopping o si torna a casa sull’autobus.
La musica su Spotify ha un bel vantaggio sulle collezioni tradizionali, questo è fuor d’ogni dubbio: ora è decisamente più semplice scoprire nuovi artisti e tracce tanto che uno studio risalente al 2017 ha scoperto che, in media, gli ascoltatori che passano allo streaming per sei mesi aumentano del 32% il numero di artisti che riproducono. I consigli di Spotify possono essere preziosi, seppure l’applicazione a volte sia fin troppo invadente e sembra volerci far ascoltare qualunque cosa, di continuo. Di fatto però, questo porta ad ascoltare molte canzoni che non gradiamo e che quindi vengono ascoltate solo per una porzione della loro durata, abituando l’orecchio a sentire frazioni di canzoni pescate da una selezione che qualcun altro ha fatto per noi.
Quando poi troveremo un pezzo che ci piace e lo salveremo tra i preferiti, non avremmo comunque ancora la certezza che esso sia per sempre nostro, proprio a causa del fatto che non lo possediamo. Da qui a qualche anno il mondo dell’ascolto musicale potrebbe variare completamente, eliminando lo streaming dalle possibilità come è successo per tutti i formati che lo hanno preceduto. Se Spotify improvvisamente chiudesse, che fine farebbero tutte le nostre canzoni salvate sul programma? Nostalgicamente, per salvarsi dal rischio, non sarebbe forse meglio acquistarla anche la musica che amiamo? Se non vogliamo farlo su cd o vinile, utilizziamo store come iTunes e acquistiamo il file in originale; nel prossimo decennio potremmo ritrovarci a essere fieri di questa decisione.
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