Musica
La musica bisestile. Giorno 362. Blondie
Quando a quasi 40 anni si cerca di avere successo volendo sembrare un’adolescente sexy e ribelle si rischia di fare delle figure ridicole, o di essere Deborah Harry
PARALLEL LINES
Il punk e la new wave erano appena nate, due frutti diversi dello stesso albero, e molti musicisti che avevano inutilmente tentato la strada del successo nei dieci anni precedenti, specie nelle grandi città d’America, decisero di tentare con le nuove mode, confidando col fatto che, all’inizio, la tecnica richiesta per produrre qualcosa di diverso era molto più rudimentale di stili come il folk, il country, il rock ed il blues, stili per i quali il grande affollamento di eccellenze aveva innalzato altissima l’asticella da saltare per i nuovi arrivati del palcoscenico musicale.
Deborah Harry era una di queste persone. Quasi carina, quasi intonata, quasi musicista, corista in una band a metà tra il folk ed il vaudeville, Wind in the Willows (Vento nei Salici), con la quale non guadagnava abbastanza per vivere a New York, per cui serviva come cameriera-coniglietta nel bar di Playboy. Nel 1974, insieme al compagno, Chris Stein, entra nel gruppo punk The Stilettoes – tre ragazze vestite secondo la moda di “The Rocky Horror Show” che, quasi svestite, gridano slogans femministi e si dimenano, una sorta di versione femminile delle New York Dolls di David Johansen, che avevano un programma simile, ma erano omosessuali e puntavano con decisione sulla carta del travestitismo.
A questo punto Deborah ha già 30 anni, non ha nulla alle spalle, qualche problema di tossicodipendenza, nessuna famiglia (era stata abbandonata a tre anni e data in affidamento alla famiglia che le aveva dato il cognome e che viveva in Florida). Chris Stein decide di provare con una band imperniata sull’immagine di Deborah, che ha uno spettro vocale limitato, sul palco è piuttosto rigida, ma ha un appeal da cattiva ragazza di strada e, nel mondo musicale newyorkese, conosce comunque tutti. Le prime prove hanno un effetto stupefacente. Tecnicamente la nuova band, Blondie, è veramente scarsa, ma occupa veramente una casella che, fino a quel momento, non esisteva – a metà, per l’appunto, tra il punk e la new wave.
Per questo il loro primo disco si chiama così: linee parallele, perché provano a seguire entrambi i filoni, ed in quel modo riescono ad essere diversi da tutti gli altri. Deborah Harry, nell’immaginario collettivo, finisce presto per prendere il posto che era stato di Suzi Quatro e di Joan Jett delle Runaways, e questo primo disco schianta tutti, diventando un successo commerciale a livello mondiale. Tre anni dopo, Blondie era pronta per la nuova svolta: ora comanda la discomusic, basta new wave, il punk ha già stufato, e Deborah Harry canta nella colonna sonora scritta da Giorgio Moroder per “American Gigolò” (“Call me”), per poi entrare nel mondo dell’easy listening più commerciale (“The tide is high”). Un vero peccato. A questo punto la band implode, non ha più alcun senso artistico, Harry diventa una cantante qualsiasi, per giunta una che, a 40 anni, vorrebbe passare per 16enne debosciata. Da quel punto in poi lei si è guadagnata da vivere facendo l’icona, e sono fatti suoi. A me dispiace, perché tutta quella linea, secondo me molto promettente, che dalla new wave sconfinava in riff più severi, con la disfatta dei Blondie e dei Knack è andata perduta, dimenticata, è stata oltraggiata.
https://www.youtube.com/watch?v=HwE8_4Wv9JQ
https://www.youtube.com/watch?v=1VFuHj9_Tgw
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