Musica
Music for Airports, suoni da ascoltare ma non da ricordare
Compie 40 anni “Music for Airports”, primo album ideato da Brian Eno come musica d’ambiente. Pubblicato nel 1978, il disco segna l’inizio della serie di album “Ambient” di Eno, concepita con l’intento di produrre pezzi originali apparentemente (ma non esclusivamente) per momenti e situazioni particolari con l’obiettivo di costruire un catalogo di musica ambientale.
Music for Airports non era in realtà il primo esempio di musica ambient. Popol Vuh e Tangerine Dream furono entrambi predecessori, e l’idea della musica di sottofondo esisteva da decenni, il compositore Erik Satie all’inizio del XX secolo immaginava qualcosa chiamato musica per l’arredamento. Negli anni Cinquanta poi, Il concetto di musica progettato specificamente come elemento di sfondo è stato sperimentato estensivamente dalla Muzak Corporation, tanto da diventare noto come Muzak, nella più classica banalizzazione del marchio.
Lo stesso compositore e produttore inglese aveva già in precedenza esplorato questo genere musicale in album quali Evening Star realizzato con Robert Fripp, nel suo Descreet Music e nella produzione The Pavilion of Dreams di Harold Budd. Tuttavia, Music for Airports è il primo progetto studiato specificamente per “indurre calma e offrire uno spazio per pensare” come afferma lo stesso autore nelle note di copertina all’edizione statunitense del disco. Ed è un disco che dà il via a un genere.
Del resto Eno aveva ideato il progetto durante una lunga attesa all’aeroporto di Colonia-Bonn, qualche anno prima. Come ha rivelato in una recente intervista al magazine High Life di British Airways, il compositore era teso perché gli addetti del check-in non riuscivano a stampargli la carta d’imbarco a causa della lunghezza del suo nome. All’epoca ovviamente non esistevano strumenti digitali per ovviare al problema e il foglio di cartoncino semplicemente non riusciva a contenere le undici parole del nome completo dell’autore: Brian Peter George St John le Baptiste de la Salle Eno. L’ansia crescente, racconta Eno, non era mitigata, anzi peggiorava, a causa dell’atmosfera sonora. Per questo pensò a una musica “in grado di accogliere molti livelli di attenzione all’ascolto senza imporne uno in particolare; deve essere tanto ignorata quanto interessante”.
È lo stesso Eno, sempre nelle note di copertina dell’album, a spiegare cosa intende per musica Ambient e perché l’ha definita così: “Negli ultimi tre anni mi sono interessato all’utilizzo della musica come ambiente e sono arrivato a credere che sia possibile produrre materiale che possa essere usato senza essere in alcun modo compromesso. Per creare una distinzione tra i miei esperimenti in quest’area e i prodotti dei vari fornitori di musica di sottofondo (in inglese Canned Music o Elevator Music ndr), ho iniziato a usare il termine Musica Ambient. Un ambiente è definito come un’atmosfera o influenza circostante: una tinta. La mia intenzione è di produrre pezzi originali apparentemente (ma non esclusivamente) per momenti e situazioni particolari al fine di costruire un catalogo piccolo ma versatile di musica ambientale adatto a un’ampia varietà di stati d’animo e atmosfere. Mentre le società di musica di sottofondo esistenti procedono dalla base della regolarizzazione degli ambienti, ricoprendo le loro idiosincrasie acustiche e atmosferiche, Ambient Music ha lo scopo di migliorarle. Mentre la musica di sottofondo convenzionale viene prodotta eliminando ogni senso di dubbio e incertezza (e quindi ogni genuino interesse) dalla musica, Ambient Music conserva queste qualità. E mentre la loro intenzione è quella di “ravvivare” l’ambiente aggiungendo uno stimolo ad esso (quindi presumibilmente alleviando il noia dei compiti di routine e livellando i naturali alti e bassi dei ritmi del corpo), Ambient Music intende indurre calma e uno spazio per pensare”.
Una caratteristica di Music for Airports, come dei seguenti tre album della serie Ambient – The Plateaux of Mirror (1980), Day of Radiance (1981) e On Land (1982) – è l’impossibilità di seguire il tema. Anche concentrandosi e riascoltandola molte volte è davvero difficile ricordarlo. Le quattro tracce dell’album sono scritte per essere ripetute in un ciclo all’infinito e creare nell’ascoltatore lo spazio mentale per la riflessione.
L’artificio tecnico con cui ottiene questo risultato è stato spiegato da Eno durante una conferenza a San Francisco nel 1996: “Una delle note si ripete ogni 23 secondi e mezzo. È, infatti, un lungo anello che corre attorno a una serie di sedie tubolari in alluminio nello studio di Conny Plank. Il ciclo successivo più basso si ripete ogni 25 7/8 secondi … il terzo ogni 29 15/16 secondi … ed è improbabile che ritorni di nuovo in sincronia. Quindi questo è un pezzo che si muove nel tempo. L’esperienza del pezzo è un momento nel tempo … Gli elementi di base in quel particolare pezzo non cambiano mai. Rimangono gli stessi. Ma il pezzo sembra avere un sacco di varietà”.
John Davidson in un articolo del 2004 su Pop Matters ha definito molto bene il concetto di musica passiva esplorato da Eno: “I suoni di Music for Airports possiedono una infinita mutevolezza dell’umore, vale a dire che piuttosto che ispirare uno specifico insieme di emozioni, riflettono le emozioni intrinseche dell’ascoltatore. Uno dei modi in cui selezioniamo la musica da ascoltare in qualsiasi momento è la ricerca di qualcosa che amplifica le nostre emozioni, il nostro stato mentale. Vogliamo l’empatia, così che quando ci sentiamo anarchici ascoltiamo “God Save the Queen” dei Sex Pistols; oppure suoniamo “Creep” dei Radiohead perché ci stiamo piangendo addosso, privi di autostima. E la natura di queste canzoni – la maggior parte delle canzoni, in effetti – è che suggeriscono le stesse emozioni in qualsiasi contesto tu le ascolti. Sia che siate a casa da soli o schiacciati come sardine mentre andate a lavorare su un treno all’ora di punta, è improbabile che le vostre sensazioni come risultato della musica che state ascoltando varino in modo significativo. L’intensità di quelle sensazioni potrebbe cambiare, a seconda delle circostanze (hai appena rotto con la tua ragazza, ti senti un verme), ma il nucleo essenziale di quella sensazione non cambierà molto. Quindi è giusto dire che la musica popolare ha un registro emotivo ristretto, estremamente finito, e uno dei grandi successi di Eno è stato quello di ampliare quel registro, non per suggestione, ma per riflessione”.
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