Musica
Mompou, Música callada: i suoni del silenzio
La noche sosegada
en par de los levantes del aurora,
la música callada,
la soledad sonora,
la cena que recrea y enamora1.
Sono versi di San Juan de la Cruz, San Giovanni della Croce, grande poeta e mistico spagnolo del Cinquecento, al secolo Juan de Yepes Álvarez, amico di Santa Teresa di Avila. Canonizzato nel 1726. Con la santa condusse una profonda riforma dell’ordine carmelitano. Fu perfino incarcerato come eretico. L’esperienza del carcere approfondì la sua vena mistica, con un linguaggio che assorbe le figurazioni del Cantico dei cantici biblico. Capolavoro di questa esperienza è la Noche Obscura, Notte Oscura: Dio come buio, come silenzio, come Nulla, in cui si affonda e ci si annienta. La poesia affascinò anche Goffredo Petrassi, nel 1950. Tra il 1959 e il 1967 Federico Mompou si ispira invece al Cantico spirituale, dal quale sono tratti i versi posti come esergo ai quattro quaderni della Música callada, musica taciuta o, meglio, zittita. Un ossimoro significativo: suono negato. Tomás Marco, compositore e musicologo spagnolo contemporaneo, nel suo volume della Historia de la música española. Siglo XX (Madrid, Alianza Música, 1983) afferma che Mompou non può essere inserito in nessuna corrente della musica del Novecento, nemmeno spagnola. Lo stesso influsso di Debussy sarebbe superficiale. Tuttavia per l’ascoltatore di oggi, oltrepassata l’ubriacatura delle avanguardie e delle post avanguardie, spesso più dogmatiche e rancorose delle avanguardie stesse, l’impressione che se ne riceve rinvia comunque a un’esperienza musicale, e non solo musicale, tipicamente spagnola. Ma non per motivi folcloristi. C’è, infatti, nell’arte spagnola, una sorta di filo rosso che la percorre fin dai romances e dal Cantar de mio Cid. Non si saprebbe meglio definire questo filo che come un’ossessione dell’interiorità. Ma ciò significa anche una percezione acutissima delle contraddizioni, delle ambiguità, dei contrasti di ogni esperienza interiore. Spesso non definibile appunto che con un ossimoro. Si pensi al terribile Cristo di Velázquez, sul quale Miguel de Unamuno ha scritto un mirabile poema non meno terribile. E’ un dio o un uomo la figura sofferente inchiodata alla croce, con il capo reclinato, e sospeso nel vuoto di uno spazio oscuro, buio, tenebroso? L’inesplicabile del divino e l’indicibile del dolore si fanno un’unica figura. O le messe e i mottetti di Tomás Luis de Victoria, in cui l’equilibrio palestriniano è infranto, ma lo stesso non c’è grido, non c’è urlo. C’è frattura, irrequietezza armonica, quasi una sfida al silenzio, come se la vera musica in cui si debba confluire sia l’assenza di musica. Quanto influisce su simili percezioni il cante jondo, la musica dei gitani, e prima ancora, la musica degli arabi, fino a tutto il secolo XV spagnoli come il resto degli abitanti della penisola? Mompou è catalano, ma è probabile che anche lui sia rimasto colpito dalla rivisitazione che il poeta Lorca fa del cante jondo. O Juan Ramón Jiménez. E poi ci sono Gaudì, Mirò, c’è la poesia di un immenso poeta catalano del XV secolo – agli italiani pressoché ignoto – Ausiaàs March: “Oh fort dolor, jo·t preg que mi perdons / si no enseguesc la tua voluntat: / la que jo am contra tu ha manat”2. Ecco, l’arte spagnola penetra come poche altre i contrasti della vita, e sua figura retorica prevalente è l’ossimoro. Tutta la vita è sogno e i sogni sogni sono, dichiara Sigismondo nel dramma La vita è sogno, di Calderón de la Barca. Un poeta meno grande o meno acuto avrebbe scritto che i sogni sono immaginazione, fantasia; no: sono sogni, come la vita. Entriamo dunque in questo ossimoro che è la vita, la poesia, la musica. Ci guiderà Federico Mompou. E a guidarci, o meglio: a introdurci nel mondo di Mompou sarà Giancarlo Simonacci. Difficile immaginare una sintonia più perfetta tra interprete e musica di quella che rivela l’ascolto di questi quattro quaderni della Música callada di Mompou suonati da Giancarlo Simonacci. Sembra possederne la chiave segreta. Ricordiamo le sue interpretazioni di Cage, di Schoenberg, di Pennisi (altro misterioso, solitario, compositore). E un filo rosso c’è può darsi anche con loro. Cage ha intitolato un suo libro di divagazioni musicali Il silenzio. Ha scritto una composizione senza suoni apparenti: 4’ 33”. Il pianista alza il coperchio del pianoforte. Colloca la partitura sul leggio. Il brano si compone di tre movimenti, il primo di 30 secondi, il secondo di 2 minuti e 23 secondi, il terzo di un minuto e 40 secondi. Ma le mani del pianista non toccano mai la tastiera. La musica saranno i rumori della sala, le voci del pubblico che si spazientisce. Ecco il suono apprente che abolisce il suono inapparente della musica. Schoenberg, nei Pezzi op. 19 concentra nei pochi secondi di ciascun pezzo il respiro di una sonata. Come una memoria condensata di Chopin e di Brahms. Mompou non fa niente di tutto questo. Eppure ogni accordo, ogni intervallo è carico di memorie. Da Debussy gli viene, forse, l’attenzione al suono in quanto tale, al puro vibrare delle corde. Ma non altro. Così come si può credere di cogliere frammenti di melodie modali, cantori notturni per le ramblas deserte, accordi che possono evocare strappi di chitarra, cori di voci. Ma le pause tra un accordo e un altro, tra un accenno di melodia e un altro, non collegano nessun pensiero di concatenazione modale, tonale, contrappuntistica. Eppure modi ce ne sono, anche fantasmi tonali, e contrappunto a non finire. Ma l’evocazione prevale sulla realizzazione. Come, quasi, che proprio le pause siano la musica, la musica “callada”, cosa che in realtà non è, perché la musica sono appunto gli accordi, gli accenni melodici, i fantasmi tonali. Se per il mistico San Giovanni della Croce Dio è il Nulla – Buddha direbbe il Vuoto – ecco allora che per Mompou il suono è quel che resta del silenzio, quello che il silenzio lascia percepire di un mondo sonoro irraggiungibile. E’ qui che le mani – no, il cervello, i sensi, o che altro? – di Giancarlo Simonacci non solo ci guidano in questo mondo irraggiungibile, ma ce lo fanno percepire, toccare. Tecnicamente si dirà che ciò è ottenuto con una varietà illimitata di sfumature di tocco, e una non minore libertà di respiro, di fraseggiare, si direbbe, perfino l’istante, il singolo accordo. Ma detto questo non si sarà detto niente, perché in realtà ciò che si percepisce è dell’altro, e ci tocca profondamente. Come se guardassimo sul ciglio di un abisso giù nel vuoto. Ma invece di restarne terrorizzati, ne venissimo catturati, come da una carezza, da un abbraccio. Ecco l’ossimoro di cui dicevo all’inizio: il silenzio canta, si fa musica, e questa musica quasi impercepibile, fratturata, che ci assale o ci accarezza con frammenti, spezzoni, grumi di musica, questa musica è voce di qualcosa che non udiamo, non vediamo, ma che miracolosamente riconosciamo dentro di noi. Quel mondo è irraggiungibile, indicibile, non ha parole, non ha suono, ma lo sentiamo, lo ascoltiamo, ci parla, e vi ci riconosciamo la nostra stessa voce. Eh sì! L’Ossimoro del Vero. Dio che è Nulla. Noi che siamo e l’attimo dopo scompariamo. Sigismondo che scopre di sognare la propria vita. Velázquez che nel Dio morto sospeso nel vuoto dello spazio ci addita la speranza di risorgere alla vita: l’ossimoro di un dio immortale che muore per ridare vita agli uomini mortali. Santa Teresa scrive: “Vivo sin vivir en mí / y de tal manera espero, / que muero porque no muero”, vivo senza vivere in me, / e in questo modo spero, / che muoio perché non muoio. Il contrario di Parmenide, che afferma che l’essere è, il non essere non è. L’essere invece non è e il non essere è. Siamo noi a percepirlo come vita, come suono, come parola, come musica. E Giancarlo Simonacci di questa percezione è l’evangelista o, se si preferisce, il comunicatore perfetto. “Salí tras ti clamando, y eras ido”, sono uscito dietro di te chiamando, e te n’eri andato, riferisce San Giovanni della Croce.
Federico Mompou, Música callada (voices of silence)
Giancarlo Simonacci, Piano
Da Vinci Classics C00358
1 cd
1La notte placata / nel punto in cui sorge l’aurora, / la musica zittita, / la solitudine sonora, / la cena che ristora ed innamora. San Juan de la Cruz, Cantico spirituale.
2Oh gran dolore, io ti prego di perdonarmi / se non eseguo la tua volontà: / quella che io amo contro di te mi ha comandato.
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