Musica

Milva: di lei l’altra metà

23 Aprile 2017

La notai distrattamente in quel Festival 2007, mentre l’esibizione stava per finire.
Inserita forzatamente lì, nella cinquasettesima edizione della kermesse musicale ligure.
Una donna matura, anagraficamente distante dalla mia generazione, composta ed enfatica.
Raffinata, elegante, intrusa in quella competizione e… antipatica, Milva interpretava sul palco dell’Ariston un brano scritto da Giorgio Faletti.
Ovviamente sapevo chi fosse La Rossa, ma si trattava di una consapevolezza immobile, nozionistica, assiomatica, priva di un’effettiva realizzazione tangibile. Come la pantera di Goro era impressa nel mio sfilacciato immaginario; insieme a la Tigre di Cremona e l’Aquila di Ligonchio trionfava nella canzone italiana femminile, sul podio in un tridente leggendario.
Mi limitai, quella sera, a constatarne la diversità, il distacco dal resto, l’esclusività;
era distinta, ecco.
E sorrisi stupita quando riuscì a pennellare di classe persino una strofa di “The show must go on” apparentemente estranea alle sue corde, così aggressiva e aulica da svegliare le orecchie più sorde:

 «Ed un’alba slavata da mandare affanculo,
   perché c’è un nuovo giorno nel pugno.
   E una birra ghiacciata da gelarci l’inferno
   perché loro siamo tutti o nessuno»

Lo show continuò, ampliando i suoi stretti confini, proprio quando scovai casualmente una magistrale rivisitazione di Masini. Sulle note di “Ci vorrebbe il mare” mi rapì la sua dizione, perfetta, la magica altalenanza fra bassi profondi e ugola stretta. Divorai in un sorso, pur di placare l’arsura, tutte le tracce di “Uomini addosso”.

Solo successivamente appresi la notizia del definitivo saluto alle scene; una scelta forse drastica che mi permise di coglierne la complessità umana per poi approfondire quella artistica.
Rimasi attonita, mai avrei potuto immaginare che una donna così appariscente, così sicura di sé, così esagerata, così a prima vista vittima dell’inconsapevole scorrere del tempo, potesse assumere una decisione simile con tal sofferta determinazione, come in preda a un’immediata risoluzione.

Vittima del mio stesso pregiudizio, costretto a sintetici riduzionismi pur di esorcizzare naturali tortuosità, la signora Biolcati divenne l’emblema della dualità.
Viaggiai alla scoperta, quasi chirurgica, del suo infinito percorso professionale: Brecht, Strehler, Piazzolla, Merini, Mikroutsikos, Jannacci, Battiato.
Proseguo ancora, cercando di carpire da ogni sfumatura i logici, poetici nessi, nel travagliato sentiero di scorci in analessi.
Sospesa fra teatro, canzone d’autore e musica leggera, algida e passionale, in balìa di palchi impegnati e nazionalpopolari, recital e varietà, aurore abbaglianti e lacrime crepuscolari, la versatilità resta il suo volano.
Ostinata dialettica, bramosa d’armonia, Milva è il frutto generato dal magico incontro del sacro col profano.

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