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Machocidio

5 Febbraio 2020

E pensare che in Italia c’è un tutto che è iniziato a Sanremo.

Proprio qui, nel 1972 ebbe luogo la prima manifestazione gay di piazza.

Si trattava di una protesta contro il Congresso internazionale sulle devianze sessuali, e a vedere ieri sera Achille Lauro che, mentre fa cadere il mantello, esibisce un sorrisetto beffardo per lasciarsi ammirare nella sua tutina color carne, si direbbe che è stata fatta giustizia di quelle che sono state discriminatamente definite devianze, e, di quel peccato originale che questo Festival doveva mondare.

Partito all’ombra di un’accusa di maschilismo, questa edizione sembra già diventata un manifesto insieme di femminismo e orgoglio gay, e i posticini lasciati vacanti delle varie Oxa, Pravo, Bertè e Rettore sono prontamente stati occupati.

Artiste che anche quando non hanno avuto canzoni indelebili, hanno saputo avere abiti indimenticabili sembrano le più vicine al fenomeno Achille.

Se da una parte però il discorso di Rula Jebreal è stato l’acme etico, quello di Achille Lauro è stato quello estetico.

Ad incarnare la tradizione resta Tiziano Ferro. Elegantemente borghese, il neosposo canta il pezzo più doloroso della storia del festival e Il pubblico si fa invadere dal suo innamoramento che non è più diverso, in questo universo.

Non è la rivoluzione ma è tutto quello che ci possiamo permettere.

 

 

 

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