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Lo streaming salva la musica italiana

11 Novembre 2014

Chiedi in giro cos’è un walkman: se ti sanno rispondere stai parlando con qualcuno che ha più di vent’anni. O che ha visitato un museo di recente. I millennial sono nati con internet e la musica per loro è una questione di bit. Non immaginano che c’è stato un tempo in cui la musica doveva essere comprata per forza. Fino a una ventina di anni fa per ascoltare Bedtime Stories di Madonna o Music for the jilted generation dei Prodigy si era costretti ad entrare nel negozio di fiducia e affidarsi alla distribuzione. Le novità erano segnalate con tempi molto lenti rispetto a quelli a cui siamo abituati oggi. L’audiocassetta costava meno, e la si poteva ascoltare con il walkman. Era possibile andare solo in due direzioni: avanti e indietro. C’è stato un tempo in cui la canzone preferita era dopo altre dieci, e per raggiungerla ascoltavi il suono del nastro che si avvolgeva. Poi ci siamo abituati al CD, e a quel saltellare tra una traccia e l’altra, se ti piaceva un assolo in una jam session jazz eri fregato, dovevi ricominciare da capo. Nel giro di qualche anno, senza accorgercene, ci siamo ritrovati ad avere intere librerie racchiuse in dispositivi grandi quanto bottoni. Ore di musica, e spesso solo le nostre canzoni preferite.

Prima degli anni novanta, prima di Napster e degli mp3, la musica aveva un prezzo. (Così come le VHS non hanno provocato la morte del cinema negli anni ottanta, la musica è sopravvissuta alla digitalizzazione negli anni 2000: lo racconta brillantemente David Arditi in Downloading is Killing Music: The Recording Industry’s Piracy Panic Narrative). Secondo quanto afferma un’indagine di VoxBurner, condotta sui giovani inglesi per verificare la percezione della pirateria, il 37% degli intervistati dai sedici ai ventiquattro anni ha ammesso di avere molti amici che scaricano musica online (ma anche libri e film); l’11% sostiene che lo fanno tutti i conoscenti. Non è una sorpresa, specialmente in questa fascia così importante per il mercato della musica, che però ha un non trascurabile difetto: non è disposta a pagare per ascoltare ciò che può trovare gratuitamente online. Giuseppe Mosca, responsabile Musica in ambito Multimedia Entertainment di Telecom Italia, ci dice che la sfida è riuscire a raggiungere il target dei giovani: «La musica è così facilmente disponibile, da YouTube ai torrent, che i giovani non pensano di violare alcun copyright, non percepiscono l’infrazione ma solo la convenienza». Scaricano con la naturalezza con cui, prima di loro, i genitori passavano tra le dita le copertine dei dischi e decidevano cosa comprare. In questo secolo è normale condividere un disco con milioni di persone. Per questo i provvedimenti legali troppo restrittivi hanno spesso l’effetto opposto di quello previsto, suscitando la percezione di una richiesta assurda, semplicemente da ignorare o aggirare.

La ricerca ha anche sottolineato che i sistemi di streaming musicale come Spotify, Deezer, e, in Italia, TIMmusic riducono la necessità di rivolgersi a torrent illegali. Si realizza ciò che meno di due anni fa era solo una dichiarazione politica del co-fondatore di Reddit. Il trentenne Alexis Ohanian, per contrastare proposte di legge liberticide in favore delle lobby dell’industria dell’intrattenimento, aveva dato – gratis – una delle sintesi più lucide per combattere la pirateria: «Il problema della pirateria si risolverà con l’innovazione non con la legislazione». Il tempo pare avergli dato ragione. Lo smartphone ha sostituito il walkman e Cdplayer, ma anche l’iPod. TIMmusic ne è la prova, dal momento che il servizio streaming in abbonamento mobile ha riscosso ampio successo. A esser precisi, quella di Ohanian era anche la preoccupazione di Lawrence Lessig quando, in Cultura libera, si era occupato dei rapporti tra uso legittimo e uso libero dei prodotti culturali dell’industria dell’intrattenimento. Per Lessig i legislatori non dovrebbero prendere decisioni sulla base di tecnologie in evoluzione, ma dovrebbero valutare in quale direzione esse vadano. Senza muoversi in modo arbitrario, dovrebbero rispettare il mandato di interpretare il «diritto vivente» che regola i comportamenti e le esigenze delle società in cui deve essere applicato: la condivisione online fa parte delle possibilità reali di chiunque viva nella civiltà contemporanea, e impedirla sarebbe paragonabile ad aver proibito trenta o quarant’anni fa l’uso del telecomando o del registratore.

In Cultura libera, Lessig scriveva: «La questione non dovrebbe essere di limitare il filesharing (internet evolverà e farà sparire il problema). Ci si dovrebbe chiedere piuttosto quale sia il modo per avere certezza che gli artisti siano ricompensati in questa fase di transizione tra i modelli imprenditoriali del XX secolo e le tecnologie del XXI secolo». Aveva ragione, dal momento che il passaggio è stato da una cultura del possesso a quella dello streaming. La musica diventa così un servizio.

Questo mercato è in continua crescita: i download legali sono diminuiti su base annua per la prima volta nel 2013, almeno su mercato Americano, per quanto riferisce Billboard. Le vendite di brani digitali sono scese del 5,7%: da 1,34 miliardi di unità a 1,26 miliardi, mentre gli acquisti di album digitali sono calati dello 0,1%, da 117,7 milioni di unità da 117,6 milioni: lo rileva Nielsen SoundScan. Se possiamo ascoltare in qualsiasi momento la musica che vogliamo, aprendo una libreria con migliaia di brani, perché dovremmo scaricarli tutti sul nostro dispositivo? Non più possesso ma accesso. Secondo il rapporto Fimi in Italia nei primi nove mesi del 2014 le entrate provenienti dallo streaming sono cresciute dell’89% rispetto allo stesso periodo del 2013, passando da 10,3 a 19,4 milioni di euro.

Secondo una ricerca di Ipsos MediaCT di IFPI del novembre 2013, in paesi come Germania, Inghilterra e Stati Uniti, i download sono più popolari, mentre in Francia, Italia e Svezia il modello favorito è lo streaming. TIMmusic, a differenza di Deezer, Google Play, iTunes, Spotify eYouTube, ci dice Giuseppe Mosca, gode di due vantaggi sostanziali. Il primo è quello di offrire ad utenti e case discografiche un canale preferenziale per la musica italiana. L’investimento nel repertorio nazionale rimane vitale per l’industria italiana: la percentuale dei dieci album più venduti dimostra che in Italia il 90% è di produzione locale. Ci sono anteprime che su Spotify o Deezer arrivano solo dopo un periodo più lungo. Il 90% degli utenti di TIMmusic è rappresentato da giovani e giovanissimi: questa è un’altra differenza sostanziale rispetto a Spotify, che richiedendo un abbonamento, si rivolge ad una fascia di utenti di età maggiore. I generi musicali più ascoltati su TIMmusic confermano questo trend: hip pop, rap, musica dance, artisti provenienti dai talent come Rocco Hunt, Chiara e Noemi. Il secondo vantaggio è che, con TIMmusic, il traffico dati non viene eroso: si può ascoltare tutta la discografia di Fedez o le nuove canzoni di Marco Mengoni senza consumare il traffico dati.

Per i servizi musicali la partnership tra telecomunicazioni e case discografiche è di primaria importanza. Sempre secondo Giuseppe Mosca, Telecom Italia è tra i primi investitori del mercato musicale italiano. Non è una coincidenza se la crescita del nostro mercato musicale si assesta quest’anno al 2%: è la prima volta da molti anni. Una crescita che coincide con la quota che Telecom Italia retrocede alle major, garantendo una solida partnership. Per questo occorre ricordare il monito di Alexis Ohanian: innovation, not legislation. Le buone idee e l’innovazione possono rappresentare un nuovo mercato (musica digitale), finanziare quello esistente in crisi (le case discografiche) e adattare marketing e fruizione alle modalità della contemporaneità (il mobile, rispetto al desktop). E persino svolgere una funzione pedagogica, di senso civico, perché camminare con le cuffie per la strada o seduti in autobus, ascoltando la propria musica preferita con TIMmusic dà la possibilità a giovani di talento di firmare nuovi contratti discografici. E così l’ascoltatore di oggi da scroccone digitale si trasforma in benefattore della musica italiana.

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