Musica
L’ETERNO DILEMMA TRA FEDEZ E RAGIONE
Alle otto del mattino di un giorno di luglio del 1997, in un’epoca in cui le notizie viaggiavano ancora su carta, ero in attesa del bus che mi avrebbe portato al patibolo. Ero stanco e deluso dalla vita, come solo ad un adolescente può capitare. In quel caso, avevo le mie buone ragioni. Mancavano poche ore all’orale della maturità e, il giorno prima, la commissione aveva pensato bene di cambiarmi la seconda materia. Imprevisti di un meccanismo astruso che oggi, tranne noi reduci, nessuno ricorda più. Ed è meglio così.
Quella mattina ero solo. Con me avevo uno zaino pieno di appunti da ripassare e cose utili da leggere, ma la mia attenzione fu catturata da una rivista dell’edicola alla fermata. In copertina c’era un signore ormai non troppo lontano dalla quarantina, con gli occhialoni colorati e la posa da tamarro. All’epoca, per i miei standard, avrei potuto definirlo un “vecchio”. La rivista si chiamava “Rockstar”. Lui era Bono degli U2.
Va detto che amavo gli U2 alla follia. Erano la risposta a tutti i miei desideri di ribellione sofisticata. Li avevo scoperti con “Acthung Baby”. Adoravo l’ironia, il suono sporco, il cerebralismo un po’ naif di Edge che, ai tempi, ancora compensava le amabili cialtronerie di Bono. Eravamo nel 1997. Da pochi mesi era uscito “Pop”, un disco incompiuto che ha ucciso per sempre gli U2 e li ha fatti reincarnare di colpo nella loro parodia. Ma io lo amavo lo stesso. Non mi importava che i critici l’avessero distrutto. Non badavo alle voci sull’insuccesso iniziale del Pop Mart Tour e alle teorie su quanto fosse pacchiano e sopra le righe e sciocco e inferiore al precedente. Io avevo le mie idee. Gli U2 erano grandi, valeva la pena ascoltarli, capirli e, all’occorrenza, anche difenderli. Tutto il resto era roba da vecchi.
Così quella mattina comprai una rivista, anche se era mainstream. Sapevo ogni cosa sugli U2 e l’ennesima intervista di Bono l’avrei potuta tranquillamente anticipare a memoria, anche se ai tempi non c’erano motori di ricerca per controllare le fonti e recuperare copia cache di tutto lo scibile sul proprio gruppo di riferimento. Di quell’intervista, a distanza di tanti anni, ricordo una frase in particolare. Ad un certo punto, forse per darsi un tono, Bono parafrasava Warhol. “E’ facile ritrarre la bellezza. Provate a prendere il viso pallido e pieno di lentiggini di un irlandese e tiratene fuori un capolavoro! Se riuscite a renderlo bello, allora sì che siete un artista!”.
Avevo diciotto anni appena compiuti. Ero in viaggio ai cinquanta all’ora verso il patibolo e, in attesa che tutte le mie certezze di studente modello crollassero come un castello di carta, trovai lì, in una rivista patinata che in altre circostanze mi sarei vergognato di leggere, l’appiglio che mi serviva.
Facile fare arte con la bellezza. Provaci con la realtà.
Facile fare i grandi se si va sul sicuro. Provaci nelle difficoltà.
Il difficile, dice il saggio, è saper scegliere in tempo.
Il ricordo di quel viaggio mi è tornato alla mente ieri, mentre guardavo per la prima volta il video di “Magnifico”, l’ultimo singolo di Fedez. L’ho trovato su Youtube, come sempre mentre cercavo tutt’altro. Non mi è servito rintracciare una faccia in qualche rivista esposta in edicola. A dire il vero, fino a qualche settimana fa, non avrei saputo nemmeno che faccia cercare. Fedez era per me un perfetto sconosciuto. Eppure è il divo del momento, adorato da un’intera generazione – la generazione boh – per i cui standard io sono sicuramente un “vecchio”.
Nel video ho trovato un ragazzo dall’aria timida che cammina dinoccolato con lo sguardo fisso in macchina. Si toglie prima la giacca, poi uno ad uno gli altri vestiti come fossero pezzi di un’armatura, fino a rimanere in canotta d’ordinanza. Ogni due passi se la aggiusta, quasi fosse a disagio. Anche a metafore, Fedez non è uno che va per il sottile. Così alla fine, tra le mille donne che si alternano al suo fianco, il divo bacia quella che lo stava seguendo – ovviamente su un’auto chilometrica – fin dall’inizio. Novelli Richard Gere e Julia Roberts ai tempi del freestyle.
Lo trovo romantico? No.
Lo trovo riuscito? No.
Lo trovo capace di raccontare per iperboli una generazione? Boh.
Fedez è una popstar, ma è anche uno dei quattro giudici di X Factor. Fin qui s’è dimostrato acerbo, a tratti immaturo, ma ha saputo sempre lasciare il segno. Dotato di parlantina veloce e lacrima facile, Fedez è un nativo digitale che cerca sempre la frase ad effetto ma la sua verve è autentica, ai limiti della sfrontatezza. Così ha bollato come “inopportuna” la splendida “E non andar più via” di Lucio Dalla e non s’è tirato indietro quando gli sono state rinfacciate le sue convinzioni a Cinque Stelle o quando qualche politico meno famoso di lui ha pensato bene di attaccarlo per qualche briciola di visibilità. Fedez ha gli occhi timidi, ma non li abbassa. Aver costretto Morgan ad inscenare l’ennesimo abbandono di X Factor per riprendersi a forza un po’ di attenzione dimostra che il ragazzo non ha poi le spalle così strette.
Anche per questo ho ripensato a quel viaggio in autobus verso il patibolo. Chissà quanti ne fanno anche i diciottenni di oggi. La differenza è che, invece che perdersi in un’intervista ad un cantante rock con stivali pitonati, occhiali sgargianti e l’aria da messia, oggi cercano l’ultimo tweet di un ragazzo in canotta che posta veloce come i nuovi devices.
Non scambierei mai il mio fustino di rock per due fustini di hip hop. Mi tengo gli U2 sperimentali e non ancora bolliti degli anni ’90. Vado avanti per la mia strada senza abbassare lo sguardo e ascolto musica che alle orecchie di un diciottenne di oggi suona vecchia come i Beatles o i Rolling Stones che tanto piacevano a mio padre. Eppure, a quasi vent’anni da quel viaggio verso la maturità, una parte di me si ribella all’idea di essere diventato irrimediabilmente vecchio a mia insaputa.
Dicono che la consapevolezza è il primo passo verso la guarigione. Volete la prova del nove? Misurate il vostro tasso di snobismo verso il nuovo che avanza. Se il risultato supera il livello di guardia, allora è tempo di un esame di coscienza.
Fatevi tre semplici domande. Trovate che non ci sia nulla di romantico in certi versi che non sembrano frasi per conquistare l’amata ma tweet per catturare una follower? Se la risposta è “sì”, allora siete messi male. Pensate che la canotta vada bene per chi supera l’uno e novanta e gioca in NBA? Allora vi serve un aggiornamento del dress code, non solo della libreria musicale. Quante volte alzate il sopracciglio ad una dichiarazione di Fedez sulla politica italiana? Se la risposta è “sempre”, allora forse avete perso il passo coi tempi e, come tanti editorialisti di punta, siete condannati a non capirne nulla per un altro paio di decenni.
Se invece l’ultima canzone di Fedez non è la vostra tazza di tè ma vi fa ripensare alla vostra di adolescenza, allora forse siete sulla buona strada. O fate di tutto per crederlo.
Postilla.
L’orale della maturità? Andò benissimo.
Perdermi tra le elucubrazioni di Bono mi diede la giusta sicurezza per parlare di Wordsworth e Coleridge. Chi l’avrebbe mai detto.
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