Famiglia
Lei, che scivola dolce nella mia memoria
All’origine di queste mie storie c’è quasi sempre una storia d’amore – e questa non fa eccezione. È quella di John Hartford con sua moglie Betty: due ragazzi di meno di trent’anni che vivono in una roulotte all’entrata della città di Nashville, e per la prima volta hanno l’impressione di aver raggiunto la stabilità e la serenità. Si sono conosciuti nelle barche a vapore che percorrono il Mississippi, dove lei serviva da bere e lui suonava il violino ed il banjo – una vita da zingari, niente soldi in tasca, nessuna vera prospettiva.
Ma John è molto, davvero molto bravo, per cui Nashville lo chiama, perché quello è il centro mondiale del bluegrass ed è il luogo in cui vivono i grandi del folk, da Joan Baez alla Nitty Gritty Dirt Band. Per uno come lui non è difficile ottenere un posto ben pagato come musicista di studio di registrazione, e Betty lavora in un bar in città. Ma sono ugualmente infelici. Betty racconta: “Eravamo così giovani… la strada ci bruciava nelle vene, eravamo terribilmente insicuri, e John aveva il terrore di tornare a casa, una sera, e di non trovarmi più”. Cosa che, naturalmente, è puntualmente accaduta.
Una sera i due guardano insieme il “Dottor Zivago” al cinema, e sono commossi per le sofferenze di Lara e per il personaggio, solitario e sfortunato, impersonato da Omar Sharif. Tornati alla roulotte, John scrive una canzone stupenda, “in mezz’ora”, in cui racconta di lei che se ne è andata, e di lui che lo sapeva, per cui ha sempre tenuto il sacco a pelo pronto ed oggi, mentre mangia da una lattina, sporcando la barba irsuta, da un bivacco vicino a una stazione merci perduta in un universo senza più direzioni, ricorda di lei, che è scappata, ed il ricordo gli scivola leggero e gentile nella mente.
A metà degli anni 60 uno dei grandi del country, Glen Campbell, porta la canzone ad un successo mondiale. Ma la sua versione è gelida, mi viene da dire: tecnocratica. Quella originale è più sporca, più sofferta, e molto più vera – John la accompagna al banjo, muovendosi come un clown triste. E poi è venuto Frank Sinatra: “Mia Farrow è uscita dalla porta di casa, con la valigia in mano e la voce di chi non torna più. La radio suonava Glen Campbell. Mia ha spezzato il mio cuore, come l’aveva già spezzato, anni prima, Ava Gardner. Non importa quante storie tu abbia in una vita di scialo, in fondo c’è sempre qualcuno che ti spezza il cuore, ed il cui ricordo resta per sempre nella tua mente. Vai avanti, cominci nuove cose, ma quel volto è un marchio dolce ed indelebile”.
Siamo nell’estate del 1968, e Sinatra, dopo molte traversie con la Capitol, si è messo insieme a Frank Zappa e ad altri artisti ribelli, ed ha fondato la Reprise Records, nella quale può investire tutto ciò che ha per registrare dischi in cui crede veramente, e con produttori fantastici, come Don Costa, Quincy Jones, e lo svizzero Neil Hefti, che ha scritto indimenticabili musiche per i film di Jane Fonda, Robert Redford, Jack Lemmon e Walter Matthau. La versione di Sinatra di “Gentle on my mind” è contenuta in “Cycles”, che è un album sulla vita che cambia, e che a mio parere è uno dei dieci dischi più belli registrati nel XX secolo.
Ed in fondo alla catena c’è ancora una donna ed un addio. Questa canzone fa parte della colonna sonora degli anni più belli dell’infanzia, quando ero innamorato della storia tra papà e mamma, come è giusto che sia. Questa settimana mamma avrebbe compiuto 88 anni, ma se ne è oramai andata da tanto, tanto tempo. Ed io, con la barba irsuta e sporca del giramondo solitario che sono sempe stato, ascolto Frank Sinatra e vedo lei, gentile, scorrere dolcemente nella mia mente.
Frank Sinatra canta l’abbandono da parte di Mia Farrow (1968)
Devi fare login per commentare
Accedi