Musica
Le ingannevoli apparenze di Teodor Currentzis
Teodor Currentzis è ormai da anni il direttore più discusso per la capacità di dividere il pubblico e la critica, fra chi lo ama e chi in un certo senso non lo comprende associandolo ad atteggiamenti eccentrici o superficiali. L’apparenza inganna se lo si giudica dall’abbigliamento meno usuale di altri (pantaloni attillati, camicione, anfibi con lacci rossi), ma anche dalle scelte musicali, che non sono in realtà mai volte a scardinare una tradizione, anzi si concentrano sul recupero degli elementi fondamentali della concertazione e delle strutture, oramai così raramente evidenziati in una routine direttoriale spesso assai decadente e distante dal testo, inserendoli invece in una visione d’insieme che attraverso l’assoluta definizione tecnica percorre e presenta una strada che mette ordine da abusi e squilibri.
Al Teatro Grande di Brescia per poi proseguire a Roma nella tappa italiana della tournée con la sua nuova orchestra “Utopia” il 20 novembre scorso, conferma proprio con questa formazione per la prima volta in Italia il suo lavoro di approfondimento continuo, quasi con l’intento di farci ascoltare una partitura come fosse la prima volta, compagine neofondata appositamente con musicisti provenienti da tutto il mondo alla ricerca indipendente delle verità della musica e dell’interpretazione. La gestualità, da sempre piuttosto canonica sul profilo tecnico, pare più libera e fluida rispetto ad alcuni anni fa, senza virtuosismi e con alcune gesticolazioni che ricordano Gergiev, e si appoggia quanto meno sull’esperienza dei musicisti prescelti e sul lavoro intenso svolto in prova, quindi con l’obiettivo di non stressare troppo l’orchestra almeno in concerto.
Importante la scelta di un concerto solistico per condividere il palcoscenico mettendosi da parte, col bravissimo Barnabas Kelemen nel Concerto per violino di Brahms. Il suono dell’orchestra si focalizza subito intorno a sfere con lo stesso equilibrio di vibrato, specie nelle sezioni di accompagnamento, definisce con accuratezza i cambi di armonia, asseconda le dinamiche del solista senza mai prevaricarlo, fino a pianissimi al limite dell’inudibile. Questa emozione del suono, queste prospettive così ampie nelle articolazioni dinamiche, così come l’essere incollati al violinista tanto quanto in un vero duo, definiscono la musica di Brahms – il vero “progressivo”, almeno secondo Schönberg – in una poetica priva di enfasi, dove la sua stessa autentica modernità emerge dall’espressione della precisione nella scrittura, per cui tutto è meticolosamente predeterminato. Proprio questa modernità è una caratteristica di Brahms che non tutti sanno riconoscere. Kelemen affresca insieme a Currentzis un concerto che si concentra su una dimensione cameristica antiretorica, con un eccezionale equilibrio fra registri e vibrato e un’agilità impeccabile. Il cantabile segue una nobiltà stilistica disarmante, il pianissimo trionfa anche nei registri più acuti. Il primo capriccio di Paganini eseguito come fuoriprogramma si scioglie in un virtuosismo giocoso.
Ma il centro del concerto è indubbiamente la Quinta Sinfonia di Ciajkovskij (dove Kelemen suona come spalla), pagina arcinota e facilmente ingombrante, che richiede necessariamente un accurato lavoro di analisi per non cadere in luoghi comuni. Eppure, sorprendentemente come in certi film, la chiave di lettura viene alla fine della serata, dal fuoriprogramma col Pas de deux dallo Schiaccianoci, che Currentzis introduce gentilmente con alcune parole annunciando un’interpretazione drammatica a suo avviso, augurandosi quindi che possa piacere. È qui che Currentzis illumina la componente tragica, fra le righe segrete del balletto, anzi coglie il vero genio di Ciajkovskij capace di costruire questo piccolo capolavoro da una semplice scala discendente. La trasformazione dell’elemento banale in struttura dirompente, rivoluzionaria, è proprio il segreto del genio di Ciajkovskij, che Currentzis fa suo e rilancia in una lettura travolgente e commossa, a tratti sofferta, mai sopra le righe perché controllata al millimetro. La celeberrima Quinta sinfonia è invece tutt’altro, e non è un paradosso: la Quinta non è ancora la “Patetica”. Currentzis pone al suo centro il secondo tema del primo movimento, la sua delicata e contemplativa introspezione, da cui pare diramarsi tutta la partitura in una sorta di confessione epistolare, che trova certamente il proprio dramma nel secondo movimento e dove il cantabile, plastico e flessibile, non è mai esagitato. L’estrema precisione nel delineare ogni fraseggio, nel definire ogni elemento ritmico come le modulazioni cruciali, l’attenzione al legato anche nel fortissimo e all’unità di suono, non sono volti a far evidenziare quanto vi sia di meno ordinario, ma semplicemente la bellezza di quello che è scritto e la sua continua riscoperta, così come i veri maestri ci hanno insegnato fin dai primi studi musicali, ma che nella frenesia e nella confusione del concertismo di oggi, così come nella cristallizzazione di certe abitudini di ascolto, si è un po’ perduta o viene scarsamente verificata.
Con Currentzis recuperiamo la dialettica e la dinamica creativa di ogni partitura, anche di questa Quinta, sradicata da pregiudizi di tragedia e ricondotta a un’unità spirituale intimista e rapita, che non dispiega il dramma come ad alcuni piacerebbe sentire, ma il suo consumarsi dall’interno. Trionfo fra lunghe ovazioni.
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