Musica
L’amore assediato. Addio Franco Battiato
Oggi li guardo dalla finestra. Nel cielo sgombro. Gli uccelli. Voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometrie esistenziali. La tua geometria esistenziale. Dove ‘I numeri non si possono amare’. Scovo quel cd tra i dimenticati. Aspro, sperimentale, libero. Nella scritta si insediano i numeri, mimetizzandosi, da infiltrati; intorno alla lampadina accesa quei numeri ronzano come insetti, la assediano. Ma per loro non c’è speranza di raggiungerla, la luce. L’amore. Alla lunga, a furia di rinforzi, potrebbero però offuscarlo. Forse volevi dirci questo. Era il 2000, nella nostra parte di universo.
Mi costringi a pensare al mio, stagionato, amore. I desideri non invecchiano quasi mai con l’età, per fortuna e purtroppo. E c’è voluto del talento per riuscire a invecchiare senza diventare adulti. Me lo riconosco. Grazie Franco. Anche per aver reso la commozione un’arte. Un’emozione straripante e muta. Ancora nel 2000. Era marzo. A Genova. Concerto in onore di Fabrizio De Andrè ‘Faber amico fragile’. Doppio vinile. Sfilo, accomodo, poso lo spazzolino come raggio, e faccio girare un po’: ‘Puoi girare solo intorno al tuo perno, o puoi scegliere di correre e andare’. Un po’ e un po’, caro Franco. Vado alla tua traccia, dove canti ‘Amore che vieni amore che vai’. La metto dall’inizio, ma aspetto la coda. Ricordo che presi quella puntina e la riportai indietro tre, quattro, cinque volte, perché non volevo credere che ti fossi bloccato, sul ‘Non ti ho amato mai’ del finale: non sei riuscito a dirle, perché il magone ti aveva vinto, sul palco. E da quel momento ti ho amato sempre. E oggi quel magone non passa. Non passerà.
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